
L’omicidio di Chiara Poggi avvenuto il 13 agosto 2007, continua a essere uno dei casi di cronaca nera più controversi d’Italia, nonostante la condanna definitiva ad Alberto Stasi, fidanzato della vittima all’epoca dei fatti, a 16 anni di reclusione nel 2015, il caso è stato riaperto e nuove indagini sono attualmente in corso a carico di Andrea Sempio. Questo caso rappresenta un vero e proprio “monumento alla cattiva giustizia”: qualunque sia l’esito finale, la credibilità della giustizia italiana ne esce irrimediabilmente compromessa. Da un lato, infatti, c’è Alberto Stasi, che potrebbe aver trascorso dieci anni in carcere da innocente; dall’altro, Andrea Sempio, la cui vita è stata profondamente segnata e distrutta dalla riapertura dell’inchiesta.
A pagare il prezzo più alto, però, sono le persone coinvolte e le loro famiglie, condannate a convivere con ferite che nessuna sentenza potrà mai rimarginare. In questa storia, la vera sconfitta non è solo la giustizia, ma l’umanità stessa, travolta da un dolore che si rinnova ogni volta che la verità viene messa in discussione.
La Condanna di Alberto Stasi: tra assoluzioni e conferme
La vicenda processuale di Alberto Stasi è stata lunga e tortuosa. Inizialmente unico indagato, Stasi fu assolto in primo grado nel 2009 e in appello nel 2011. Tuttavia, la Corte di Cassazione annullò le sentenze, portando a un nuovo processo d’appello (appello bis) che lo riconobbe colpevole. I giudici, presieduti da Barbara Bellerio, nelle motivazioni depositate, hanno ritenuto che il quadro indiziario a carico di Stasi “sia stato rafforzato dall’ampia rinnovazione istruttoria” disposta nel corso del dibattimento e che ha portato ad affermare “con la dovuta necessaria certezza” la sua colpevolezza. Perché è doveroso ricordare, che il giudice Vitelli, quando assolse Alberto, lo fece perché non aveva gli elementi probatori emersi solo nei processi successivi. Nelle 140 pagine di motivazione, i giudici passano in rassegna tutti i punti nodali della vicenda che trovano tra loro una concatenazione logica.
Nella loro ricostruzione l’individuazione della “finestra temporale“, dalle 9.12 alle 9.35, durante la quale l’ex studente bocconiano è potuto uscire di casa, raggiungere la villetta di via Pascoli, uccidere la fidanzata e rincasare per continuare a scrivere la tesi al computer, “può ora darsi per pacifica“. Una finestra temporale ristretta, data dai c.d. indicatori non riferibili al cadavere e dai dati emersi dal computer di Stasi. Chiara Poggi, infatti, alle ore 9:12 disattiva l’allarme di casa e alle 9:44 non risponderà alla prima telefonata di Alberto Stasi, così come non risponderà nemmeno alle altre di quella mattina. E poi “la dinamica dell’aggressione evidenzia come Chiara non abbia avuto nemmeno il tempo di reagire“. Era “così tranquilla, aveva così fiducia” in chi gli stava davanti “da non fare assolutamente niente, tanto da venire massacrata senza alcuna fatica, oltre che senza alcuna pietà“. E questo, riportano i motivi della sentenza, “pesa come un macigno (…) sulla persona con cui era in maggior e quotidiana intimità”, cioè Stasi. E se il “il movente dell’omicidio è rimasto sconosciuto“, si ipotizza che la “passione” di Alberto “per la pornografia” scoperta da Chiara avrebbe potuto “provocare discussioni, anche con una fidanzata ‘di larghe vedute’” e che le “difficoltà” del loro rapporto di coppia siano alla base di quella “motivazione forte” che ha “provocato (..) il raptus omicida“.
I giudici ritengono, tra l’altro, che l’ex studente bocconiano abbia “mentito quando ha sostenuto di essere entrato in casa Poggi soltanto alle 13.50, e che la sua descrizione del ritrovamento del corpo di Chiara e della scena del crimine sia quella che poteva fare invece Stasi-aggressore, che aveva ucciso la fidanzata ore prima, per simularne il successivo ritrovamento“. Secondo i giudici il suo racconto è “incongruo, illogico e falso” e hanno ricordato gli esiti della perizia da loro disposta. I periti, Dott. Testi, Prof. Bitelli e Prof. Vittuari, sulla scorta delle loro analisi -che definire mastodontiche è riduttivo- ritennero che fosse del tutto marginale la probabilità che Stasi, avesse potuto effettuare in entrata e in uscita il percorso dichiarato in casa Poggi, senza intercettare con la suola delle sue scarpe macchie di sangue. Alla luce di questo quadro, la Corte d’Assise d’appello mette in evidenza anche come dopo il delitto, Stasi abbia “subito sviato le indagini senza mettere a disposizione degli inquirenti tutto quanto aveva via via interesse investigativo‘”, riuscendo “a rallentare gli accertamenti a proprio vantaggio, anche grazie agli utili errori commessi” dagli inquirenti.
