“Una puttanata pazzesca”, così il senatore piemontese del Pd, Stefano Esposito, definì la campagna nazionale anti-corruzione dei “braccialetti bianchi” di Libera e Gruppo Abele.
Già, una puttanata pazzesca, visto che altro non sarebbe stata se non una versione in chiave moderna della novella pirandelliana “La patente”.
Se l’opera dello scrittore agrigentino risultava intrisa di amaro umorismo, con il protagonista che per esistere è costretto ad assumere una “maschera” da altri voluta, in quel caso quella dello iettatore, le attuali vicende assumono toni ben più drammatici e che nessuno spazio lasciano all’umorismo.
Dalla maschera dello iettatore, che, a causa delle dicerie sul suo conto perde il lavoro e per sopravvivere escogita di andare a processo per poter ottenere la “patente” di menagramo, in modo che ovunque vada ci sia chi lo paghi purchè si allontani, a quella di “antimafioso doc”, che oggi spalanca le porte a carriere, affari e fortune d’ogni sorta. Una puttanata pazzesca, che più di qualsivoglia opera pirandelliana, fa emergere l’impossibilità di interpretare in senso univoco l’identità soggettiva.
Come lo status di iettatore veniva da altri proiettato, ancora oggi le qualità di antimafiosità della nuova “patente” non sono intrinseche nell’identità soggettiva ma nella maschera, a volte grottesca, di chi, facendo di necessità virtù, si ritrova folgorato, o a folgorare, sulla via di Damasco.
Un caso più paradossale ancora di quello del giudice D’Andrea dell’opera pirandelliana, che, in quanto esponente della legge e della razionalità, non può certo credere all’esistenza della sfortuna né può tutelare in alcun modo gli interessi dello iettatore, ma che grazie alla confusione che regna nel nostro Paese tra potere legislativo, esecutivo e giudiziario, in virtù della questione di ordine morale, dà la possibilità a qualcuno, non a tutti ovviamente, di rilasciare patenti di legalità. Una puttanata pazzesca, per l’appunto.
A rilasciare benemerenze e patenti nella lotta alle mafie ed all’illegalità, sembra che in Italia il compito spetti a quel centrosinistra che vede oggi nel Pd uno dei partiti maggiormente coinvolti negli scandali romani – ma anche in altre regioni – l’associazione antimafia per eccellenza, Libera, e qualche organo stampa appartenente alla stessa area politica.
In attesa che i suddetti uffici di rilascio patenti, oltre ad indicarci i “buoni”, ci dicano i nomi dei “cattivi”, specie quelli della cosiddetta “zona grigia”, prima che gli stessi vengano travolti dalle bufere giudiziarie che a ben altri “braccialetti” portano, analizziamo alcuni fatti narrati nella relazione alla Commissione Antimafia, presentata dal senatore (Pd) Esposito.
Scrive Esposito che un giornalista del Messaggero, ha stampato diversi libri su Ostia grazie ad associazioni di Balneari in odore di mafia che hanno finanziato i suoi progetti editoriali e che lo stesso non ha mai pubblicato a sua firma un articolo critico nei confronti delle attività balneari.
Un fatto di per sè gravissimo, sempre che Esposito dimostri quanto dichiara, che potrebbe far conseguire la patente di “cattivo” al giornalista, dallo stesso senatore criticato poiché dava spazio ad associazioni che hanno presentato esposti contro il malaffare ad Ostia, i cui nomi compaiono nelle intercettazioni di soggetti arrestati che erano “molto infastiditi” dalle suddette associazioni, anch’esse criticate dal senatore antimafia.
Vorrà l’associazione osannata da Esposito consegnare la patente di “cattivo” al giornalista? O il senatore antimafioso, dopo aver accertato i fatti, vorrà presentare un’ulteriore relazione che contenga i finanziamenti di cui ha goduto, e forse gode ancora, quella che sembra sempre più un’appendice di una certa frangia politica, che rilascia le patenti?
Sarebbe da ridere in quel caso, visto che tra chi finanziava la nota associazione antimafia compaiono colossi come l’Unieco, i cui rapporti con società riconducibili a soggetti non proprio cristallini sono cosa nota. L’elenco degli sponsor sarebbe troppo lungo da fare.
Limitiamoci dunque alle “patenti”, come quando a Genova, il leader di Libera nel 2012 si schierò al fianco di Burlando e della sua giunta – dimentico del fatto che già all’epoca la stampa riportava notizie poco “tranquillizzanti” – ringraziandoli e presentandoli come esempio di lotta alla mafia.
Notizie che nel tempo si son fatte anche più allarmanti, considerato che un’indagine con 86 indagati vede coinvolta tutta l’ex giunta regionale di Burlando. Tra i reati contestati: disastro ambientale colposo aggravato e disastro sanitario colposo aggravato per gli amministratori e i dirigenti dell’azienda; abuso d’ufficio e disastro colposo aggravato per i pubblici amministratori ed i funzionari di Comuni, Provincia, Regione ed altri enti; omicidio colposo plurimo e l’abuso d’ufficio per i responsabili aziendali e gli amministratori pubblici.
