È possibile ricostruire una verità quantomeno storica – se non giudiziaria – a distanza di così tanti anni dalle stragi di Capaci e Via D’Amelio?
È ciò a cui di fatto stiamo assistendo.
Ci avviciniamo alla verità, o ce ne stiamo allontanando?
Ne parliamo con la criminalista Katia Sartori e con il suo collega *Riccardo Sindoca.
Cosa Nostra aveva davvero le capacità organizzative per pianificare e sviluppare un attentato come quello di Capaci?
Katia S.: “Tutto il mondo è convinto che a schiacciare il telecomando sia stato Giovanni Brusca. In effetti lui aveva un “giocattolino” che non lanciava nessun impulso. Tutto il mondo però sa che a schiacciare il telecomando fu Giovanni Brusca. Hai capito?” e ancora, “Brusca lo sa bene, altrimenti gli fanno fare la fine di Gioè”. Armando Palmeri, insisteva sul fatto che la strage di Capaci fosse un’operazione troppo precisa e che non rientrava nelle competenze di uomini come Giovanni Brusca. Palmeri la definiva una “perfetta operazione militare”.
Ed effettivamente, sostenere che l’esplosivo delle stragi provenisse dalle bombe di profondità di Porticello, può risultare poco credibile. Le polveri devono essere asciutte e ben conservate. La difficoltà nell’intercettare il giusto momento, con tutte le variabili che un oggetto ad alta e variabile velocità può comportare, delinea che l’operazione non è certamente alla portata di tutti.
Lo stesso Ninò Gioè raccontò a Palmeri che a Giovanni Brusca gli sembrava di essere stato lui a premere il telecomando ma che in realtà era stato un altro, ad azionare il dispositivo e a dare l’impulso. Facendo ben intendere quindi, che quel giorno con gli uomini di Riina, vi fossero anche altri soggetti.
Gli aspetti che riguardano l’esplosivo adoperato, furono anche oggetto di una perizia da parte del Generale *Fernando Termentini…
Katia S.: Il Generale Fernando Termentini, uno dei massimi esperti a livello mondiale nel settore degli Ordigni Esplosivi, deponendo al processo Capaci bis, definisce il genere di attentato come un’operazione che ricalca procedure ordinarie di carattere militare. Rientra, secondo la sua esperienza, in quello che in gergo viene chiamato “piano di ritardo”. Tecnica applicata anche in Italia negli anni 70/80 quando militarmente, si utilizzavano i “piani di ritardo” per difendere la famosa soglia di Gorizia. Tecnica militare assolutamente applicata come “regola” dalle truppe dell’ex Iugoslavia.
Riccardo S.: Tanti i miei dubbi sui 400 chili di esplosivo che ha scagliato a 60 metri di altezza la blindata di Falcone , tanto è che il generale Fernando Termentini, l’esperto chiamato in aula dall’avvocato Salvo Petronio (difensore di Tinnirello), ha definito “inverosimili” il caricamento del tunnel e l’uso dei detonatori, così come li hanno descritti i pentiti: sostenendo che quelle modalità non avrebbero mai provocato una deflagrazione “franca”, cioè perfetta, come invece è stata quella di Capaci. E non solo.
Termentini ha sostenuto che l’attentato sull’ autostrada “è stato realizzato in base alla tecnica militare dei piani di ritardo, già usata dall’ esercito italiano a Gorizia e nota in ambito militare Otan NATO . L’avv Petronio si spinge a criticare radicalmente la ricostruzione dei pm, affermando come dietro la strage Falcone da 24 anni ci siano “elementi concreti che inducono a ipotizzare l’intervento di altri moventi rispetto alla favoletta di Totò Riina che si vendica della Cassazione sul Maxiprocesso”.
Nell’ arringa, il difensore di Tinnirello ha ribadito la tesi di una matrice criminale “alta”: “Lungi dall’essere un attentato artigianale – ha detto l’avvocato – la strage di Capaci è riconducibile a soggetti ben più competenti di quelli delle versioni ufficiali: i servizi”. Altro fattore non di poco conto lascia tuttora aperto più di un interrogativo: nessuno in aula, per esempio, ha saputo spiegare come mai la consulenza genetica sui reperti trovati vicino al cratere di Capaci (una torcia, guanti e un tubetto di mastice) non abbia trovato alcuna traccia del Dna dei mafiosi individuati dalla Procura, ma solo profili di soggetti sconosciuti. Fatto questo che va ad annoverarsi ad ulteriori ‘vuoti ‘ in questa triste vicenda ..come ben fece anche Sandra Rizzi a stigmatizzare su ‘Il Foglio”.
