
“Solo i morti e gli stupidi non cambiano mai opinione” sosteneva James Russell Lowell.
E dunque finchè c’è vita c’è speranza, tanto più se il cambiare opinione è funzionale.
Dopo aver negato da sempre ogni coinvolgimento di apparati dello Stato in delitti di mafia, a sorpresa una certa stampa rischia adesso di spiazzare i claqueurs.
Plaudite, cives, a chi di servizi segreti non voleva neanche sentir parlare e oggi, invece, ipotizza che la mafia catanese – nella figura del boss Aldo Ercolano – potrebbe avere avuto un ruolo nei rapporti con apparati dello Stato, tirando in ballo Nino Gioè che avrebbe definito ‘particolari’ i catanesi.
Non illudetevi però che il ‘ravvedimento’ non si sia reso necessario.
Il dovere ammettere che la mafia potrebbe avere avuto contatti con uomini dei servizi segreti italiani – per conto dei quali avrebbe commesso anche delitti – nasce dalle dichiarazioni del pentito Maurizio Avola, autore di una ottantina di omicidi, che ha fatto rivelazioni inedite: “Ho commesso degli omicidi fuori dalla Sicilia per conto dei servizi segreti prima di essere arrestato ma sono cose troppo gravi ed io non ne posso parlare perchè rischio di scomparire dalla sera alla mattina”.
Una rivelazione che avrebbe confutato quanti fin a qualche tempo fa sostenevano l’assoluta mancanza del coinvolgimento di apparati dello Stato in gravi vicende di mafia, tacciando chi lo riteneva possibile sulla scorta di atti (v. dichiarazioni collaboratori e altre testimonianze) di portare avanti teorie complottiste o fantascientifiche.
Se venisse sconfessato del tutto l’ex pentito Avola, cosa accadrebbe?
Le sue rivelazioni in merito al fatto che nel garage dove venne preparata l’autobomba per la strage di via D’Amelio non era presente nessuno infuori che gli uomini di ‘Cosa nostra’, e le responsabilità addossate agli uomini accusati da Avola, verrebbero messe in discussione – oltre che dalla procura nissena che le ha già ritenute inattendibili – anche dall’opinione pubblica che giustamente comincerebbe a chiedersi se l’uccisione del giudice Paolo Borsellino fu dovuta solamente al dossier mafia-appalti redatto dai Ros del generale Mario Mori, o se ci potessero essere altri motivi e altri coinvolgimenti oltre quello della mafia.
L’unica possibilità rimane quella di dare credibilità alle dichiarazioni di Avola, ammettendo i delitti commessi per conto dei servizi segreti, escludendo però qualsivoglia coinvolgimento di questi ultimi negli attentati di Capaci e via D’Amelio, salvando così capra e cavoli.
Per avvalorare questa teoria, la stampa appiattita sulle posizioni favorevoli a mafia-appalti come unico movente delle stragi, riporta un’intercettazione di Totò Riina, il quale diceva: Se me la facessi con i servizi, non mi chiamerei Totò Riina.
Non ci vorrebbe molto a capire che un’ammissione del Capo dei capi di ‘Cosa nostra’ di aver agito in combutta con pezzi deviati dello Stato, lo avrebbe screditato agli occhi dei suoi stessi accoliti.
Ma non si può pretendere che giornalisti che non hanno mai respirato aria di Sicilia, che non hanno mai sentito ‘sbaccagliare’ (che checchè se ne pensi è ancora di uso comune), che non hanno visto mai un mafioso se non in cartolina, possano comprendere la complessità dei rapporti e degli equilibri all’interno di ‘Cosa nostra’, e il retropensiero di un ‘uomo d’onore’.
Se Riina lo avesse ammesso, sarebbe stato un uomo morto, o nella migliore delle ipotesi, ‘na fitinzia’ (una fetenzia) che non avrebbe potuto mantenere il proprio ruolo all’interno dell’organizzazione, specie dopo le conseguenze che la stessa aveva subito a causa degli attentati a Falcone e Borsellino.
