
Dopo 45 anni dall’uccisione del presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella, la svolta nell’inchiesta ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di Nino Madonia e Giuseppe Lucchese.
Mentre l’inchiesta non si è ancora conclusa, si riapre il dibattito sui delitti eccellenti di quel periodo, dall’assassinio dei giudici Terranova e Chinnici, all’omicidio di Reina e La Torre, per arrivare alle stragi Falcone e Borsellino.
Per lungo tempo – fino alla loro assoluzione – Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini, due terroristi dei Nuclei armati rivoluzioni, entrambi condannati definitivamente per la strage alla stazione di Bologna, erano stati ritenuti gli esecutori materiali dell’omicidio Mattarella.
L’iscrizione al registro degli indagati di Madonia e Lucchese sembrerebbe escludere l’intervento di soggetti esterni nell’uccisione dell’allora presidente della Regione, che sarebbe stato pianificato e portato a termine solo da uomini di ‘Cosa nostra’.
L’omicidio, fortemente voluto da Totò Riina, si inseriva nel contesto di altri omicidi eccellenti, come quello del segretario regionale del Partito comunista di Pio La Torre e del segretario provinciale della Dc Michele Reina.
Per l’omicidio di Mattarella furono condannati in via definitiva i capi di ‘Cosa nostra’, Michele Greco, Totò Riina, Bernardo Provenzano, Bernardo Brusca, Giuseppe Calò, Francesco Madonia e Antonino Geraci, senza però mai identificare gli esecutori materiali.
Giovanni Falcone aveva ritenuto che ci fosse una matrice politica.
Un omicidio politico all’interno di un contesto di mafia e di ‘antistato’ – come ha affermato il giudice Balsamo – ricordando le parole di Giovanni Falcone: “Non mi si vorrà fare credere che alcuni gruppi politici non si siano alleati a Cosa nostra nel tentativo di condizionare la nostra democrazia, ancora immatura, eliminando personaggi scomodi per entrambi”.
Se la responsabilità di ‘Cosa nostra’ è un dato acclarato anche con sentenze ormai definitive, rimane da sciogliere il nodo delle eventuali convergenze di interessi tra mafia e soggetti esterni.
Il nome di Nino Madonia non è nuovo, avendo riportato condanne per tutta una serie di delitti eccellenti; quello di Carlo Alberto Dalla Chiesa, di Ninni Cassarà, di Rocco Chinnici, di Pio La Torre, responsabile per la strage di Pizzolungo e per il fallito attentato a Giovanni Falcone all’Addaura, fino ad arrivare – con sentenza non ancora definitiva – all’omicidio di Nino Agostino.
Ma è a partire dal padre, Francesco Madonia, capo storico del mandamento di Resuttana, che emergono i legami con mondi diversi da quello di ‘Cosa nostra’.
Quel mondo oscuro formato da appartenenti ad apparati dello Stato e frange di quell’estrema destra il cui ruolo è stato ipotizzato – seppure mai provato – in diverse vicende di mafia.
Già nel 1970, dopo alcuni falliti attentati dinamitardi e il fallito golpe Borghese, secondo la procura di Palermo – e stando alle dichiarazioni di alcuni pentiti – si era instaurato un rapporto tra i Madonia e uomini appartenenti ai servizi segreti.
La partecipazione a una strategia della tensione che la mafia avrebbe posto in essere su richiesta di soggetti esterni a ‘Cosa nostra’.
Un’ipotesi sconfessata nelle aule giudiziarie e da altri pentiti giudicati attendibili, come nel caso di Tommaso Buscetta e di Francesco Marino Mannoia.
Entrambi hanno escluso che quello di Mattarella fosse stato un omicidio ‘non mafioso’, in quanto dinanzi eventi di tale portata all’interno di ‘Cosa nostra’, se fosse stato opera di altri al di fuori dell’organizzazione mafiosa, “si sarebbe creata una situazione di allarme generalizzato e si sarebbe cercato in tutti i modi di capire cosa era realmente avvenuto e i motivi di tale uccisione; né Bontate Stefano né altri hanno mosso contestazioni di sorta in seno alla commissione contro chicchessia, quale autore o ispiratore dell’omicidio, il che sarebbe puntualmente avvenuto se non ci fosse stato un previo accordo quanto meno di massima sull’omicidio stesso. (Marino Mannoia)”
Una tesi ribadita da Marino Mannoia quando apprese del mandato di cattura a carico di Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini, escludendo la matrice terroristica del delitto.
Una matrice indicata dall’allora questore Vincenzo Immordino al dottor Giovanni Ferrara, capo del Centro SISDE di Palermo, al quale aveva riferito di aver saputo da Vito Ciancimino del coinvolgimento di terroristi nel delitto.
Terroristi appartenenti ad un gruppo sovversivo di sinistra.
Ferrara chiariva era rimasto personalmente molto scettico sul fatto che il killer di Mattarella fosse da ricercarsi nell’ambito del terrorismo rosso perché riteneva che i mafiosi avessero maggiori possibilità di contatto col terrorismo nero mentre erano del tutto estranei a rapporti con l’estremismo di sinistra.