Un attentato compiuto con la tecnica militare dei piani di ritardo, ma nonostante ciò si ha la tendenza ad escludere l’intervento di soggetti terzi a Cosa Nostra. Soggetti che avrebbero avuto una parte attiva nella cosiddetta “strategia della tensione”.
ADDAURA
Katia S: Nella storia, ritornano sempre gli stessi personaggi. Ad esempio, Paolo Bellini, esponente di Avanguardia nazionale, legato ad ambienti dei servizi segreti e condannato in primo grado per la strage del 2 agosto 1980, era in Sicilia nel periodo delle bombe del ’92. Il contatto di Bellini dentro Cosa nostra era Nino Gioè, il boss di Altofonte che, come abbiamo già detto, era stato definito dai Carabinieri come un soggetto che offriva fiducia per la sicurezza ed era stato ritenuto idoneo a disimpegnare particolari incarichi di natura riservata. Poniamoci una domanda concreta: Quali incarichi di natura riservata furono affidati al Gioè?
Nino Gioè era stato il contatto fornito dal pentito Francesco Di Carlo a tre esponenti dell’intelligence nel 1989, mentre si trova nella prigione di Full Sutton, in Gran Bretagna. Durante la sua detenzione aveva ricevuto visite da parte di tre persone, tutti agenti dei servizi
Dopo l’incontro con Di Carlo, pochi mesi dopo, il 21 giugno 1989, vennero ritrovati 58 candelotti di esplosivo nei pressi del villino che Falcone aveva all’Addaura. È dopo quell’episodio, che Falcone parlò di “menti raffinatissime” e di sicuro non si stava riferendo alla mafia.
Riccardo S: Si è asserito che quella borsa si trovasse lì dal giorno prima. Ma da quel giorno mille misteri e dubbi: fu il tentativo di uccidere il dottor Falcone? Al di là delle risultanze giudiziarie non ne sono così convinto ..non fosse per la volontà dei suoi detrattori di screditarlo già nell’immediatezza del fatto , ovvero dicendo che “era stato lo stesso Falcone a organizzare il tutto per farsi pubblicità”. Il 21 Giugno , giorno del fallito attentato all’Addaura. Il giudice Giovanni Falcone, aveva affittato una casa per le vacanze ed ospitava due Togati svizzeri, Carla Del Ponte e Claudio Lehmann. In sinergia con gli Stessi , si stavano svolgendo gli interrogatori per l’inchiesta internazionale “Pizza Connection” in cui era personaggio cardine Oliviero Tognoli, il riciclatore che, per primo, aveva confidato l’implicazione di Bruno Contrada e lo aveva avvertito del mandato di cattura.
Katia S: E poi c’è il contenuto di due documenti classificati “Riservatissimo” del centro di Gladio: Il primo dispaccio (a immediata distruzione) risale al 18 giugno 1989 e autorizza l’inizio di un’esercitazione nei pressi di Torre del Rotolo, sita appunto vicino alla villa di Giovanni Falcone all’Addaura. Il nome in codice dell’operazione è “Domus Aurea”, che per i romani era la “Casa dorata dell’imperatore”, quella che fu costruita da Nerone dopo il grande incendio che devastò Roma nel 64 d.c.
Il secondo dispaccio del centro datato 24 giugno 1989, quindi tre giorni dopo il ritrovamento dell’esplosivo all’ Addaura, indica l’obbligatoria distruzione totale dei residui delle apparecchiature subacquee e relativo materiale esplodente, eventualmente in avanzo da esercitazione “Demage prince” (che letteralmente si potrebbe tradurre in “principe danneggiato”), svoltasi sullo stesso litorale del primo dispaccio e non più utilizzabile. Ovvero ben due operazioni ‘vicine per luoghi e date ‘ classificate Con divieto di esercitazioni dei reparti o singoli operatori in aree comprese da Capo Sanvito a capo Lilibeo e divieto assoluto, all’uso dell’aeromobile in dotazione e appoggi marittimi su Aree Sud / Est, di Trapani, concludendo che rimaneva invariata l’operatività, se necessario, del campo volo Milo.
Il 21 giugno 1989 vennero ritrovati adagiati sopra uno scoglio un borsone, una tuta da sub, una mascherina, un paio di pinne, una maglietta e un telo bagno. Un borsone, dove all’interno, lungo la chiusura lampo, era stato cucito un filo elettrico con guaina nera spellata ad una sola estremità, in funzione di antenna ricevente. La cassetta di acciaio, posta all’interno del borsone, contenente l’esplosivo ed i detonatori. L’esplosivo consisteva in candelotti avvolti in carta cerata di colore avana con stampato il nome del prodotto.
