L’aria di crisi che oramai soffia sull’Antimafia, quella demenziale e quella affaristica (e sulle “zone grigie” tra l’una e l’altra) sembra riflettersi anche sull’arroganza di certi esponenti che mi danno l’impressione, forse troppo ottimistica, di attenuarsi proprio in relazione a quelli che, negli ultimi mesi e giorni sono stati i campi preferiti per le intollerabili minacce con le quali i “guardiani del komeinismo antimafioso” pretendono di imporre il loro “predominio morale” (si fa per dire, naturalmente). Riprende, invece, il piagnisteo e la spasmodica invocazione di un attentato purchessia.
La manifestazione a Roma dei fans di Di Matteo, gli ultras dell’antimafia demenziale, che avrebbe dovuto essere la “prova di forza” per eccellenza, si è risolta in un flop clamoroso, che ha scatenato la “rabbietta”, per la totale disattenzione della stampa e degli esponenti politici di ogni colore, da parte degli organizzatori delusi da quel misero centinaio, più o meno, di appartenenti alle varie confraternite venuti ad ascoltare a Roma tiritere e lamentazioni oramai insopportabili ovunque.
Di contro le scempiaggini dei soliti personaggi della congrega, cui si sono aggiunti alcuni oltranzisti dell’Antimafia da tempo a riposo, hanno in quell’occasione superato ogni limite. L’intimazione rivolta al Presidente della Repubblica di andare a rendere omaggio a Di Matteo è l’esempio classico della perdita di ogni senso del limite di chi è in balia del naufragio delle proprie baggianate.
Ma dal 14 novembre direi (ma in questo campo non ci sono regole e previsioni possibili: la fuga dalla ragione non è mai conoscibile facilmente dalla ragione degli altri) che l’Antimafia demenziale si sia ripiegata su sé stessa, magari per qualche strattonata prudente dell’Antimafia degli affari, che sente puzza di bruciato. Meno arroganza, più piagnisteo.
Sono passati alcuni giorni senza che si siano levate grida di indignazione per la mancata apoteosi di Di Matteo. Non succedeva da tempo.
Di Matteo che dice: “se mi succede qualcosa è con Riina che ve la dovete prendere” è qualcosa di autoiettatorio, grottesco ed umoristico.
Vedremo prima o poi di che si tratta.
Non è forse ancora il momento di chiudere i conti su questa sconcia operazione di tentata apoteosi di un personaggio, di tentata copertura di baggianate passate ed attuali, di tentata demonizzazione dei sempre più numerosi e più manifesti scettici, stanchi del “babbiare” di guru, fratelli di Vittime, furbastri e profittatori. Ma alcune considerazioni possono e debbono essere fatte.
C’è una prova logica della falsità un po’ buffonesca della storia dell’attentato a Di Matteo con relativo bidone e con conseguente macchina blindatissima con dispositivo anti accensione elettronica di bombe etc. (a spese di Pantalone ed a scapito di altri realmente o più gravemente in pericolo).
La prova è costituita proprio dalla delirante insistenza nella richiesta di “riconoscimenti” di autorità varie, addirittura, di un “omaggio” del Presidente della Repubblica, insistenza che è andata crescendo fino a divenire, al contempo, minacciosa e ridicola.
Quell’insistenza spasmodica non è solo espressione di una scarsa razionalità, di un equilibrio mentale alterato. C’è da ritenere che sia una “necessità” per “coprire” le baggianate: quella dell’annunzio delle condanne da parte di Totò Riina e quella (o quelle) che quell’annunzio doveva a sua volta coprire.
Nessuno va a guardare dietro le tele di indiscussi e noti capolavori della pittura per vedere se c’è un “espertisse” che ne attesti l’autenticità. Si va a guardare se c’è in quadri di dubbia origine, di opere comunque mediocri pesantemente sospettate di falso.
Il “bollo” dell’omaggio di Mattarella, di ministri e autorevoli giornalisti è stato invocato, preteso, tentato di estorcere perché la storia dell’attentato fa acqua da tutte le parti, così come il processo per la “trattativa”, e si vuole coinvolgere nella “bufala” quanta più gente possibile e la più autorevole possibile perché tale coinvolgimento supplisca alla intrinseca mancanza di credibilità del raccontino.
Ma c’è assai di più. A parte la storiella dei “caratteri fenici” dei pizzini di Totò Riina contenenti la “condanna”, che avrebbe dovuto far ridere anche le galline, ed a parte le assurdità di un Totò Riina, ben noto per la sua prudenza nell’evitare di esser intercettato, che, invece si fa sentire mentre annunzia l’attentato (considerazione estensibile al preteso progetto di attentato ad Angelino Alfano, altro “beneficato” di tali proclamazioni) sta di fatto che ci sono state, almeno da parte dei media, vere e proprie falsificazioni di colloqui di Riina con un “non mafioso”, Lorusso, (!!!!) per trasformare tali lagnanze per l’attribuzione di aver propalato propositi omicidi in “discorsi sull’attentato da compiere”.
Dovremo probabilmente, tra non molto, parlare di un complotto vasto e complicato. Non un complotto per un attentato (o due), ma per inventare un attentato, per attribuire a buon mercato un’aureola di eroismo che copra note baggianate.
Come se non bastassero gli attentati veri ed i complotti della mafia. Ecco gli attentati falsi ed i complotti veri. Quelli dell’Antimafia.
Mauro Mellini