Ferri, pensa che la nomina di una apprezzata giurista, come Marta Cartabia, sia una buona notizia per tutti quelli che hanno a cuore le sorti della giustizia in Italia?
Rappresenta un grande cambio di passo rispetto al precedente Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. La storia professionale di Marta Cartabia, che è stata anche Presidente della Corte Costituzionale, ci fa presagire che la sua stella polare sarà la carta costituzionale ed anche la Corte europea. Ci sarà sicuramente un approccio garantista nella sfera dei diritti.
Il Ministro della Giustizia ha detto che la certezza della pena è un obiettivo fondamentale, ma non deve comportare automaticamente la certezza del carcere, che resta una extrema ratio. Concorda?
Sottoscrivo pienamente quanto ha detto la Ministra. La pena deve essere sì certa, ma anche umana e tendere, in tutti i casi, alla rieducazione. E la si può scontare in diversi modi, non solo dentro le quattro mura di una cella. Proprio ieri, in Commissione Giustizia, ho proposto alla Ministra di riportare le lancette alle riforme attuate dai Governi Letta, Renzi e Gentiloni. E, proprio sulla questione della pena, le ho suggerito di tornare alla legge del 2014 che prevedeva l’introduzione nel codice penale della pena della reclusione domiciliare e dell’arresto domiciliare. Fu una legge approvata con grande coraggio, che poi si perse al momento dell’attuazione. Ora potrebbe essere tornato il clima adatto per una sua riproposizione. E per il restauro e l’allargamento di alcune depenalizzazioni che quella stessa legge stabiliva. Come, per fare un esempio, l’eliminazione del reato penale per i mancati versamenti dei contributi all’Inps fino a un massimo di diecimila euro. Quel limite andrebbe oggi riconsiderato, vista la situazione di estremo disagio in cui versano tanti artigiani e tanti commercianti. Più in generale, c’è da rivalutare una stagione di riforme interrottasi bruscamente con il Ministro Bonafede. Riforme che intervenivano sia sul processo penale sia su quello civile. E avevano alcuni capisaldi, come la specializzazione, penso ai tribunali per le imprese, e il diritto al credito. Aspettare quindici anni, prima di vedere soddisfatto il proprio credito, può rivelarsi evidentemente una beffa, se l’artigiano ha chiuso da anni baracca e burattini e l’imprenditore è, nel frattempo, fallito. Sono considerazioni e argomenti che tornano drammaticamente di attualità nel momento in cui la ripartenza economica è la priorità del Paese. Giustizia e economia, in una situazione emergenziale quale è quella che stiamo vivendo, devono marciare, più che mai, di pari passo.
La giustizia in Italia vive una crisi di credibilità forse senza precedenti. Di chi è la colpa e come se ne esce?
La credibilità della giustizia è bassa innanzi tutto per i tempi. Se io artigiano devo pagare i fornitori e non posso farlo perché la giustizia non garantisce, in tempi brevi, il mio diritto a riscuotere i crediti, è evidente che la credibilità del sistema crolla ai minimi termini. La giustizia deve essere efficiente e l’efficienza si misura non solo dal punto della qualità, ma anche da quello del tempo impiegato. Anche la sentenza più esemplare, se arriva dopo quindici anni, non è una sentenza giusta. Non è più giustizia. Per tornare all’esempio di prima, che se ne fa l’artigiano dei diecimila euro che gli arrivano dopo quindici anni, quando ha cessato la sua attività per mancanza di liquidità? Bisogna lavorare molto sui tempi. Il Recovery Plan può rappresentare un’occasione da non perdere. Si potrà investire sulla digitalizzazione e, contemporaneamente, sulla organizzazione anche a livello strutturale. E saranno necessarie alcune riforme, purché siano chiare e non farraginose. Purtroppo parliamo di queste cose da troppo tempo e, in assenza di risultati, non possiamo pretendere di avere conservato credibilità e fiducia agli occhi della gente.
Che cosa pensa del caso Palamara, amplificato dal successo editoriale del libro-intervista di Alessandro Sallusti?
Penso che l’evidenza stessa del successo editoriale del libro debba indurre tutti a una seria riflessione.
Una domanda al politico. Mario Draghi ed Enrico Letta. Due (imprevedibili) uomini giusti al momento giusto?
Sono due persone di grande valore. E’ chiaro che noi, in questo momento, guardiamo con più interesse al Presidente Draghi, perché è lui ad avere in mano il timone del nostro Paese. L’autorevolezza europea e internazionale di Draghi sono una garanzia e possono aiutare l’Italia. Noi siamo stati fra quelli che più hanno invocato un cambio di passo, perché bisognava spingere di più e metterci più forza. Marta Cartabia al posto di Bonafede e Mario Draghi sul ponte di comando fanno, senza dubbio alcuno, una grande differenza.
Mi può dire che cosa l’ha più fatta arrabbiare nel corso dell’ultimo maledetto anno?
La confusione e la mancanza di attenzione nel comunicare. Da ultimo, nel piano vaccini, sulla priorità da riconoscere alle persone più fragili. Abbiamo dovuto insistere con il Ministro Speranza, e dirglielo in tutte le lingue, che per le disabilità da privilegiare era opportuno fare riferimento all’articolo 3 della legge 102, mentre lui pretendeva di utilizzare un elenco, che ne ometteva regolarmente qualcuna.
E per cosa altro si è arrabbiato?
Per i soldi buttati al vento per le mascherine e per i banchi con le rotelle. Abbiamo abbandonato al loro destino tanti commercianti e tanti artigiani, costretti a chiudere per sempre, lasciandoli senza eppure una parola di speranza, mentre sprecavamo, e sprechiamo, soldi e risorse per i banchi con le rotelle e per le “nuvole”. Scelte inaccettabili. Scelte che non accetto.