Abu Muhammad Al-Adnani, il portavoce dell’Isis e numero due del Califfato, conosciuto per gli appelli ai “lupi solitari” a colpire in Occidente è morto. Ora USA e Russia si contendono la palma della vittoria ma questo è un “dettaglio” del conflitto in corso, un dettaglio ben meno pericoloso delle grida di vittoria di osservatori e media che già parlano di “duro colpo all’Isis”.
Affermare che l’uccisione del capo della propaganda dell’organizzazione terroristica sia un duro colpo inflitto allo Stato Islamico è invece un’affermazione da incoscienti. Non dimentichiamo che per i terroristi dell’Isis, Adnani è morto martire e questo gli conferisce importanza e rispetto da parte dei suoi adepti. Nell’audio del 21 maggio scorso, Adnani aveva lanciato un lungo appello alla guerra durante il Ramadan. Si era inoltre rivolto agli USA dicendo che “anche se l’Isis tornasse nel deserto non sarebbe sconfitta perché la vittoria giungerà dalla sua determinazione”.
Forse l’Isis conosce difficoltà sul terreno ma resta l’appello a quelli che troppo spesso sono considerati fanatici a caso, i cosiddetti lupi solitari, che rispondono invece ad input ben precisi. Sono quindi i soldati del Califfato. Né più né meno.
Prima di cantar vittoria per l’uccisione di un membro, per quanto molto importante, dell’organizzazione terroristica, sarebbe utile e prudente chiedersi se la sua uccisione non possa scatenare o anticipare nuovi attentati in suo nome. Quanti attentati sono stati perpetrati dopo la morte di Bin-Laden in nome di al-Qaëda?
La morte del portavoce dell’Isis non è la morte dell’organizzazione.
Luisa Pace