Era il mese di dicembre quando raccontavamo della presentazione del libro “Journalistes francais dans la Roumanie comuniste”, presso l’Ambasciata di Romania a Parigi.
Un libro definito “un ambizioso puzzle” dalla giornalista Iulia Badea-Guéritée, nel quale veniva messo insieme quello che era stato pubblicato dalla stampa francese sulla rivoluzione rumena del dicembre 1989, che portò alla caduta del Nicolae Ceaușescu.
Quella stessa sera avevamo notato che Radu Ciobotea, coordinatore del libro, vice direttore dell’Istituto Culturale Romeno di Parigi, con un passato di reporter di guerra nei Balcani, consigliere dell’ex ambasciatore romeno a Parigi, Theodor Baconschi e poi console rumeno a Balti, Moldova, non sedeva al tavolo dei relatori al quale si trovavano giornalisti francesi delle più importanti testate, l’ex primo ministro romeno Petre Roman e l’editore del libro Daniel Choen.
A moderare l’incontro, in atteggiamento quasi da vestale, Yvette Fulicea, direttore dell’Istituto Culturale Romeno, la quale di volta in volta nel dare la parola agli ospiti, sembrava cercare con lo sguardo l’approvazione dell’Ambasciatore Bogdan Mazuru, seduto in prima fila a seguire il dibattito.
A far da contraltare all’eco del ricordo dei rumori della rivolta alla dittatura di Nicolae Ceaușescu, l’assordante silenzio di Radu Ciobotea nell’eludere ogni domanda e ogni accenno a quella che sembrava soltanto la farsa della presentazione del libro. In quella circostanza, avemmo l’impressione che nelle stanze dell’Ambasciata aleggiasse ancora lo spirito del dittatore, tanto da chiudere il pezzo con la domanda: “Ceaușescu è tornato a casa?”
I segnali c’erano tutti. Le ultime elezioni avevano mostrato il volto di un paese vittima di fenomeni clientelari, della dilagante corruzione e della scarsa libertà di opinione e informazione. Nel corso del primo turno delle elezioni, tenutesi il 2 novembre, nonostante l’affluenza alle urne fosse stata in generale molto bassa, molti romeni a causa della scarsità dei seggi elettorali non erano riusciti a votare all’estero dove sono residenti.
Pochi seggi per più di tre milioni e mezzo di elettori. Le proteste non erano mancate. Così come gli interventi da parte delle forze dell’ordine chiamate dagli stessi diplomatici romeni per far disperdere la folla che reclamava soltanto il proprio diritto al voto.
Lo scandalo aveva portato a dimissioni e nomine di più ministri degli esteri (tre in un solo mese) che davano l’esatta dimensione di quanto squallida e precaria fosse la situazione politica della nazione.
Quasi contemporaneamente ai fatti, arrivavano le prime voci in merito a possibili defezioni di personaggi che venivano ritenuti scomodi perché forse si erano trovati in disaccordo sulla maniera in cui erano stati organizzati i seggi elettorali per impedire ai cittadini di potersi recare alle urne.
Rientrava in questo contesto l’atmosfera pesante che si respirava all’Ambasciata romena di Parigi nel mese di dicembre? Il silenzio di Ciobotea, vice direttore dell’Istituto Culturale Romeno di Parigi, non è stato certo d’aiuto a capire cosa fosse accaduto, né tantomeno pare ci sia oggi la possibilità di chiarire la vicenda. Mi ero sbagliato nel pensare che potesse ancora aleggiare lo spirito del dittatore nelle sale dell’Ambasciata? Se avessi trent’anni, la direi alla De André: “Così pensava forte, un trentenne disperato, se non del tutto giusto, quasi niente sbagliato…”
Il duo composto da Yvette Fulicea, che la sera del 5 dicembre aveva moderato l’incontro, e dall’Ambasciatore Bogdan Mazuru, che seduto in prima fila sembrava con gli occhi tirarle le fila controllandone ogni parola ed ogni gesto, di lì a poco sarebbe incappato in un “incidente” che ne avrebbe segnato profondamente le rispettive carriere.
Dall’ambasciata sono infatti partite le e-mail d’invito ad un evento con il presidente Klaus Johannis a Parigi. La lista degli invitati era però stata commentata da Yvette Fulicea che aveva scambiato diverse email con il personale dell’ambasciata e, per errore, quello scambio di opinioni ed apprezzamenti riguardo gli ospiti da invitare era stato allegato all’invito.
Accanto ai nomi degli invitati, comparivano i commenti personali fatti dai funzionari dell’ambasciata: “indesiderabile” o “abominevole”, un paio delle opinioni espresse nei riguardi degli illustri ospiti.
Inutile dire che la cosa ha fatto molto clamore, a tal punto da far saltare subito la testa della direttrice del centro culturale e quella di un’altra funzionaria della stessa ambasciata. Il Parlamento ha inoltre chiesto il ritiro della carica all’Ambasciatore Mazuru, il quale si è giustificato sostenendo di non avere alcuna responsabilità diretta nella vicenda.
Una storia veramente riprovevole, degna dei peggiori bar delle più degradate periferie di un paese da repubblica delle banane. Impensabile ed ingiustificabile per appartenenti ad un corpo diplomatico. Ma solo di questo si tratta? Se mettiamo in relazione i commenti alla vicenda delle elezioni romene alle quali non hanno potuto partecipare migliaia di cittadini, la situazione appare molto più grave, gettando oscure ombre sull’operato di alcuni funzionari dell’ambasciata e forse sul coinvolgimento dello stesso Ambasciatore Mazuru, il quale non ha fatto nulla affinché venisse garantito il diritto dei propri cittadini a poter espletare e operazioni di voto.
Ceaușescu è morto? Sembra di si. Forse è morto a Parigi. Se sia vero lo scopriremo da come evolverà la situazione. Se verranno rimossi i funzionari infedeli, lasciando al proprio posto chi ha servito il Paese e i suoi cittadini, di Ceaușescu potremo proclamarne ufficialmente la morte. Viceversa, se anche uno solo degli uomini che hanno servito il proprio popolo e il proprio Paese, dovesse pagarne le conseguenze, saremo costretti a pensare che i colpi di coda e le ritorsioni sono la dimostrazione di come i serpenti siano duri a morire, e rivedere l’opinione che abbiamo in merito alla democrazia che dovrebbe vigere in uno Stato membro dell’Unione Europea.
Gian J. Morici