Ci fu la stagione dei pentiti (in verità mai finita a giudicare da quanto accade con i nuovi Buscetta e chi miracolosamente riacquista la memoria dopo quasi trent’anni) che se per molti versi diede un notevole contributo nella lotta alla mafia, per altri, servì a sviare indagini facendo accusare innocenti e mettendo al riparo i veri autori dei crimini. Come nel caso del falso pentito Vincenzo Scarantino.
Ma tra i tanti “pentiti incredibili” se si vuol trovare un autentico supercampione delle testimonianze, non ci si può sbagliare, è Vincenzo Calcara!
Calcara per decenni è stato considerato un superpentito. “Uomo d’onore riservato” di Francesco Messina Denaro, super killer di Cosa nostra al quale sarebbe stato affidato l’omicidio di Paolo Borsellino, testimone del trasporto di dieci miliardi di lire all’arcivescovo Paul Casimir Marcinkus, conoscitore dei retroscena dell’attentato a Papa Wojtyla ad opera di Alì Agca, trafficante di droga, rapinatore e, infine, estortore di ristoratori filmando un topo.
Nel 2014 si era pure proposto invano al Papa per importanti rivelazioni sulla scomparsa di Emanuela Orlandi.
La credibilità di Calcara è stata a lungo oggetto di valutazioni non proprio lusinghiere. A partire dalla sentenza della Corte di Assise di Caltanissetta nel processo per l’omicidio del giudice Ciaccio Montalto, i cui giudici valutarono come del tutto inattendibile il Calcara. Una valutazione non diversa da quella che fecero i giudici che lo esaminarono all’udienza dell’11 gennaio 2012 in merito all’omicidio di Mauro Rostagno.
Lapidaria la testimonianza del giudice Massimo Russo che sia al Borsellino Quater che in Commissione Parlamentare Antimafia, ha ricordato di averlo imputato di autocalunnia aggravata dall’articolo 7, avere agevolato la mafia (processo finito in prescrizione) “perché lui dice di essere un uomo d’onore ed è certo che non è mai stato uomo d’onore, né ha avuto a che fare con i mafiosi, ma questo ce lo dicono venti o trenta collaboratori di giustizia, era un personaggio che ha detto delle cose che andavano oltre la sua cognizione e non sappiamo se siano farina del suo sacco o di qualche altro sacco che non è di farina.”
E il dubbio – se non la certezza – che Calcara abbia detto delle cose che non siano farina del suo sacco ma di qualche altro sacco che non è di farina, deve averlo avuto anche la Procura Generale di Catania che ha ritenuto di dover chiedere l’accoglimento della revisione di un processo, parlando delle falsità delle accuse del Calcara e facendo riferimento ad un depistaggio.
Di recente, dopo aver sempre taciuto su Matteo Messina Denaro e sul vero ruolo di Francesco Messina Denaro in Cosa nostra, aveva insistito per essere chiamato a testimoniare a Caltanissetta nel corso del processo che vedeva imputato Matteo Messina Denaro per le stragi del ’92.
Una richiesta più volte respinta dal pm Gabriele Paci, che nella sua requisitoria ha motivato il mancato accoglimento della richiesta avanzata definendo l’ex pentito “uno di quelli che inquinava i pozzi” e come un collaboratore di giustizia eterodiretto.
Questo ha fatto sì che Calcara intervenisse pesantemente tentando di condizionare il processo, arrivando a querelare sia il magistrato che l’avvocato dei figli del giudice Paolo Borsellino che lo aveva diffidato dal formulare le più ignobili accuse nei confronti di un magistrato impegnato in importanti processi, compreso questo su Matteo Messina Denaro che ha portato alla condanna all’ergastolo.
È di ieri la notizia che l’ex pentito Vincenzo Calcara sarà tra i 913 testi citati dalla Dda di Catanzaro guidata dal procuratore Nicola Gratteri nel processo nato dall’operazione antimafia Rinascita-Scott, che vede oltre 300 imputati.
Non è la prima volta che Calcara è chiamato a testimoniare in un processo in Calabria. Il suo nome compare nella sentenza emessa il 29 gennaio 1999, dalla Corte di Appello di Reggio Calabria, alla quale si era arrivati partendo da un’ipotesi investigativa in merito ai sequestri di persona commessi nella provincia di Reggio Calabria dalla cosiddetta “Anonima Sequestri”.
Tra i testi del processo “Aspromonte”, l’ex pentito Vincenzo Calcara che già in primo grado aveva narrato di contatti tra le famiglie calabresi e quelle siciliane, di traffici di droga e di armi, ai quali lui stesso, a suo dire, aveva preso parte.
Nel corso di quel processo Calcara fu in grado di riconoscere soggetti mai visti prima e descrivere in maniera molto dettagliata il percorso, le località e i paesaggi incontrati lungo il viaggio, compreso un monumento che era stato spostato 5 anni prima dalla piazza nella quale l’ex pentito lo aveva visto nella prima e unica volta che si era recato a S. Luca.
Anche in quel caso, i giudici che si trovarono a dover assolvere gli imputati dalle accuse di Calcara, non furono affatto teneri nei suoi confronti, ritenendo, tra le altre cose, che il riferimento alla statua dipendesse “non già da una conoscenza personale e diretta (così come tutte le altre indicazioni troppo precise e puntuali per non destare perplessità), bensì da riferimenti consigliati o appresi”.
Siamo certi che la Dda di Catanzaro e il procuratore Nicola Gratteri avranno riscontrato elementi tali da ritenere utile la testimonianza di Calcara al processo Rinascita-Scott, nonostante la sua macilenta credibilità.
C’è però da sperare che almeno questa volta l’ex pentito si attenga a fatti realmente di sua conoscenza – se ne sa – e non voglia propinare teorie in merito alle sue “cinque entità” costituite da Cosa Nostra, Massoneria deviata, Vaticano deviato, Servizi segreti deviati e ‘ndrangheta, utili soltanto ad alzare un’altra cortina fumogena utile ad allontanare gli inquirenti sulla genesi delle stragi di Capaci e via D’Amelio, cavalcando l’onda di processi in corso.
Che non sia, insomma, un pentito per tutte le stagioni, visto che in molte circostanze – l’ultima in ordine di tempo quella del processo a Matteo Messina Denaro – gli è stato impedito di indirizzare il corso della giustizia in una direzione diversa da quella che ha preso e che ormai trova conforto nei numerosi riscontri emersi in sede giudiziaria.
Gian J. Morici
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