Da un po’ di tempo Totò Riina,al centro delle più fosche vicende italiane da decenni, sembra avere abbandonato il mutismo che lo aveva sempre contraddistinto. Anzi, peggio. Sembra essere diventato più loquace di una vecchia comare in perenne lite con la vicina di casa.
Questa è l’impressione che chiunque avrebbe nel leggere quanto pubblicato dal quotidiano “la Repubblica” che ha riportato rla conversazione tra Riina e Alberto Lorusso, intercettata durante l’ora d’aria presso la casa circondariale dove i due si trovano detenuti. Di cosa parlano Riina e Lorusso? Argomento principe del discorso il pubblico ministero Nino Di Matteo, del quale il 16 novembre 2013, Riina dice “che deve fare la fine dei tonni”.
La volontà di far uccidere Di Matteo emerge più volte nel corso della conversazione. Qualcosa più di un discorso generico, visto che il vecchio boss rivolgendosi al Lorusso sembra cercare una collaborazione per portare a termine il progetto omicidiario: “E allora organizziamola questa cosa… Facciamola grossa e non ne parliamo più”. Una cosa “grossa”, una strage come quelle che Riina ricorda del suo passato: “Minchia…. perché me lo sono tolto il vizio? Me lo toglierei il vizio? Inizierei domani mattina”.
“Io, il mio dovere l’ho fatto – continua Riina – Ma continuate, continuate… qualcuno, non dico magari tutti, ma qualcuno, divertitevi…”. Un appello o un ordine a chi da fuori il carcere potrebbe pianificare e mettere in atto una nuova stagione delle stragi.
Leggendo le trascrizioni delle intercettazioni e guardando il video che mostra i due che si parlano e dei quali si sentono le voci, qualche domanda viene spontanea. Perchè Riina parla con Lorusso, che, ufficialmente – come riporta la Repubblica – è solo un affiliato alla Sacra Corona Unita mentre in realtà potrebbe essere un personaggio legato agli apparati polizieschi? Può essere che il “capo dei capi” si senta così sicuro da non temere di essere intercettato, o in realtà è proprio quello che vuole?
Riina, detto “Totò u curtu” o “la bestia”, non è sicuramente uno stupido. Certo, è colui che paga per tutti i cosiddetti “colletti bianchi”, per quella politica che ha sfruttato i mafiosi e che li ha poi abbandonati al proprio destino, ma seppure questo non depone affatto bene per chi nella sua vita ha pensato di essere il più furbo di tutti, non può essere sottovalutata la scaltrezza e la ferocia di un uomo che per tanti anni ha tenuto sotto scacco le istituzioni, i governi e, principalmente, i suoi nemici.
Una “qualità”che va riconosciuta a Riina, è la grande capacità di condurre in maniera ambigua le sue relazioni interpersonali creando fratture all’interno di “cosa nostra”. Divide et impera . Non credo che “Totò u curtu” conosca la locuzione latina, ma in materia è innegabile che abbia grande esperienza. Omicidi addebitati ad altri, accuse false di tradimento, il vecchio capomafia non si è fatto mancare nulla pur di raggiungere i suoi obiettivi.
Altra caratteristica dell’uomo, quel parlare senza dir nulla. Senza dir nulla? Ne siamo certi? No, Riina non fa prendere aria ai polmoni. Quello che dice va capito. Ancor più va capito quello che Riina non dice.
Cominciamo ad analizzare e cercare di capire cosa sta dicendo Riina e perchè.
“Questo Di Matteo – scrive la Repubblica -, questo disonorato, questo prende pure il presidente della Repubblica… Questo prende un gioco sporco che gli costerà caro, perché sta facendo carriera su questo processo di trattativa… Se gli va male questo processo lui viene emarginato. Io penso che lui la pagherà pure… lo sapete come gli finisce a questo la carriera? Come gliel’hanno fatta finire a quello palermitano, a quello… Scaglione a questo gli finisce lo stesso” alludendo al giudice ucciso a Palermo. E in merito alla non testimonianza del presidente Napolitano al processo sulla trattativa Stato-mafia: ”Fanno bene, fanno bene.. ci danno una mazzata… ci vuole una mazzata nella corna a quelli di Palermo”.