Ma come vedremo non sarà solo il questore Immordino, su suggerimento di Ciancimino, ad addebitare al terrorismo le azioni delittuose.
La stessa mafia – in maniera del tutto anomala – con alcune telefonate anonime farà rivendicare a nome di Prima Linea e delle Brigate Rosse, sia l’omicidio di Mattarella che quello di Michele Reina.
Rivendicazioni del tutto inusuali per un’organizzazione che avrebbe voluto dimostrare la propria avversione alla politica attuata dalla Democrazia Cristiana in Sicilia durante quel periodo, così come aveva indicato Marino Mannoia secondo cui la causale dell’omicidio era quella di lanciare un forte messaggio intimidatorio alla Democrazia Cristiana perchè tenesse conto delle esigenze dell’organizzazione mafiosa: “un segnale veramente incisivo in quella che era la vita politica nel territorio palermitano. Cioè, nel senso di avere la disponibilità dei favori” – disse il pentito.
Un non senso far ricadere la responsabilità del delitto sul terrorismo, visto che tale matrice non avrebbe permesso ai destinatari del sanguinoso messaggio di individuarne la provenienza, e dunque di assoggettarsi alla volontà di ‘Cosa nostra’.
Se da un canto Marino Mannoia esclude che il delitto Mattarella fosse opera di soggetti esterni a ‘Cosa nostra’, è sempre lo stesso pentito che parla di moventi politici nei delitti compiuti nel mandamento dei Madonia:
“Se non faccio errori, l’omicidio Mattarella è avvenuto in territorio del mandamento di Madonia Francesco e, anche successivamente, la famiglia del Madonia ha sempre aumentato il suo prestigio. Poiché Lei me lo chiede, ricordo che detta famiglia da tempo è coinvolta in vicende che hanno a che fare con moventi, in certo qual modo, politici. Ricordo, ad esempio, la vicenda delle c.d. ‘bombe di capodanno’…”.
Mannoia dunque non fa riferimento a omicidi politici nel senso che le vittime erano soggetti politici, bensì al movente che in qualche modo coinvolgeva i Madonia in questo genere di delitti, avvenuti sempre all’interno del loro mandamento.
Nella circostanza riferisce anche un fatto particolare:
“Inoltre, c’è un fatto singolare che io ho appreso in carcere da Calamia Giuseppe, uomo d’onore di Corso dei Mille. Il Calamia, detenuto con me a Trani, mi disse di avere appreso che Madonia Salvatore si era sposato in carcere con una terrorista e questo è un fatto assolutamente singolare, che avrebbe comportato la messa fuori famiglia dello stesso Madonia, data l’incompatibilità ideologica tra la mafia ed il terrorismo di qualsiasi specie. Quanto riferitomi dal Calamia mi è stato confermato da un po’ tutti in seno a ‘Cosa Nostra’ e, con nostro stupore, a Madonia Salvatore non è accaduto nulla”.
È lo stesso Marino Mannoia, così come altri mafiosi di rango che hanno poi collaborato con la giustizia, a dire che esiste un’incompatibilità ideologica.
Eppure, nonostante il matrimonio di Madonia con una terrorista non accadde nulla, in un mondo laddove per molto molto meno, un mafioso veniva ‘posato’ (messo fuori da ‘Cosa nostra’) se non ucciso.
‘Cosa nostra’ aveva dunque interessi comuni con frange terroristiche, nonostante l’ideologia era in contrapposizione a quella mafiosa?
Riguardo alla convergenza di interessi mafia-politica, il 19 gennaio 1990, Marino Mannoia, nel confermare le precedenti dichiarazioni, aggiungeva:
“… al riguardo, come ho già detto nel dibattimento d’appello del ‘maxi-uno’, non voglio – almeno per il momento – aggiungere nulla, avendo detto omicidio indubbie caratteristiche politiche […] Posso solo aggiungere, a chiarimento di quanto già detto in precedenza, che non è senza significato – a mio avviso – che certi omicidi, aventi una certa valenza politica, siano avvenuti sempre in territori posti sotto il controllo di Francesco Madonia da Resuttana e di Pippo Calo’, che, unitamente a Giuseppe Giacomo Gambino ed a Salvatore Riina, sono quei componenti della ‘commissione’ che hanno mostrato maggiori propensioni verso i fatti politici”.
Un atteggiamento – quello di Marino Mannoia rispetto possibili rifessi di carattere politico – assunto anche da Buscetta, quando sentito da Giovanni Falcone disse che non era ancora giunto il momento di parlare di questi aspetti.
E di anomalie e similitudini con altri ‘misteri’ tutti italiani (ma a volte anche non solo italiani) nel delitto Mattarella non ne mancano, a partire dal giorno della sua uccisione, il 6 gennaio 1980, quando la polizia sequestrò un guanto nella 126 dei killer.
Un guanto scomparso, così come scomparsa l’agenda rossa di Paolo Borsellino in via D’Amelio.
Dopo 45 anni, siamo ancora fermi al palo, seppure, forse, sembra che si sia arrivati a chi potevano essere gli autori materiali del delitto.
E gli aspetti politici ai quali Marino Mannoia e Buscetta facevano riferimento?
Per quelli forse saranno necessari altri 45 anni…
Gian J. Morici