La riapertura delle indagini e il “nuovo” indagato
A quasi vent’anni dal delitto, il caso di Garlasco ha vissuto una svolta significativa con la riapertura delle indagini e l’iscrizione nel registro degli indagati di Andrea Sempio, amico del fratello di Chiara Poggi. L’inchiesta nasce proprio per l’impulso della difesa di Stasi, con il deposito di una consulenza tecnica di parte, relativa al DNA rinvenuto sulle unghie della vittima. Nel 2014 infatti, il genetista e professore Francesco De Stefano aveva identificato attraverso la diluizione delle unghie, un aplotipo maschile, ma lo aveva giudicato inutilizzabile e privo di valore scientifico per un’identificazione certa.
Se in passato, questa traccia genetica era stata considerata inutilizzabile, secondo le prime indiscrezioni giornalistiche, ora sembrerebbe -seppur parziale e degradata- compatibile con la linea parentale di Andrea Sempio. Parentale che non significa prettamente “familiare” in quanto, ad esempio, l’aplotipo y -come da precise indicazioni della comunità scientifica- può essere condiviso da un numero indefinito di maschi discendenti che abbiano un antenato in comune.
In attesa delle valutazioni degli esperti previste per il prossimo 18 dicembre, resta da chiarire se il profilo genetico fosse presente sopra o sotto le unghie di Chiara Poggi. A questo proposito, la consulenza tecnica del RIS di Parma, chiarisce che nessun DNA maschile era presente nella parte c.d. subungueale. Nel 2007 e quindi ben prima dell’accertamento esperito da parte del prof. De Stefano, gli uomini comandati dal Generale Luciano Garofano, avevano effettuato dei prelievi proprio nella parte interna delle unghie i cui risultati, negavano la presenza di DNA maschile.
Dopo il 18 dicembre, l’inchiesta comunque dovrà attendere l’arrivo di altre risultanze. Ancora tanti, infatti, secondo gli investigatori i punti da chiarire. Tra questi la consulenza delegata dalla Procura all’anatomopatologa Cristina Cattaneo, chiamata a riesaminare i rilievi sul corpo della ventiseienne per capire come sia stata uccisa. Infine, ci sono le indagini tradizionali che i carabinieri di Via Moscova stanno conducendo da mesi: dalle verifiche sullo scontrino esibito da Sempio nel 2008 agli accertamenti sul possibile movente. Non ultima, attesa è anche la profilazione psicologica di Andrea Sempio affidata al RAcis di Roma, che ha il compito di analizzare alcuni scritti e post social dove, secondo alcuni, emergerebbe da parte di Sempio “un’ossessione” nei confronti di Alberto Stasi. Viene spontaneo chiedersi come si può definire invece, chi cerca da undici anni di attribuire ad Andrea Sempio le responsabilità della morte di Chiara Poggi.
I punti fermi
- La verità giudiziaria attuale riconosce Alberto Stasi come unico colpevole dell’omicidio di Chiara Poggi. Solo una revisione potrebbe, eventualmente, modificare questa verità. Pertanto, al momento, le indagini su Sempio non incidono, né scalfiscono minimamente la responsabilità riconosciuta in via definitiva a Stasi.
- I modi lusinghieri e talvolta ampollosi utilizzati nella narrazione di questa nuova indagine, appaiono maldestri tentativi di riscrivere -quantomeno mediaticamente- una verità, già ampiamente descritta nero su bianco dalle sentenze passate in giudicato. Una narrazione funzionale che ha ben presto imparato ad utilizzare slogan da stadio piuttosto che citazioni in punta di diritto.
