“Conosco tutto, tutto quello che è stato. Io lo so chi glieli intesta i beni a Brusca, perché io Brusca so tutto quello che faceva”. Chi parla, è Silvana Saguto, ex presidente della sezione Misure antimafia del Tribunale di Palermo, recentemente radiata dalla magistratura. La conversazione, avvenuta con un collega nell’ufficio della Saguto, è tra quelle intercettate dalla Guardia di Finanza e resa pubblica ieri sera nel corso del programma “Le Iene”.
“Appena Brusca sgarra e io trovo un bene intestato a un suo parente – prosegue la Saguto – io già so che è suo”.
Da un magistrato – anzi due, visto che il suo interlocutore è un suo collega – ci aspetteremmo azioni consequenziali. Invece pare di no. Ed è la stessa ex giudice che nell’intercettazione ne spiega il motivo:
“Io non è che mi voglio fare sparare. Non lo posso andare a dire al sostituto procuratore “guarda che Brusca c’ha mezza Piana (degli Albanesi) e gli avete sequestrato una cosa sola”.
Nel corso della conversazione coinvolge anche l’ex prefetto Cannizzo che, a suo dire, le avrebbe consigliato di desistere per evitare che le sparassero.
Giovanni Brusca è infatti un ex boss di primo piano della mafia corleonese, autore di oltre cento omicidi, tra i quali quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, nonché della strage di Capaci, nel corso della quale persero la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani.
A tal proposito la dice lunga la telefonata intercorsa con l’avvocato Gaetano Cappellano Seminara – imputato con la Saguto nel processo in corso a Caltanissetta – al quale conferma di sapere molte cose che riguardano Brusca a Piana degli Albanesi, aggiungendo: “Tu mi credi che io non gliele vado a raccontare perché questi fanno uscire che l’ho dette io… sicuro… Sta finendo la pena, altri due giorni e questo va girando e per giunta si è tenuto il patrimonio. È sicuro che se vado a dire: ‘Guarda, questo negozio è suo, questa cosa è sua, questa casa è sua’, quelli glielo andranno a dire. Siccome io ne ho pochi di nemici, mi manca Brusca che sa che io gli vado a dire le cose e gliele vado a fare pigliare, ammesso che le piglino. Perché certo, Brusca non è uno ‘così’. Brusca è uno brutto […] Io mi tengo quello che so e basta, tanto ne ha tante cose Brusca, quelle quattro in più che io so di Piana (degli Albanesi) pazienza…”
Non aveva il dovere di denunciare ciò che sapeva? E lo stesso dovere, non lo avrebbe dovuto avere anche il primo interlocutore, ovvero il magistrato con il quale parlava nel suo ufficio?
Non meno grave, il fatto che la Saguto desse per scontato che “quelli” (magistrati?) potessero andare a riferire a Brusca ciò che la ex presidente della sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo, aveva detto su di lui.
Non poteva sfuggire a Matteo Viviani, l’inviato de “Le Iene”, la gravità di un passaggio tanto sconcertante del dialogo tra i due magistrati prima, e con l’avvocato Cappellano Seminara poi, tant’è che ne chiede spiegazioni alla diretta interessata.
“Ho mandato gli atti alla Procura per queste cose” – risponde la Saguto, aggiungendo che le conversazioni erano ironiche.
Noi non sappiamo se fosse ironico il fatto che “quelli” riferissero a Brusca di quanto eventualmente la Saguto avrebbe detto, né tantomeno sappiamo se i due magistrati (la Saguto e il suo interlocutore) abbiano portato a conoscenza il Procuratore o qualche sostituto di quanto si apprende dai loro dialoghi. Quello che ci chiediamo è cosa ha fatto la Procura dopo aver ricevuto gli atti dalla Saguto. E se la Saguto avesse mentito al giornalista de “Le Iene”, perché la Procura non sente il dovere di smentire dichiarazioni che getterebbero non poche ombre sulla magistratura palermitana.
Ad oggi, l’unico magistrato che – in assoluta solitudine – ha fatto sentire la propria voce, è stata la Dottoressa Claudia Rosini. Un magistrato che dopo una lunga carriera, e dopo essersi interessata a processi di mafia, decide di spostarsi al Tribunale di Palermo nella Sezione Misure di Prevenzione della quale era presidente la Saguto. La scelta di stare su un “fronte caldo” la porta a ritrovarsi in quella sezione proprio nel periodo in cui il giornalista Pino Maniaci, di Telejato, attacca la gestione dei beni confiscati alla mafia (o pseudo tale, viste le confische in danno di persone assolte dalle accuse) e in particolare del problema della nuora della Saguto, avv. Mariangela Pantò, imposta allo studio legale dell’avvocato Walter Virga (amministratore giudiziario nominato dalla Saguto) e dallo stesso licenziata per timore delle denunce stampa di Maniaci.