Stando alle perizie, i candelotti di esplosivo rinvenuti risultavano fabbricati nello stabilimento di Ghedi (Brescia) della Società Esplosivi Industriali (SEI) entro l’anno 1985, poiché i candelotti di Brixia B5, dopo l’anno 1985 sono stati prodotti dalla medesima società presso lo stabilimento di Domus Novas (Cagliari) ed avvolti in carta cerata color magenta. Chi forniva prima del 1985 quest’azienda? La SEI ad esempio, riempie di esplosivo le mine fabbricate dalla Valsella Meccanotecnica, per conto dell’esercito italiano.
Inoltre, dalla perizia genetico-forense e dattiloscopica di 158 pagine, disposta dal GIP di Caltanissetta, si legge che i profili genetici estrapolati dai reperti posti sotto giudiziale sequestro per quanto concerne la tuta da sub, la mascherina, le pinne e il telo da bagno, sono stati estratti profili genetici unici e misti (ovvero la traccia biologica è formata dal contributo di più persone) ma i profili maschili, non risultano compatibili con alcuno dei soggetti sottoposti a confronto (Madonia Salvatore Mario, Fontana Angelo, Scotto Gaetano, Galatolo Raffaele, Galatolo Angelo, Galatolo Giuseppe, Galatolo Vincenzo) né risultano essere di Piazza Emanuele o Agostino Antonino. Per quanto riguarda la maglia rosa invece, è stato estratto un profilo genetico che attraverso il “Random Match Probability” indica una probabile appartenenza al Galatolo Angelo.
Dei 26 prelievi biologici effettuati su tutti i reperti a disposizione, solo un prelievo ha restituito una possibile paternità. Perché non si trovano più tracce appartenenti al Galatolo ma solo una e altri DNA? Quello che troviamo sulla tuta da sub e sulla mascherina, appartiene alla stessa persona, ma non è dei soggetti sottoposti a confronto. A chi appartiene?
Riccardo S: Da lì a breve riscontiamo però l’omicidio di Nino Agostino, della moglie, Ida e del bambino che portava in grembo. Uccisi perché Antonino Agostino (che dava la caccia ai grandi latitanti corleonesi) aveva – con ogni probabilità – saputo qualcosa di importante sul fallito attentato all’Addaura? Anche quanto mi son chiesto più volte… poi si seppe che la sera dell’omicidio, in una perquisizione, furono fatti sparire degli appunti che riguardavano proprio delle importanti indagini che stava conducendo Agostino nonché sappiamo per voce del povero Padre il ‘trattamento riservatogli da Rutilius‘ (Arnaldo La Barbera – ndr). Per quella sparizione è stato incriminato per favoreggiamento l’ispettore Guido Paolilli, per il quale il gip di Palermo decretò l’archiviazione del favoreggiamento per prescrizione ma mettendo ‘nero su bianco ‘ il fatto che il reato venne commesso !
Fra i misteri che, in parte, si legano a questo maledetto giorno, l’omicidio di Luigi Ilardo. Ilardo, mafioso, era un informatore del colonnello dei carabinieri di Catania Michele Riccio, e a lui aveva detto: “Noi sapevamo che a Palermo c’era ‘un agente ‘ che faceva cose strane e si trovava sempre in posti strani. ‘Aveva la faccia da mostro. Siamo venuti a sapere che era anche nei pressi di Villagrazia quando uccisero il poliziotto Agostino”. Il Padre del povero poliziotto riferì che si presentò all’uscio della sua abitazione ..fatto non da poco! Si paria di Giovanni Aiello Pantaleone detto ‘Faccia da mostro’. Un ex poliziotto. Omicidi eccellenti e stragi di mafia. Una donna legata a Gladio, Virginia Gargano già stata sposata con un Uomo appartenente alla rete Stay Behind Net e già nipote , si disse al tempo, di Vincenzo Parisi ex Capo della Polizia di Stato, di Lei si occupano ancora gli inquirenti Fiorentini che indagano sulle stragi, ed anche qui, emerge il fatto ‘curioso ‘ del ritrovamento di documenti classificati come ‘’Riservatissimo” del centro di Gladio, e ricordo a me stesso che il giorno della strage di Capaci si parlò di un velivolo non meglio identificato su quei cieli.
