INAUGURAZIONE Mercoledì 6 Novembre alle 20.30
Spazio Il Funduk – Via Santa Maria dei Greci, 38 – Agrigento
Immagini che giocano con la pellicola sottile, metallica e frammentata dell’identità, stendardo e clone, imposizione ambigua e rifugio illusorio, prigione travisata da una distorta volontà di potenza o gioco infinito di nickname. Malinconiche e beffarde coreografie di pezzi naturalmente calibrati, geneticamente intercambiabili. Luccicanti e epidermici come lo sguardo di chi guarda senza saper vedere. (Adriana Faranda)
Cos’è il presente che ne è della nostra identità, come narrare?
Potremmo lasciar rispondere i filosofi, passando da Locke, Hume, James e poi ancora Kierkegaard o Sartre e perché no Nietzsche, oppure far parlare la psicanalisi o meglio la letteratura, il nostro Pirandello ad esempio, ma potremmo scegliere di muoverci con dolce amaro piacere visivo, sul filo d’immagini proposto da Adriana Faranda in “Curve di transizione “. L’artista, la donna dalle molte vite, con lucidità disarmante è qui capace di presentare un intero processo di costruzione di nuove forme d’identità di cui la maschera è esigenza, simbolo.
Allora la voglio:
voglio una maschera
superficiale
sottile
mobile
duttile
splendente
smontabile e rimontabile
metallica, come suggerisce Adriana.
La voglio, compulsivamente la voglio, la voglio ora adesso, per costellare la mia vita di piccole morti, fino ad arrivare al punto di rottura, di apertura, fino alla ferita attraverso cui comunicare, mediante un’altra ferita, in un altro corpo, oltre la pelle, negli organi interni che nasconde, nella febbre che li scopre, li esplora, li mette in mostra aperti perduti, per spingermi oltre, smisuratamente, accogliere la ferita infertami dall’altro, sfidare l’infezione , svuotarmi, in quell’io pieno di anfratti e fenditure, per inibire melanconicamente il mio volto e poi strapparla perché non ho altro e ritrovarmi ancora intera.
Ma se così non fosse?
Se dietro la compulsiva disinibizione della maschera, polimorfa, sfuggente, aggiornata, riciclata, modaiola affiorasse solo angoscia, distorta volontà di potenza, frammentazione smembramento, follia e se non ritrovassi più alcuna possibilità di esserci?
Che ne sarà di me di noi? Che ne sarà della mia storia, della storia?
E’ così Adriana è riuscita a sollevare e a mettere in scena la tragedia umana del nostro tempo e a chiedermi chiederci, come in un disperato lamento:
Potremmo lasciar rispondere i filosofi, passando da Locke, Hume, James e poi ancora Kierkegaard o Sartre e perché no Nietzsche, oppure far parlare la psicanalisi o meglio la letteratura, il nostro Pirandello ad esempio, ma potremmo scegliere di muoverci con dolce amaro piacere visivo, sul filo d’immagini proposto da Adriana Faranda in “Curve di transizione “. L’artista, la donna dalle molte vite, con lucidità disarmante è qui capace di presentare un intero processo di costruzione di nuove forme d’identità di cui la maschera è esigenza, simbolo.
Allora la voglio:
voglio una maschera
superficiale
sottile
mobile
duttile
splendente
smontabile e rimontabile
metallica, come suggerisce Adriana.
La voglio, compulsivamente la voglio, la voglio ora adesso, per costellare la mia vita di piccole morti, fino ad arrivare al punto di rottura, di apertura, fino alla ferita attraverso cui comunicare, mediante un’altra ferita, in un altro corpo, oltre la pelle, negli organi interni che nasconde, nella febbre che li scopre, li esplora, li mette in mostra aperti perduti, per spingermi oltre, smisuratamente, accogliere la ferita infertami dall’altro, sfidare l’infezione , svuotarmi, in quell’io pieno di anfratti e fenditure, per inibire melanconicamente il mio volto e poi strapparla perché non ho altro e ritrovarmi ancora intera.
Ma se così non fosse?
Se dietro la compulsiva disinibizione della maschera, polimorfa, sfuggente, aggiornata, riciclata, modaiola affiorasse solo angoscia, distorta volontà di potenza, frammentazione smembramento, follia e se non ritrovassi più alcuna possibilità di esserci?
Che ne sarà di me di noi? Che ne sarà della mia storia, della storia?
E’ così Adriana è riuscita a sollevare e a mettere in scena la tragedia umana del nostro tempo e a chiedermi chiederci, come in un disperato lamento:
ci sono ancora persone?
Dobbiamo concludere che il “corpo “, che prima evolveva secondo leggi interpretabili, oggi è in realtà esso stesso una maschera? (Annamaria Tedesco)
Dobbiamo concludere che il “corpo “, che prima evolveva secondo leggi interpretabili, oggi è in realtà esso stesso una maschera? (Annamaria Tedesco)
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Associazione Spazio Il Funduk