Quella di Pino Maniaci nel “caso Saguto” è una brutta pagina di questa storia, della quale abbiamo già scritto.
“Non era una campagna basata su suggestioni, su chiacchiericci – dichiara la Dottoressa Rosini al microfono del giornalista – era molto precisa. Si facevano nomi, cognomi… poi si cominciò a parlare di liquidazioni… si cominciò a parlare insistentemente dell’avvocato Seminara… e quindi cominciò a significare qualche cosa di importante nell’evoluzione del nostro lavoro…” – nonostante ciò, non accadeva nulla. “Nessuno diceva una parola – prosegue la Rosini – non c’era nessuna risposta, nessuna presa di posizione […] mi dicevano ‘che dai credito a Maniaci? Una fonte squalificata’. Ci fu un silenzio assordante. C’era un presidente del Tribunale… non disse una parola… non ci convocò mai, non chiese mai nulla. Andava affrontata secondo me…”
Una situazione evidentemente difficile, visto che sembrava non interessare a nessuno quello che accadeva nella sezione della presidente Saguto. A pensar male si farebbe peccato, ma se venissero confermate le accuse mosse da Caltanissetta agli imputati, dovremmo pensare che quel silenzio nasceva dall’appartenenza, o comunque dalla vicinanza, di molti soggetti al cosiddetto “cerchio magico” o, come lo indica la stessa Saguto, al “sistema”.
Se molti sapevano, se tacevano, se come dice la Saguto c’era chi poteva pure avvisare Giovanni Brusca, in che mani si trova la giustizia? Senza considerare il fatto che persone come la Dottoressa Rosini appaiono più che mai isolate, scomode forse anche ai loro stessi colleghi.
Una situazione che ci riporta indietro negli anni e che vogliamo sperare non debba replicare un qualcosa di drammaticamente già visto.
Ma torniamo al nostro “caso Saguto” e alla puntata di ieri sera de “Le Iene”.
Una sintesi della puntata e delle dichiarazioni della Saguto (per una questione di spazio torneremo sull’argomento con i prossimi articoli, sperando di non correre il rischio Maniaci2) dopo la lettera scritta da Pietro Cavallotti, ce la offre Massimo Niceta – un altro imprenditore che ha vissuto il “sistema Saguto” – con un post sulla sua pagina Facebook, pubblicato dopo aver visto la puntata de “Le Iene” di ieri sera:
“Bene, questa sera abbiamo approfondito alcuni concetti di giustizia che dovrebbero essere da guida a tutti… i criminali.
– al telefono potete dire quello che volete, tanto scherzavate;
– se venite intercettati, soprattutto dalla finanza, tranquilli, le loro intercettazioni non contano un caz…;
– fate bella mostra dello vostre carte ( se sono blu e le avete ritrovate per caso e contengono molti biglietti da visita è meglio ) con le quali suggerire ai vostri persecutori quale strada scegliere;
– non siate preoccupati delle competenza, basta la fiducia;
– nel caso venga licenziata la fidanzata di vostro figlio, sereni, prendetela con calma qualcuno penserà a trovarle un altro posto;
– serbate sempre un bel segreto su un patrimonio possibilmente se appartiene ad un mafioso, magari vi servirà per varie ed eventuali;
– sempre fede e fiducia nella procura da loro arrivano sempre buone cose.
E tu, Matteo Viviani, come ti permetti di dubitare di chi così oculatamente e correttamente ha gestito il suo potere affidandosi a fulgidi esempi di amministratori giudiziari?
Lei ha sempre operato bene, lei è i suoi giudici erano un trio perfetto di grande onestà e dedizione al lavoro.”
Anche noi vogliamo avere fiducia nella Procura, e siamo certi che saranno rese pubbliche le spiegazioni sul “caso Brusca”, sugli atti consegnati dalla Saguto e sulle misure adottate, o in alternativa, la pronta smentita e ogni azione consequenziale all’affermazione – se falsa – che l’ex magistrato aveva consegnato tutti gli atti.
Gian J. Morici