Alla scadenza dell’”affidamento in prova” di Berlusconi, momento cruciale della sua politica del “salvare il salvabile” dopo il disarcionamento dal governo, la condanna e l’espulsione dal Senato, è arrivata, puntuale come ad un appuntamento, quella che, oramai, appare come la dissoluzione finale di Forza Italia e del suo progetto politico.
Ne prendiamo atto senza ombra di compiacimento e senza alcun vero rimpianto.
Il progetto politico di Berlusconi, e ci sono voluto vent’anni perché fosse comprensibile a gente assai più acuta ed attenta di noi, era in partenza un progetto allo stesso tempo zoppo e troppo ambizioso.
Era zoppo perché non prevedeva assolutamente, per la forza politica che il Cavaliere aveva messo assieme al crollo del regime consociativo democristiano, un ruolo che non fosse quello di una successione alla D.C. l’occupazione del governo (non direi altrettanto facilmente “del potere”) senza attribuirsi, nemmeno in ipotesi, il ruolo di una forza di opposizione.
Basta questo per concludere che Berlusconi e gran parte dei suoi, che non avevano altro titolo politico che quello di suoi “seguaci” (“fedeli”, come si è visto, sarebbe stata un’esagerazione) non avevano la minima idea e la minima voglia di costituire un partito, un partito democratico e liberale.
C’era il progetto di governare l’Italia, formulato in un momento in cui ci voleva fegato per pensarlo. Governarla purchessia. Meglio di niente e meglio del governo ad una Sinistra chiacchierona, ambigua, prepotente e tendenzialmente violenta. Di essersi assunto questo compito va dato il merito, per quel che è possibile, a Berlusconi ed ai suoi (si fa naturalmente, per dire e senza badare a pur evidenti distinzioni).
Per definire la sua parte politica, la forza che aveva creato, Berlusconi non trovò di meglio che un termine che, più che un aggettivo, è un avverbio: “i moderati”. Che, almeno per ciò che riguarda la politica, deriva da “moderatamente” (e non viceversa).
Raccogliere quanti “moderatamente” tirano a campare nella politica e nella vita sociale del nostro Paese (ma non solo) è in sé una rinunzia a qualificarli ed a qualificarsi, “Moderatamente” democratici, “moderatamente” conservatori, “moderatamente” rivoluzionari, “moderatamente” onesti e “moderatamente” ladri, “moderatamente” credenti e “moderatamente” atei.
E potremmo continuare assai a lungo.
Per concludere, più o meno con un sinonimo di nulla, nessuno, tutti, niente.
Ma, a parte le pur assai rilevanti questioni filologiche, l’inconsistenza del progetto del Cavaliere, al di fuori dell’ipotesi dello stare al governo, di governare, di occupare Palazzo Chigi, si è manifestata appieno il giorno in cui una non imprevista condanna, a conclusione di una lunga e sfacciata persecuzione giudiziaria, alla quale mai Berlusconi aveva voluto (o saputo) rispondere con una altrettanto clamorosa denunzia del “Partito dei Magistrati”, del loro appropriarsi della Giustizia come strumento di prevaricazione e di parte, della loro addirittura teorizzata eversione di ogni equilibrio costituzionale.
Dopo aver “tirato a campare” stando al governo, rinunziando alla “rivoluzione” dello smantellamento dell’apparato corporativo-burocratico che la D.C. aveva ereditato dal fascismo potenziandolo ed adattandolo alle sue esigenze, Berlusconi decise di “starsene buono”, di “andare ai Servizi Sociali”, formalmente presso quella istituzione benefica, di fatto (e non solo) presso i governi, quello Renzi in particolare.
Il Patto del Nazareno fu, in buona sostanza una appendice di quell’affidamento in prova. Che ha dato il risultato, in sé inusuale, di un autentico “ravvedimento” del “delinquente”. Il ravvedimento sui fatti. L’autodistruzione politica.
Oggi, concluso “positivamente” l’affidamento in prova ai Servizi Sociali ed a quelli politici (Nazareno) del presidente Renzi, la Destra che, più o meno legittimamente Berlusconi e Forza Italia avevano rappresentato nella buona e nulla cattiva sorte, non c’è più.
Ne sono rimasti dei brandelli anche un po’ sporchetti, un ricordo confuso e contraddittorio. E, quel che è peggio, l’unico partito rimasto bene o male in piedi, il Partito Democratico, se ne è accaparrato una parte rilevante, non disdegnando di fare lo “stracciarolo”.
Berlusconi si porta ancora addosso il marchio, conseguente alla sua condanna, di cui ha scontato “col buon esito dell’affidamento…” la pena, il marchio della “incandidabilità” per la Legge Severino. Un vero marchio perché è quello di cui il Cavaliere ha indiscutibilmente la colpa, avendo F.I. votata quella indecente legge di violazione della Costituzione, si direbbe quale “prova”, anch’essa, del suo “ravvedimento”. Una legge che si fa beffa, oltre che della Costituzione, della logica e del buon senso, stabilendo che alcuni cittadini, che per la Costituzione sono elettori ed eleggili a tutte le cariche, sono però “incandidabili”. Come dire: tutti hanno diritto di ingresso nel Palazzo, ma alcuni non possono attraversare la porta, sia quella principale che quella di servizio.
Alle prossime elezioni regionali e comunali di maggio, il Partito di Berlusconi uscirà ulteriormente malconcio: ridotto al livello degli altri “stracci”.
La Destra, in altre parole, non c’è più. Il che non sarebbe un gran male se qualcuno avesse raccolto il suo compito: di liberare l’Italia dalle pastoie di un corporativismo pseudosocialista, dall’intrigo degli enti e delle alleanze di essi con i poteri forti. Chiamatele pure riforme certe liberazioni. Ma non confondetele con il Renzismo, che è la retorica sgradevole delle devastazioni dello Stato e della sua Costituzione, che le chiacchiere del Renzismo gabellano per riforme.
Andiamo verso un periodo, non breve, di partito unico. Anzi di “diarchia” unica P.D.-Partito dei Magistrati. Non dimentichiamolo.
C’è qualcosa, che, per chi ha la mia età ed i miei amarissimi ricordi si fa sentire come imminente: tra il P.D. ed il Partito dei Magistrati si va stabilendo, tra mille ambiguità, un rapporto che ricorda quello tra il fascismo e la monarchia.
Auguriamoci tutti che si tratti delle farneticazioni senili di un sopravvissuto.
Ed auguri. Auguri, almeno di sopravvivenza.
Mi direte: e tu che farai, che farete voi (i miei amici). Mi resta, comunque, poco da fare. Una cosa però è certa. Oggi, come quando, adolescente, cominciai a guardarmi intorno in un Italia desolata e desolante, più di oggi, dico, con tutta la forza che mi resta: “NO AL PARTITO MONOCRATICO”.
Mauro Mellini www.giustiziagiusta.info