Ieri abbiamo scritto che la vicenda della legge elettorale “rimaneggiata” dalla Corte Costituzionale rappresenta un brutto, ulteriore passo verso la “giurisdizionalizzazione” dello Stato e del diritto, verso, cioè, la fine dello Stato di Diritto.
A condividere il nostro sgomento per il fatto che nel nostro Paese a “fare” la legge elettorale possa essere altri che il Parlamento e, cioè, la Corte Costituzionale, sono stati in due: Berlusconi e la C.E.I.
Una compagnia che non mi appartiene solitamente. Nessuno dei due ha presentato il fatto come espressione di un più ampio (e pericoloso) movimento per uno Stato di “giurisdizione” invece che “di diritto”. Ma di ciò non c’era bisogno. La rilevanza di quanto denunziato non ha bisogno di questa classificazione.
Né c’è bisogno di trovare una risposta al perché di tale presa di posizione che nell’uno e nell’altro caso darei per scontato non dipendere, o da non dipendere solo, da una affezione ai principi della divisione dei poteri ed a quelli delle sovranità popolari e della sua rappresentanza.
Quanto a Berlusconi è evidente che la sua preoccupazione è quella di impedire che ciò che resta della legge sia da considerare quello che ci consentirebbe di votare subito, per sottolineare, invece, che ci vuole una nuova legge, che tenga presente la sentenza, ma che respinga il “rimaneggiamento” come “prodotto finito”.
Non so invece quale sia l’origine di questa attenzione che da parte della C.E.I. viene per il rispetto della divisione dei poteri e per la sovranità popolare. Sarebbe bello che, con un gesto che ci compensi di antiche scomuniche, i Vescovi italiani si facessero carico del rispetto di principi una volta scomunicati e demonizzati dalla Chiesa. Può darsi però, che, anche per la C.E.I. vi sia un “secondo fine”, in ordine ai modi ed ai tempi per votare.
Una cosa vorrei: che nessuno mi venisse domani a dire che, poiché è Berlusconi e sono i Vescovi a dire che non è la Consulta a dover fare la legge elettorale (e nessun’altra legge), ciò non può essere condiviso.
A tutto c’è un limite. Anche alla sciocchezza.
Mauro Mellini