Luigi Ilardo, giova ricordare che venne assassinato qualche giorno prima di mettere a verbale le sue confessioni…un humus che ben fa intendere che l’eliminazione di Falcone, e le ‘menti raffinate‘ di cui Egli cennava sono da imputarsi non di certo ai meri efferati Uomini di ‘Cosa Nostra Siciliana‘ , posto che è chiaro che un’operazione militare sui generis richiedesse implicazioni dirette di soggetti specializzati e non ‘improvvisati’, così come son certo che il famoso ‘dossier mafia ed appalti‘ altro non sia stato che l’inizio per indagini da parte di Falcone e di Borsellino che li avessero condotti ben al di là dei confini della Sicilia e della nostra Nazione ..
Servizi segreti, pezzi di Stato deviati e mafia. Una miscela esplosiva che ritroveremo sempre, da quel giorno in poi.
Purtroppo si è sempre avuta la tendenza a esaminare i fatti su base nazionale piuttosto che tentare di comprenderne i contesti a un livello più ampio.
Anche in altri attentati, e in altre Nazioni, a volte è stato dimostrato che esisteva una sorta di legame tra i membri dell’intelligence e gli autori dell’attentato stesso.
Un caso eclatante fu quello del 1984 si verificò in Belgio, quando una squadra di marines americani, accolti da un membro dell’intelligence militare belga, si nascosero per due settimane prima di attaccare una stazione di polizia uccidendo un agente belga. L’azione fu spacciata per terrorismo, fin quando non si scoprì che era opera dei servizi e di militari dei due paesi.
L’impossibilità di accedere agli archivi dei servizi segreti occidentali, nonché le operazioni di “igienizzazione” degli archivi degli Stati ex comunisti ad opera dei servizi segreti – in particolare americani e tedeschi – dopo la caduta del Muro di Berlino, non ci permettono di conoscere la storia di attività da parte di “agenti d’influenza” che hanno operato nei paesi target per condizionarne gli assetti politici interni.
Escluso il caso dell’84 in Belgio, quando ad operare furono direttamente i marines americani e i servizi dei due paesi, in quali e quante altre circostanze vi furono collegamenti con criminali e terroristi per condurre attacchi contro obiettivi civili?
Nulla di diverso da ciò che accade in altri contesti quando il pretesto per cambiare la politica di un paese per sottrarlo all’influenza di altre potenze, è quello della sicurezza a livello globale.
Il terrorismo diventa così la causa che giustifica interventi di forza che celano in realtà i grandi interessi economici e gli equilibri geopolitici in aree che non possono essere ingiustificatamente invase militarmente.
Pertanto, è necessario creare lo spauracchio del terrorismo, fomentato e alimentato da un Occidente che ha interessi a sviluppare operazioni che giustifichino l’occupazione di paesi nei quali insediare governi fantoccio proni a risolvere le esigenze, anche energetiche, dei cosiddetti paesi industrializzati.
Quando interne a una nazione infiltrata, operazioni di questo genere vengono spesso portate a termine da soggetti appartenenti a strutture parallele a quelle ufficiali, uomini “puliti” con una cover coerente con il loro background.
Agenti dormienti, sacrificabili nel momento in cui si palesa il rischio che possano essere scoperti.
Non si può mettere in discussione l’integrità dei nostri servizi, ma fin quando agli stessi appartengono uomini che hanno preso parte alla strategia della tensione, o che per ritorni personali hanno commesso crimini, abbiamo il dovere di ricercare la verità senza lasciarci coinvolgere da facili benedizioni urbi et orbi.
Oltre la ricerca documentale – resa quasi impossibile dall’apposizione del Segreto di Stato – possiamo confrontarci con chi ha vissuto determinati contesti senza lasciarsi coinvolgere in questo genere di operazioni, o con persone che prima di passare a miglior vita decidono di parlare di come hanno vissuto e perché lo hanno fatto.
“Servizi segreti, pezzi di Stato deviati e mafia – afferma Riccardo Sindoca – che sono una miscela esplosiva che ritroveremo sempre, da quel giorno in poi”.
Gian J. Morici
*Generale Fernando Termentini.
Ho avuto l’onore e il piacere di potere essere Suo amico e condividere momenti molto importanti delle nostre vite. Uomo con un altissimo senso del dovere nonostante quello che aveva subito a seguito dell’esposizione a uranio impoverito che lo portò via meno di un anno fa.
Di Lui, oltre la professionalità e l’attaccamento alla Patria, ricorderò sempre la grande carica umana che possedeva e la disponibilità a essere presente a ogni mia richiesta, rispondendo con sollecitudine e con l’impegno che lo aveva sempre contraddistinto, anche nei momenti più drammatici della malattia.
Ciao Fernando.
Gian
Leggi la biografia del Generale Fernando Termentini pubblicata dal Cedustec (Centro Studi Strategici Carlo de Cristoforis) del quale fu Vice-Presidente.