
L’Italia è un paese che a fronte del calo della popolazione giovane, vede un notevole aumento del numero degli anziani, tant’è che secondo i dati statistici siamo la popolazione più vecchia d’Europa.
Parallelamente alla percentuale di crescita degli anziani è aumentato il “mercato” dei collaboratori domestici che offrono assistenza domiciliare a disabili, malati e persone non autosufficienti.
Prestazioni spesso in nero che non garantiscono il lavoratore e neppure le famiglie che necessitano di assistenza domiciliare.
Contemporaneamente alla richiesta di lavoratori del settore, sono aumentate anche le agenzie di intermediazione che forniscono i collaboratori domestici.
Un’attività che dovrebbe garantire la selezione del personale, la copertura di turni, le sostituzioni e l’assunzione regolare secondo contratto disciplinato dal CCNL di Lavoro Domestico, sia esso a termine che a tempo indeterminato.
A fronte delle agenzie regolari che garantiscono i diritti del lavoratore e la serietà delle prestazioni a chi ne chiede la collaborazione, si assiste a un pullulare di agenzie che offrono lavoratori e lavoratrici nel settore dell’assistenza domiciliare senza garantire regolare contratto di lavoro, senza verificare esperienze pregresse, senza operare una selezione in base ai bisogni e alle caratteristiche dell’anziano e della famiglia, senza assicurare una sostituzione in caso di malattia, ferie o permessi del collaboratore, percependo un compenso (a volte in nero) per la sola presentazione della colf o della badante al privato, che di fatto ne diviene il diretto “datore di lavoro”.
Una situazione che mette a repentaglio tanto il lavoratore, i cui diritti vengono spesso calpestati, quanto la tranquillità delle famiglie che necessitano di tali prestazioni d’opera.
Turni di lavoro insostenibili e non previsti dal CCNL di Lavoro Domestico, mansioni da tuttofare (colf, badante, cuoco, e persino operatore paramedico senza averne né titolo né esperienza), con una paga al di sotto da quella contrattuale.
Alla prima controversia tra il lavoratore e la parte datoriale (talvolta famiglie paradossalmente composte anche da soggetti istituzionali che fanno pesare il proprio ruolo in ambito sociale dimenticando la responsabilità che deriva dalle loro funzioni), si assiste alla fuga del lavoratore, il quale senza alcun preavviso abbandona il posto di lavoro scatenando le ire di chi aveva fatto da “mediatore”.
Un “mediatore” che vedendo messa in discussione la “provvigione” percepita per il proprio intervento, non esita a porre in essere minacce in danno del “collaboratore domestico fuggiasco”, non creandosi scrupolo di eventuali violazioni persino del codice penale, come nel caso di chi pretende sia restituita la paga percepita dal lavoratore, minacciando di non fare restituire allo stesso eventuali effetti personali lasciati o dimenticati nel luogo di lavoro.
Nella migliore delle ipotesi, chi avrà rifiutato il lavoro senza contratto, chi non si sarà sottoposto a forme vessatorie e non si sarà lasciato schiavizzare, non lavorerà più con l’agenzia che aveva mediato tra le parti.
E la famiglia che l’aveva – seppur in nero – preso in carico?
Chiederà una nuova “fornitura” all’agenzia che aveva già pagato, senza subire ulteriori aggravi economici, ma anche senza poter contare su personale qualificato, risparmiando sì sulla paga mensile, ma esponendosi a rischi di eventuali vertenze di lavoro.
Inutile dire che i lavoratori utilizzati appartengono alle fasce più deboli della società, spesso rappresentati da un’alta percentuale di rumeni e di immigrati, regolari e non, che devono accontentarsi di quello che passa il convento…
È il nuovo business che in particolare nelle regioni del Sud Italia ha visto la nascita e il proliferare di agenzie di ricerca e selezione di personale che fungono da intermediari, a volte senza avere i requisiti minimi di legge.
Da Palermo a Caltanissetta ad Agrigento, è un proliferare di “agenzie” alle quali ci si rivolge tramite il passaparola, il conoscente che ci dà un biglietto da visita con un numero di telefono da chiamare.
È sufficiente lo stesso passaparola per scoprire un mondo sommerso di mediatori di cui andrebbe verificata l’iscrizione all’Albo delle Agenzie Per il Lavoro gestito dal Ministero del Lavoro, e che se non abilitati non potrebbero fornire legalmente badanti agli utilizzatori.
Una forma di “fornitura” di mano d’opera non molto dissimile dal caporalato.
Un caporalato domestico che mette a rischio anche famiglia che ha assunto il lavoratore del quale ne stabilisce gli orari di lavoro e le mansioni lavorative, subendone le eventuali rivendicazioni con tutte le conseguenze del caso, che purtroppo non vede mai comparire nel corso delle controversie tra lavoratore e parte datoriale la figura del “mediatore”, ovvero colui il quale percepisce i propri compensi senza garantire le parti in causa.
Un aspetto che non riguarda dunque soltanto gli enti preposti al controllo di eventuali illeciti nei rapporti di lavoro e nella legislazione sociale, ma che andrebbe attenzionato anche nell’ambito del controllo economico del territorio a tutela della collettività e di quegli imprenditori onesti che assolvono gli obblighi previsti dalla normativa vigente, mettendo fine a questa forma di “caporalato domestico”.
Gian J. Morici