Ma si sa, una patente è come un buon consiglio o un’assoluzione, non la si rifiuta a nessuno. È questo il caso di “Casal di Principe”, quando, come riportato da diversi siti web, il sindaco e l’assessore con Libera distribuivano targhe anti-camorra. Stesso sindaco e assessore finiti in manette perché collusi con i Casalesi.
L’elenco delle “patenti facili” sarebbe lungo assai e se quelle di guida portano nelle aule giudiziarie, lo stesso non può dirsi per il rilascio di quelle antimafia. Non si tratta di una questione di illeciti ma solo di ordine morale. Amici vitia si feras, facis tua…
Una questione di convenienza non certo economica, ma etica. Quella stessa etica che dovrebbe portare a rispedire al mittente i finanziamenti, quando questi non appare degno di “patente”, o ad allontanare quanti hanno comportamenti “singolari – per come scrive di alcune altre associazioni l’antimafioso Esposito – , per non dire simili nei modi e nei comportamenti a famiglie malavitose”.

Ma la Chiesa, si sa, assolve e offre l’altra guancia. E il leader dell’associazione, legata a doppio filo al partito antimafia per eccellenza, è uomo di chiesa. Certo, a volte accade possa perdere le staffe e in quel caso sono guai. “Scelte improprie e i comportamenti discutibili attribuiti ad esponenti dell’associazione «Libera»” scrisse il giornalista Antonio Amorosi in un articolo dal titolo “Non lavoro più in nero per te”
– Don Ciotti lo prende a ceffoni”, pubblicando la lettera del Don inviata a Filippo Lazzara, con la quale il prete si scusa per le “sberle” e le “pedate” date al giovane.
Tutto il mondo è paese e anche all’ombra della torre Eiffel, seppure non in termini di sberle e pedate, le reazioni non mancano.
Anche in questo caso i metodi sono quantomeno “singolari” e i soggetti legati allo stesso ambito.
La vicenda trae origine dal diniego da parte del Prof. Aurelio Alaimo, Dirigente Scolastico dell’Istituto comprensivo statale “Leonardo da Vinci” di Parigi, ad un incontro con familiari di vittime innocenti di mafia. Una brutta storia che portò un esponente del Pd di Parigi a rimproverarci il fatto di non essere passati attraverso Libera o il Pd, un percorso evidentemente obbligato per chi in sedi istituzionali vuol parlare di antimafia. Evidentemente, come per la patente di guida, anche all’estero vale la “patente antimafia”.
E anche a Parigi, Pd, Libera ed una certa editoria hanno voce in capitolo. Alla maniera del Marchese del Grillo, “io so io e voi non siete un cazzo”, una fitta rete di associazioni legate con un filo rosso, stabilisce chi può e chi non può.
Difficile, per chi venendo dalla Sicilia e abituato a dir di no a ben altri soggetti, accettare obtorto collo l’imposizione. La storia di un filo rosso che collega la Région Ile-de-France alla regione Emilia-Romagna, il collante tra partito, stampa e associazioni,rosso come quello che vorrebbe essere un’ormai inesistente sinistra, finisce così con l’essere raccontata sulle pagine del nostro giornale.

La Zarina che non fa mistero dei suoi buoni rapporti, è un fiume in piena e riferendosi ad alte figure istituzionali che rappresentano l’Italia a Parigi, afferma: “sono il meglio che ci possa essere nel mercato estero e io con questi riesco finalmente a lavorare”.
“Il Pd e la Zarina (al secolo Patrizia Molteni)” racconta di quel “mercato estero” dove persino rinnovare un documento diventa quasi impossibile, salvo, come lascia intendere la Molteni, non si abbiano buoni rapporti e non si conosca qualcuno all’interno delle istituzioni.
Nell’articolo non mancano i bei nomi, come l’associazione “Libera” di Don Ciotti, la cui Presidente in Francia è Maria Chiara Prodi. Bolognese, coordinatrice artistica de l’Opéra Comique,membro della Consulta degli Emiliano-Romagnoli nel mondo, co-fondatrice di ExBo (network dei bolognesi all’estero), nel consiglio d’amministrazione della rete delle associazioni italiane in Francia.
La nipote dell’ex Presidente del Consiglio dei ministri, Romano Prodi, anche lui emiliano, come l’illustre zio è legata al Pd, tanto da essere stata candidata all’Assemblea nazionale del PD nella lista Civati di Parigi.
Partito, associazioni e stampa fanno un tutt’uno indiviso e indivisibile. In nome di un bene comune, cultura, ambiente, informazione, legalità, la macchina politica determina gli spazi di agibilità degli italiani a Parigi.
Troppo perché la Zarina possa rimanere impassibile. Come nelle migliori famiglie, la vendetta è presto pronta. All’ombra della torre Eiffel, del Pd e delle associazioni, la vendetta si consuma in maniera trasversale.
Dopo oltre dieci anni di collaborazione con il giornale della Molteni, il nome di una giornalista non compare più tra quelli dei componenti della redazione.
Non una spiegazione, non un richiamo, nulla. Colpevole della vicinanza con l’autore dell’articolo. Tanto basta! Absit iniuria verbis, un metodo a ben altri soggetti ascrivibile…
Braccialetti e patenti? Una puttanata pazzesca…
Gian J. Morici