Bisogna dunque sgombrare le riserve su Avola, riducendo a un fatto banalissimo quanto riportato dal giornalista Fabrizio Gatti, colpevole per aver scritto un articolo “sulla questione di Maurizio Avola, nel quale egli fa percepire al lettore che non solo si sarebbe verificato un depistaggio (ma questa bufala indimostrata viene propagata da cani e porci), bensì che, in qualche modo, una società israeliana ne sarebbe stata addirittura compartecipe”.
Gatti aveva scritto di un misterioso “Luttwak” che avrebbe fatto da mediatore con un’agenzia israeliana che aveva messo a disposizione il test della macchina della verità sulla voce di Avola, per avvalorare la veridicità delle sue dichiarazioni.
Lo aveva confermato Santoro audito in commissione antimafia, lo aveva sostenuto lo stesso Avola, parlando di Mossad.
Avola si sarebbe sottoposto alla “macchina della verità”, nonostante la consapevolezza che non avrebbe avuto alcun valore di prova.
Anziché ricorrere al poligrafo o alla risonanza magnetica funzionale, l’esame sarebbe stato effettuato con Layered Voice Analysis, utilizzata da una società israeliana, poiché di più semplice utilizzo non richiedendo la presenza fisica del soggetto esaminato e il cui risultato viene ritenuto più attendibile rispetto quello del poligrafo.
“Dopo aver ottenuto i contatti della società – p -, l’audio di un’intervista ad Avola sulla strage venne inviato per l’esame. La prima risposta fu ambigua: il soggetto risultava “stressato e pessimista”, diceva il vero ma occultava informazioni sensibili…”
Cos’è Layered Voice Analysis?
Proviamo a capire di cosa stiamo parlando, essendo profani . si tratta di una nuova e più sofisticata tecnologia che valuta i cambiamenti più sottili della frequenza della voce umana per rivelarne le emozioni, concentrandosi sulle sfumature vocali che sono influenzate da stati psicologici. Gli algoritmi analizzano poi le sfumature vocali, identificando schemi che potrebbero suggerire che il soggetto esaminato sta mentendo.
Nonostante i suoi vantaggi, la LVA non è esente da sfide, potendo essere le informazioni influenzate da vari fattori tra i quali il background culturale, la competenza linguistica e lo stato emotivo del soggetto.
Dell’analisi e delle modalità con cui venne acquisita la traccia vocale non sappiamo nulla, né la durata, né le domande poste, né il confronto con file audio contenuti nella banca file, che avessero pressappoco le stesse caratteristiche del soggetto esaminato (capacità linguistica, background culturale ecc).
Dopo il primo esame dalla risposta ambigua, “Si decise allora di registrare e inviare (risulta dalle intercettazioni) una seconda intervista, più strutturata e con domande mirate, ma da quel momento gli israeliani sparirono nel nulla”- scrive il giornalista.
A questo punto alcune domande sono obbligatorie:
- L’esame del file audio fu realizzato da un’azienda o dal Mossad (come ha affermato Avola)?
- Perché un’azienda che offre un servizio ai suoi clienti sarebbe sparita dalla scena?
- Timore del clamore mediatico o pressioni – come ipotizza il giornalista – o altre difficoltà?
“Il cuore della questione – conclude l’articolo –, però, resta la strage di Via D’Amelio. I buchi neri – chi azionò la bomba? Da dove arrivò il tritolo? – non possono essere colmati con ipotesi suggestive, ma solo attraverso i fatti. Ogni deviazione rischia di far perdere altri anni di tempo”.
Il nocciolo della questione è via D’Amelio.
Comunque sia, che parte dei servizi segreti possa essere coinvolta con la mafia in omicidi, che i rapporti tra servizi e mafia continuarono anche dopo e stragi (lo dice Avola dichiarando di aver commesso omicidi per conto dei servizi nel ’93), l’importante che su via D’Amelio non aleggi l’ombra degli 007.
E se anche questa fosse una deviazione rischia di far perdere altri anni di tempo e non raggiungere mai la verità?
Gian J. Morici