Una volta ancora, una volta di troppo un attentato avrebbe forse potuto essere evitato.
Omar El-Hussein, l’attentatore di Copenhagen, aveva trascorso due anni in prigione, tra il 2013 ed il 2015, per un’aggressione al coltello perpetrata nel 2013. Non vorrebbe dire nulla se non fosse che l’amministrazione penitenziaria aveva trasmesso ai Servizi danesi, il PET, un rapporto che metteva in guardia contro il rischio di radicalizzazione del giovane.
Secondo il quotidiano danese «Berlingske», Omar El-Hussein aveva già affermato in prigione di voler recarsi a combattere in Siria, si sarebbe fatto crescere la barba ed aveva sostituito i suoi discorsi quotidiani come ragazze ed auto, con discorsi religiosi, compresa l’ascesa in paradiso. Questi propositi sono stati riportati da chi lo frequentava all’epoca.
La PET ritiene che era impossibile prevedere un attacco sulla base del rapporto penitenziario, poiché in questi casi si prevede che l’amministrazione attribuisca all’individuo un «mentore» per discutere con il detenuto. Non si sa se tale dispositivo era stato messo in atto per El-Hussein.
Secondo un altro giornale «Ekstra Bladet», il ventiduenne avrebbe condiviso su Facebook un video di propaganda in arabo a favore della jihad quarantacinque minuti prima della sparatoria. E secondo «MetroXpress» avrebbe anche pubblicato un messaggio di fedeltà al gruppo terrorista Stato Islamico una ventina di minuti prima di attaccare il centro culturale Krudttønden.
Se è vero che il legame tra il danese ed i terroristi jihadisti non è formalmente stabilito, è vero anche che e Omar El-Hussein era segnalato.
Una segnalazione che ricorda quella dei fratelli Kouachi, conosciuti dall’antiterrorismo francese o quella di Coulibaly, autori delle stragi di Parigi del 7 gennaio scorso. Possiamo anche risalire al 2012 con gli attentati perpetrati da Mohammed Merah nel Sud della Francia.
Qualunque sia il paese sembra che, almeno negli ultimi anni, l’ascesa della radicalizzazione, dei gruppi terroristici in Occidente nonché il fenomeno dei lupi solitari siano stati presi sotto gamba. E’ vero che non si può affiancare ogni “sospetto” con un poliziotto ma monitorare un po’ più da vicino i più radicalizzati è possibile con la giusta preparazione. Da anni terroristi, apprendisti terroristi, e facili preda di predicatori usano Facebook ed altri social network per comunicare. Facebook non è solo un gioco da ragazzi.
Luisa Pace