Dedicato a te
Il risveglio è lento, forse l’alcool della sera prima non ancora metabolizzato, forse la stanchezza accumulata in mesi di lavoro, o forse semplicemente l’età che comincia a farsi sentire.
Mi accorgo che è tardi dal sole che mi batte sul viso, e dalle voci dei bambini in salone.
Sento che schiamazzano, e sento rumore di oggetti che all’inizio non riesco a identificare, poi capisco: sono Lego, bambole, macchine, pupazzi, giochi per la play.
I bambini si sono svegliati prestissimo, e pieni di eccitazione hanno ricominciato a giocare con i regali.
Sorrido con gli occhi ancora chiusi, poi li apro mentre mi giro verso mia moglie e vedo che anche lei è sveglia e sorride.
Mi piace questa complicità coniugale, questo intendersi senza parlarsi, è la cosa più bella di un matrimonio, capirsi al volo. Ci diamo un leggero bacio sulla punta delle labbra e ci facciamo gli auguri, poi io guardo l’ora e scopro che sono già le dieci passate.
Mi metto a sedere di scatto, e scendo dal letto.
Passando per il salone saluto i bambini, che mi mandano qualche bacio d’ordinanza ma in realtà non mi filano più di tanto.
Per terra c’è mezzo biscotto sbriciolato, segno che il maschio, più grande, non ha aspettato la colazione.
Sorrido di nuovo, oggi non c’è nulla che mi può dare fastidio, e vado a scaldare il latte.
Facciamo colazione, parliamo di Babbo Natale e dei suoi regali, e di cosa faremo oggi.
Do’ un’occhiata fuori, non piove ma c’è qualche nuvola in lontananza.
Farà freddo, mi chiedo, e mentre vado a fare la doccia penso a cosa mettermi.
Alla fine indosserò jeans e un maglione, e sopra un giubbotto impermeabile, hai visto mai dovesse piovere.
Saluto ed esco, vado a prendere i miei suoceri, oggi pranzeranno da noi.
Il tragitto è breve ma sono anziani e anche un chilometro per loro è ormai impegnativo.
Mentre salgono in macchina ci facciamo di nuovo gli auguri; sono eleganti: per quelli della loro generazione anche un pranzo di Natale è un evento sociale che richiede cura e preparazione.
Arriviamo a casa e appena apriamo la porta i bambini corrono incontro ai nonni: li adorano, ricambiati e anche se li vedono spesso ogni volta è festa grande.
La piccola si attacca alle gambe della nonna, io la prendo e la sollevo così che la possa baciare.
Poi quando si sono seduti in poltrona e i bambini li assediano finalmente vado in cucina a dare una mano a mia moglie.
Entro ma lei ha già fatto quasi tutto, mi sorride e mi chiede un aperitivo.
Apro il frigo, prendo lo spumante avanzato da ieri sera e ne verso un po’ per me e per lei.
Brindiamo, e chiacchieriamo di qualche impegno da prendere, abbiamo un invito dai miei per domani sera, e magari stasera ce ne andiamo al cinema.
E’ quasi ora di pranzo, ormai non mancano che pochi minuti, io lascio un attimo mia moglie e vado nello studio.
Passando per il salone vedo nonni e nipoti che parlano velocemente tra di loro e si raccontano di tutto e ancora una volta sorrido, oggi sono un uomo fortunato.
Vado nello studio, appoggio lo spumante sulla scrivania e accendo il computer.
Controllo le email, navigo un po’, però non sono a mio agio, non so perché. Riprendo lo spumante ed esco in balcone.
C’è vento, un vento secco e freddo.
Le nuvole si sono quasi completamente allontanate e il sole riscalda il mattonato.
Sto fermo un attimo, lo sguardo perso lontano, e i pensieri confusi, quando improvvisamente un fulmine squarcia l’aria.
Un solo, singolo fulmine di potenza terrificante, che lascia un pungente odore d’ozono, e un silenzio irreale, rotto dopo qualche secondo dalle grida dei bambini spaventati, dalle auto che suonano e dalle conversazioni per strada delle persone che puntano il dito veso il cielo.
Solo io sorrido, alzo lo spumante in segno di brindisi, e penso “auguri anche a te, ovunque tu sia”.
Poi mi sento chiamare.
Il pranzo è in tavola.
Rodocarda