Ingroia. E’ stato lui a “scoprire” la “Trattativa Stato-Mafia”. Una “scoperta” che ha consentito ad un pugno di magistrati vanitosi ed arroganti, sprezzatori oltre ogni limite dell’inimmaginabile del diritto, della logica e, soprattutto del buon senso, di farne la chiave di lettura di anni di lotta dello Stato contro la criminalità organizzata Siciliana colpendo inesorabilmente come “trattativista” ogni persona ed ogni gesto non in linea con uno o più dei “canoni” etico-politico-giuridici prevalenti nella Procura di Palermo e dintorni.
La storia della “Trattativa” rimarrà negli anni a venire come un grido di allarme per la fragilità delle menti umane. Quelle, soprattutto, che hanno o dovrebbero avere il sostegno della elaborazione del pensiero sull’accertamento dei fatti, sulla giustizia e sul diritto.
Ne abbiamo inteso di coglionerie d’ogni genere, proprio nei templi del retto sentire e del retto ragionare ed operare.
Ma in quel famigerato processo della “Trattativa” è stato attinto e superato l’inimmaginabile. Sono stati rovesciati i termini dei rapporti di responsabili e di vittime di fatti veri e, soprattutto, presunti.
Abbiamo per anni sentito accanirsi la giustizia (si fa per dire) nei confronti di chi avrebbe con il terrore delle stragi, tenuto un atteggiamento non abbastanza fiero ed aggressivo contro i beneficiari (si fa per dire) del ricatto, mettendo sullo stesso banco degli imputati ricattatori e ricattati.
Si è processato lo Stato come tale, ché in certo senso giustamente è stata usata la definizione dell’addebito come “Trattativa tra Stato e Mafia” (non tra Tizio, Caio, gen. Mori, Ministro tale e talaltro, ma “Stato”).
Abbiamo inteso considerare come prove a carico del Ministro Mannino il fatto “che aveva paura di essere ammazzato” (fellonia di fronte al nemico?).
Abbiamo inteso addebitare allo Stato come prova della “Trattativa” il fatto che, dopo una indiscriminata sottoposizione al neo-introdotto regime carcerario del “41 bis” era stata fatta una cernita dei presunti mafiosi che si poteva pensare versassero nelle condizioni previste da quella norma riportando gli altri al regime detentivo ordinario.
Ogni prova della necessità e dell’efficacia del comportamento tenuto dai presunti esponenti di uno Stato ritenuto tremebondo e trattativista fu considerato poco meno che un atto di tardiva complicità in quel reato di “subìto ricatto”.
Mi capitò una volta, parlando con una persona in Sicilia di questa follia del processo allo Stato per “codardia in campo aperto di fronte al nemico” di sentirmi rispondere: “Sì, così pare, ma se si è fatto polpette di ogni prova e di ogni elementare concetto giuridico (che incrimina e condanna per il ricattato, al contempo, la vittima ed il ricattatore) è segno che un magistrato come Ingroia, che ha concepito la trama di quel processo, magari un po’ ambiziosa ed aspirante a chi sa quale carica, sarà pure venuto a conoscenza di qualcosa di reale, di certo, che, magari, poi è stato messo da parte per evitare cataclismi istituzionali”.
E’ la tiritera di chi vuole liberarsi dall’angoscia delle ingiustizie: “sembra assurdo, sembra ingiusto, ma ci sarà qualcuno che così ritiene di poter vivere tranquillo”.
Va a spiegare a certa gente che ragiona così che questa è la copertura di ogni ingiustizia, di ogni assurdità e che ad accettare un tale modo di sragionare (“una ragione ci sarà, ma non si può dire”) tanto vale abolire codici, procedure, tribunali.
E vagli a far capire che proprio uno come Ingroia, considerato il “Padre del processo Trattativa”, se avesse avuto in mano una “prova base” che facesse tremare le Istituzioni dello Stato, ed imponesse però di salvaguardarne il rispetto avrebbe imposto a qualsiasi altro di metterlo a parte della “verità occultata”, l’avrebbe sbandierata e fatta oggetto di conferenze, interviste, dibattiti.
“Beh, tu ce la devi avere con Ingroia” mi disse il prudente mio interlocutore, amante della tranquillità.
Una prova di fondamentale rilevanza e di indicibile pericolosità? Macchè!!
Erano solo i fumi dell’alcool, che oggi sappiamo essere parte possibile dell’Ingroia-pensiero, delle cogitazioni del “Padre del processo della Trattativa” a fargli balenare l’assurdità dell’impianto di uno dei più costosi processi della storia del nostro Paese (e di molti altri).
Intanto mi domando: se quella solenne sbronza (lui però dice: “solo due calici”) del “padre nobile” del processo allo Stato reo di aver subìto (??) il ricatto delle stragi, candidato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Avvocato di parte civile di enti, legale di fiducia di Crocetta, etc. etc. fosse avvenuta in Italia ne saremmo stati informati?
L’Ordine degli Avvocati di Palermo, cui oggi Ingroia è iscritto con ampia clientela “antimafia”, pubblica e privata, non ha niente da dire e da fare di fronte a tutto ciò?
Non dico che, dopo questo episodio, tutti i processi (sono diversi) sulla c.d. Trattativa dovrebbero andare subito al macero.
Ma, almeno che si potrebbe in tanto assurda sicumera vedere ciò che di per sé sembra frutto di una magari non recente debolezza per la gioia di Bacco.
Mauro Mellini
Leggere Mellini lo considero un buon digestivo quando ho mangiato troppo..