Perchè Riina fa riferimento al giudice Pietro Scaglione ucciso a Palermo nel 1971 e non ad una qualche magistrato ucciso più di recente e magari per ordine o con il bene placet suo?
La risposta forse possiamo trovarla nell’attività giudiziaria del giudice Scaglione: Scaglione inquisì Salvo Lima, Vito Ciancimino ed altri politici locali e nazionali. Secondo la testimonianza del giornalista Mario Francese,ucciso nel 1979, Pietro Scaglione”fu convinto assertore che la mafia aveva origini politiche e che i mafiosi di maggior rilievo bisognava snidarli nelle pubbliche amministrazioni” .
Un caso? O un messaggio mandato a personaggi di spicco del mondo politico per dir loro di stare molto attenti visto che questo pm, Nino Di Matteo, sta battendo le stesse piste di Scaglione? O ancora un messaggio per dire che lui, direttamente o indirettamente, se non ottenesse nulla potrebbe facilitare la lettura di taluni fatti che coinvolgerebbero uomini delle istituzioni e della politica?
Riina non parla mai apertamente.
“Sono tutti con Napolitano – continua Lorusso -, lui è il Presidente della Repubblica e non ci deve andare (a testimoniare – ndr). Riina: “Io penso che qualcosa si è rotto…”.
Questa potrebbe essere una constatazione del vecchio boss a seguito delle tante inchieste che mirano sempre più in alto e in considerazione del fatto che è sempre più difficile insabbiare le indagini o intervenire sulle sentenze.
Ma la vera sorpresa è quando Riina parla delle stragi di Capaci e di via D’Amelio. Stragi che “Totò u curtu” ha sempre lasciato intendere non fossero opera sua o non solo sua. Riina adesso invece ne rivendica la paternità: “Loro pensavano che io ero un analfabeticchio, così la cosa è stata dolorante, – riferendosi alla strage di Capaci – veramente fu tremenda, quanto non se lo immaginavano. Abbiamo cominciato a sorvegliare, andare e venire da lì, dall’aeroporto… siamo andati a Roma, non ci andava nessuno, non è a Palermo…. fammi sapere quando può arrivare in questi giorni qua. Andammo a tentoni, fammi sapere quando prende l’aereo “. E’ poi il turno di Borsellino: “Cinquantasette giorni dopo, minchia, la notizia l’hanno trovata là dentro… l’hanno sentita dire… domenica deve andare da sua madre, deve venire da sua madre… gli ho detto… ah sì, allora preparati, aspettiamolo lì”.
Frasi troncate a metà con riferimenti a personaggi mai nominati, come nel caso della famosa agenda rossa del giudice Borsellino: Se serve mettigli qualche cento chili in più…Si fottono l’agenda, si fottono l’agenda”. Un altro messaggio a chi ha preso l’agenda o a chi aveva dato l’ordine di sottrarla?
Su Berlusconi, che definisce “buffone”, il capomafia vanta un diritto di vita e di morte. Parla della strage del generale Dalla Chiesa, della quale se ne intesta la paternità ,e dell’appoggio politico di “cosa nostra” all’ex ministro Martelli. Elogia inoltre la figura di Andreotti. Un misto di discorsi da bar nel corso dei quali si parla delle storie di sesso di Berlusconi, conditi da minacce su possibili nuove stragi di mafia o forse da ordini a metterle in atto.
Il padrino sembra avere la necessità di dover dimostrare tutta la sua forza. Perchè? I casi sono due. Uno, Riina teme di passare in secondo piano nella scala gerarchica di “cosa nostra; due, Riina sta lanciando messaggi a chi ha orecchie per sentire (ma anche all’opinione pubblica visto che non può non sapere che potrebbe essere intercettato), per ribadire la sua posizione di capo assoluto e la sua ferocia nel punire chi non si sottomette alla sua volontà.
Ma cosa vuole il boss e, soprattutto, da chi?
