Non credo che le difficoltà in cui si trova la Sindaca di Roma, Virginia Raggi, possano essere determinate, come la stampa pressoché unanime tende a far credere, dall’incapacità sua e del suo partito di affrontare persino le questioni preliminari del suo non facile compito.
Non si tratta, almeno, soltanto di incapacità e di inesperienza. C’è una determinazione di un po’ tutti quanti si muovono a vario titolo intorno a loro di non apparire secondi nella “caccia all’errore” di un gruppo politico fragile nella sua consistenza, legata a facili malumori ed a legami pressoché casuali tra i suoi componenti. Un gruppo che un po’ tutte le altre forze politiche hanno adottato come lo spauracchio, il portatore della catastrofe che essi si sono scelti come alternativa al loro ruolo ed alla loro sopravvivenza.
“Caccia all’errore” e “caccia all’untore”, che sono essenziali, se non determinanti, nella politica del nostro Paese.
Detto questo si può passare al secondo aspetto della questione: l’autolesionismo di un Movimento che, venuto rapidamente alla ribalta della vita politica cavalcando il sospetto, la diffidenza, il pregiudizio, il forcaiolismo, il mito di una giustizia vendicatrice e l’identificazione, invece, del diritto e delle sue garanzie con la sua possibilità della sua deformazione ed elusione, arrivato a ricoprire ruoli di potere e di responsabilità, è prigioniero di questo suo modo di vivere “in negativo” la politica e l’amministrazione alla Cosa pubblica.
Singolare è l’episodio della Raggi che si è rivolta a questa grottesca “Autorità anticorruzione” per avere un parere sulla nomina del suo Capo di Gabinetto, carica che presuppone una fiducia piena ed un apprezzamento personalissimo.
Un atto che corrisponde perfettamente alla mentalità grillina (oltre che alla stranezza di questa che è la più assurda tra le “Autorithy” di più o meno recente istituzione). Qualcosa come la richiesta di uno sposo che subordina il suo SI all’altare o davanti al Sindaco al parere sulla sposa, sulla donna che dovrà essere la compagna della sua vita, alle informazioni che ne richiede al Commissario della Squadra del Buon Costume.
Ma non si tratta solo di “grillismo”, né delle conseguenze, di quel tipo di aggregazione dei portatori di malumori. L’”antipolitica”, la prevalenza della retorica, delle scene e dei clamori delle comunicazioni alle masse e della prevalenza della vellicazione delle emozioni sulla ragione (di cui il cavalcare i malumori e il rovescio della medaglia e l’esasperazione) sono fenomeni presenti in varie epoche della storia, comunque camuffati, e sembrano prevalenti ai nostri giorni.
Ed è fenomeno grave e pericoloso della nostra epoca l’affidarsi della ragione e della fede in essa professata da minoranze intellettuali o da ampi e meno colti strati della popolazione, a persone e forze politiche ritenute più adatte a far ricorso alla retorica ed alle emozioni e di valersi dei metodi per ottenere ciò.
Quando Pannella volle offendermi e demonizzarmi, perché ero contrario alla c.d. transnazionalità e transpartiticità che camuffava lo scioglimento del P.R., mi definì “parassita”. Non sono mai riuscito a perdonargli questa offesa ingiusta e gratuita, ma, a sua volta, Egli di ciò non se ne curò affatto. Ma “parassita” se non a me e ad altri che hanno avuto storie simili alla mia, è termine che potrebbe con qualche ragione riferirsi invece al fenomeno, come tale, del liberalismo e di quanti hanno fede nella ragione di fronte al sistema del ricorso alla retorica ed alla manipolazione delle emozioni e degli umori, e si rimettono a quanti ne sono capaci.
Stoltamente parassita e falsamente plaudente è la politica e la ragione che deve ispirarla di fronte alla retorica di quelli che sanno spacciare il vuoto del loro pensiero.
Il ritorno alla ragione, la vittoria di una nuova razionalità, di un nuovo illuminismo e la loro rivincita su gli orribili irrazionalismi, e nelle molte altre ideologie liberticide che hanno funestato la nostra epoca, non potrà avvenire se non quando la fede nella ragione, saprà liberarsi di questo suo complesso di inferiorità verso la retorica e l’arte della “comunicazione” e del ricorso al vuoto della demagogia ed alle ovvietà dello sfruttamento dei malumori.
Il discorso sulle vicissitudini capitoline della Raggi si è forse allargato un po’ troppo.
A Napoli, si sarebbe detto una volta “perdonate ‘e chiacchiere”. Perdonate le mie “chiacchiere” se tali le riterrete.
Mauro Mellini
02.09.2016