L’illusione di aver sconfitto definitivamente lo Stato Islamico – che in realtà ha perso il controllo del territorio ma non la propria capacità offensiva – ha aperto un nuovo dibattito su cosa fare dei “foreign fighters” (combattenti stranieri) catturati e dei loro familiari.
Già agli inizi del 2019, il presidente Usa Donald Trump aveva affrontato la questione chiedendo all’Europa di riprendere oltre 800 combattenti dell’Isis catturati in Siria per processarli nelle nazioni di provenienza, altrimenti sarebbero stati costretti a rilasciarli.
Appare evidente come il ritorno dei “foreign fighters” rappresenti un problema reale per i paesi che dovranno affrontare il rientro dei loro concittadini.
Il primo timore, è l’effetto “blowback”, cioè il rischio che soggetti che hanno combattuto e che ancora sono fortemente condizionati da un’ideologia jihadista, possano colpire sul territorio europeo; il secondo, quello che se detenuti perché condannati per la loro militanza, all’interno degli istituti di pena possano trasformarsi in predicatori d’odio e avviare nuove campagne di reclutamento.
Del resto, sappiamo per esperienza che in Italia proprio le carceri sono state i luoghi di maggior reclutamento, fin da quando presso le case circondariali della Sardegna si trovarono ad essere detenuti affiliati di al-Qaeda provenienti da Guantanamo.
Il livello ancora embrionale dei programmi di deradicalizzazione e l’insufficiente conoscenza del fenomeno, non sono in grado di assicurare un’adeguata prevenzione che impedisca la formazione di nuove cellule sul nostro territorio.
Se questo è il problema che riguarda la gestione dei “foreign fighters”, non meno preoccupante è quello che riguarda i bambini dello Stato Islamico. Soggetti che hanno subito fortissimi traumi e che sono cresciuti, se non nati, in un mondo di violenze che a volte li ha visti addestrati e protagonisti di uccisioni che nulla avevano da invidiare alle atrocità commesse dai jihadisti adulti.
Se questa è la situazione europea – nonché quella italiana – ancor più drammatico e pericoloso è il rientro dei combattenti dello Stato Islamico nei Paesi africani e asiatici, dai quali migliaia di uomini con le loro famiglie si sono mossi per andare a ingrossare le fila dei militanti del “Califfato”.
Basti pensare che dalla sola Asia centrale, un numero compreso tra le 2.000 e 4.000 persone hanno aderito all’ideologia jihadista recandosi a combattere in Siria e in Iraq. Quanti di loro sono morti? Non lo sappiamo. Quanti figli hanno messo al mondo, che oggi hanno ben più di un motivo per abbracciare anche loro la stessa ideologia? Anche questo è un dato del quale non abbiamo conoscenza.
Il Tagikistan, che è stato il primo paese ad affrontare questo problema, lo ha fatto con un’amnistia della quale hanno beneficiato trecento persone rientrate volontariamente. Purtroppo, i risultati sono stati deludenti, visto che in un solo anno circa 40 di questi soggetti sono tornati a combattere per lo Stato Islamico.
Mentre in diversi paesi occidentali si discute e si sperimentano programmi di deradicalizzazione, pochi guardano ai paesi africani nei quali sono rientrati i “foreign fighters” che hanno combattuto sotto l’egida del vessillo nero e che dopo essere tornati nei territori di provenienza potrebbero partire alla volta dell’Europa. Senza adeguate misure di prevenzione e accordi bilaterali con queste nazioni, il rischio che possa avverarsi, decuplicato, quanto profetizzato da Antonio Evangelista (Profetici definì “L’Espresso” i due libri di Antonio Evangelista (“La Torre dei crani” e “Madrasse. Piccoli martiri crescono tra Balcani ed Europa”. Ai quali si aggiunge “CALIFFATO D’EUROPA”, l’ultimo in ordine di tempo) è molto più alto di quanto non si immagini.
In Italia, dove l’attenzione massima è dedicata alle Ong, gli sbarchi fantasma apparentemente sembrano rappresentare un problema secondario, nonostante sia proprio da questi che derivi il pericolo maggiore di infiltrazioni jihadiste sul nostro territorio. Già in passato, un questore, salito alla ribalta delle recenti cronache per un piglio tanto autoritario quanto fuori luogo, aveva dichiarato che tra gli immigrati che arrivavano con gli “sbarchi fantasma” non c’erano estremisti islamici. Evidentemente, questo questore era un esperto conoscitore del fenomeno e possedeva informazioni tali da poter verificare l’identità, la provenienza e i precedenti di coloro i quali raggiunta una spiaggia siciliana riuscivano a dileguarsi senza lasciar traccia del loro passaggio…
Intanto, l’amministrazione del presidente americano Trump, che ha esercitato pressioni affinchè i governi europei facessero rientrare nei paesi di provenienza i “foreign fighters” catturati in Siria e in Iraq, sui rimpatri negli Stati Uniti mantiene un atteggiamento ben diverso…
Gian J. Morici
Sono combattenti e come tali andranno trattati.