Non è difficile capire come uno dei suoi interlocutori sia il superlatitante Matteo Messina Denaro, rispetto al quale afferma: “A me dispiace dirlo, questo signor Messina Denaro, questo che fa il latitante, questo si sente di comandare, ma non si interessa di noi… Questo fa i pali della luce, ci farebbe più figura se se la mettesse in culo la luce… Fa pali per prendere soldi…”. Il riferimento è al business dell’eolico in Sicilia, evidentemente gestito in prima persona, e nell’esclusivo interesse personale, da Matteo Messina Danaro. Il latitante, stando alle parole di Riina, starebbe contravvenendo ad una delle regole fondamentali di “cosa nostra”. Quel mutuo soccorso che impone agli affiliati dell’organizzazione criminale di cedere parte dei proventi illeciti in favore dei detenuti e delle loro famiglie. Ma non è questo l’unico aspetto. Il disinteresse verso chi sta scontando una pena, potrebbe riguardare non soltanto gli aspetti economici ma anche quelli delle “pressioni” da esercitare su rappresentanti delle istituzioni e del mondo politico per migliorare le condizioni di vita dei detenuti per fatti di mafia. Un invito al rispetto delle regole, o il boss sta comunicando di aver “posato” (deposto) Messina Denaro?
In questo contesto, riferendosi ad eventuali attentati da compiere, troverebbero una spiegazione logica le parole del padrino: “Io, il mio dovere l’ho fatto. Ma continuate, continuate… qualcuno, non dico magari tutti, ma qualcuno, divertitevi…”.
Una chiamata generale alle armi per effettuare un’ulteriore pressione sulle forze di governo affinchè si ammorbidisca il pugno di ferro delle istituzioni in materia di carcere duro e di confisca dei beni ai mafiosi. Nuove stragi? E, soprattutto, a Palermo? Conoscendo il passato stragista del boss non ci sarebbe da meravigliarsi se lo stesso avesse deciso di riaprire la guerra allo Stato. Ma, questa volta, sempre in virtù delle esperienze passate, Riina potrebbe dare un colpo di coda e prendere i famosi due piccioni con una fava. Perchè non pianificare un evento che ricada nel territorio controllato dal latitante Messina Denaro? Guerra allo Stato e, quantomeno, un’accusa sul capo del latitante che “trascura” i compari all’ombra dei quali è cresciuto.
Questo ovviamente non toglie il fatto che una risposta vada data anche a Palermo, dove la firma sarebbe chiaramente quella del boss detenuto. Un ergastolo in più o in meno per Riina non cambia nulla.
Resta da capire se il capo di “cosa nostra” sia ancora tale e se può contare su fedelissimi all’esterno dal carcere pronti a mettere nuovamente mano alle armi.
Quello che colpisce nel leggere le trascrizioni dei dialoghi tra Riina e Lorusso, il fatto che sembra sia quest’ultimo a portare a conoscenza del padrino fatti politici, storie di gossip e vicende giudiziarie conosciute da tutti e riportate più volte dai media.
Di contro, entrambi sono a conoscenza di una notizia segretissima, la mail girata riservatamente sui pc di tutti i procuratori di Palermo che sarebbero dovuti in aula al processo sulla trattativa Stato-mafia per solidarietà con Nino Di Matteo. Può Riina, che è sottoposto a regime di 41bis, essere a conoscenza di notizie tanto riservate e non conoscere invece fatti dei quali tutta la stampa ha dato notizia?
Riina non ha mai sentito in passato la necessità di rimarcare il fatto di essere lui a capo della cosiddetta “Cupola” di “cosa nostra”. Lo era e non aveva bisogno di dirlo! Cosa sta cambiando?
Per capire Riina, sarebbe necessario comprendere oggi qual è l’organigramma di “cosa nostra”, chi potrebbe emergere, quali sono i politici sui quali l’organizzazione criminale può ancora esercitare pressioni.
Quello che è certo, il fatto che Riina non fa discorsi da bar e non è una vecchia comare che parla a vanvera. Non è un uomo che con l’età ha perso l’uso della ragione e chi scrive ha avuto modo di studiarne più volte i comportamenti anche seguendo i dibattimenti nelle aule giudiziarie laddove ha aggiunto alla sua collezione personale ulteriori condanne all’ergastolo. Come nel caso del processo per la strage di San Giovanni Gemini (Ag).
La belva in gabbia, non per questo è meno pericolosa…
Gian J. Morici