- Dati e atti alla mano, questo è il settimo tentativo da parte di Alberto Stasi di ribaltare la sentenza definitiva. I precedenti ricorsi in Cassazione e le richieste di revisione sono stati tutti respinti, così come le denunce archiviate dalla Procura di Pavia e anche la Corte europea dei Diritti dell’Uomo all’unanimità, ha confermato la correttezza del processo ad Alberto Stasi. Senza contare le istruttorie dibattimentali, dal 2015, sono circa quaranta i giudici che hanno confermato la responsabilità di Stasi e questo, non è un numero di poco conto, soprattutto quando giornalmente si conteggia il numero di magistrati che si starebbe occupando dell’attuale indagine, come a sostenere l’esistenza di magistrati di serie A e magistrati di serie B.
- Ricordate come i palinsesti televisivi abbiano spesso suggerito che Chiara Poggi avesse fatto colazione con il suo assassino? L’avvio della nuova indagine ha consentito di rimettere in discussione i risultati relativi al DNA attribuito a Andrea Sempio ma contestualmente, ha fatto emergere nuove tracce genetiche riconducibili ad Alberto Stasi tra i rifiuti di Chiara Poggi. Circostanza che pare essere passata in sordina ma che non è sfuggita all’occhio attento degli addetti ai lavori.
- Le fotografie di Sempio in Via Pascoli il pomeriggio del 13 agosto, smentiscono ancora una volta, una narrazione tossica e a tratti delirante. Per mesi abbiamo assistito alle ricostruzioni fantasiose e alla distorsione delle sue dichiarazioni da parte di chi, evidentemente, ha tutto l’interesse nel creare mistificazioni attorno alla figura del nuovo indagato.
- L’indagine parallela a carico dell’ex PM Venditti, accusato di corruzione in relazione all’ipotesi che il padre di Andrea Sempio gli abbia versato denaro affinché archiviasse l’indagine sul figlio, ha incontrato significative difficoltà. Il Tribunale del Riesame, infatti, ha accolto per tre volte consecutive le istanze dell’ex magistrato, disponendo il dissequestro e la restituzione di tutti i dispositivi informatici e telefonici precedentemente sequestrati, senza possibilità da parte della Procura procedente di estrarne copia.
- Sono tutti al centro dell’obiettivo mediatico: i protagonisti si chiamano Stasi, Sempio, Lovati, De Rensis e Co. e decine di “comparse”, con una rimozione definitiva: la vittima. Chiara Poggi dovrebbe essere il centro poiché -da qualunque punto di vista la si guardi- è la prima e unica vittima di questa vicenda e che, unitamente alla sua famiglia, meriterebbe il doveroso rispetto e forse, anche un po’ di silenzio.
La riflessione
Il caso di Garlasco, rappresenta non solo una ferita aperta per la giustizia italiana, ma anche un esempio emblematico di come la narrazione mediatica possa influenzare profondamente la percezione pubblica dei fatti. L’attenzione spasmodica dei media, spesso più interessati allo scoop che all’accuratezza, ha contribuito a creare una narrazione dei fatti fortemente polarizzata, in cui la ricerca della verità viene spesso sacrificata sull’altare dell’audience. Una narrazione unidirezionale, che privilegia una sola versione dei fatti o che si lascia guidare da slogan e semplificazioni, rischia di distorcere la realtà e di alimentare pregiudizi difficili da sradicare. In questo scenario, i protagonisti della vicenda – imputati, indagati, famiglie e persino magistrati – diventano personaggi di un racconto mediatico che spesso dimentica la vera vittima e il rispetto dovuto alla sua memoria. La pericolosità di questa dinamica risiede nella sua capacità di condizionare non solo l’opinione pubblica, ma anche il clima in cui si svolgono le indagini e i processi. Una narrazione sbilanciata può generare pressioni indebite, alimentare sospetti infondati e soprattutto, ostacolare il sereno accertamento della verità. Per questo, è fondamentale che il racconto mediatico sia sempre plurale, critico e rispettoso dei fatti, evitando derive sensazionalistiche che rischiano di trasformare la cronaca giudiziaria in spettacolo e la ricerca della giustizia in un’arena di tifoserie. Solo così sarà possibile restituire dignità non solo alla giustizia, ma anche alle persone coinvolte, troppo spesso vittime di una doppia condanna: quella dei tribunali e quella dell’opinione pubblica.
Katia Sartori
Criminalista e consulente tecnico, esperta in scienze forensi, criminologia investigativa e intelligence. Specialista in lofoscopia e grafologia forense. Docente a contratto c/o Master e corsi di perfezionamento universitari in criminalistica applicata. Relatrice di convegni in tema di identificazione personale e criminalità organizzata.