Gli insuccessi raggiunti dopo più di 540 giorni nella gestione della vicenda dei due Marò, cominciano a suscitare “vibrazioni” nel mediatore de Mistura, che lo solleticano ed inducono ad affermare che il processo ci sarà a settembre e tutto finirà a dicembre.
Sensazioni quasi mediatiche quelle dell’italo svedese che si aggiungono alle tante finora pronunciate, ma che allo stato dei fatti si sono dimostrate prive di contenuto oggettivo.
In questi 540 e più giorni abbiamo invece assistito ad un susseguirsi di insuccessi inaccettabili a discapito dell’immagine dell’Italia in ambito internazionale ed anche a danno della sovranità nazionale. Smacchi indotti da una serie di dichiarazioni contraddittorie rilasciate nel tempo dall’italo / svedese dott. De Mistura, apprezzabile Funzionario delle Nazioni Unite con consolidata esperienza e professionalità nella gestione di progetti di aiuto umanitario, ma forse non altrettanto consolidata pratica diplomatica, almeno leggendo il suo CV.
Sicuramente alcune sue dichiarazioni non sono state e non sono coerenti al “diplomatichese”, linguaggio tipico della diplomazia improntato alla tattica dilatoria chiamata “standard prima, status poi”.
La prima, quando nel maggio del 2012 rilasciava una affermazione alla televisione indiana dicendo che i due marò erano incappati in un tragico incidente. La seconda, quando l’11 marzo di questo anno ha dichiarato all’Agenzia di stampa AGI, “La decisione di non far rientrare i maro’ in India “e’ stata presa in coordinamento stretto con il presidente del Consiglio Mario Monti e d’accordo tutti i ministri” coinvolti nella vicenda, “Esteri, Difesa e Giustizia”. Aggiunge che “siamo tutti nella stessa posizione, in maniera coesa e con il coordinamento di Monti” e chiarisce che “a questo punto la divergenza di opinioni” tra l’Italia e l’India sulle questioni della giurisdizione e dell’immunità richiede un arbitrato internazionale: il ricorso al diritto internazionale o una sentenza di una corte internazionale”.
Tutto poi precipita il 21 marzo a Delhi. I due Fucilieri di Marina vengono improvvisamente farti rientrare a Delhi accompagnati dal Vice Ministro degli Esteri italiano de Mistura titolare della più grande contraddizione in ambito relazioni diplomatiche. Prima assertore della necessità di un arbitrato internazionale e poi accompagnatore di due militari italiani destinati ad essere giudicati senza alcun diritto dall’India.
Da quel momento una serie di dichiarazioni e pronunciamenti che esprimevano insicurezza più che certezza. Chiusura delle indagini della Nia a luglio per poi diventare agosto ed ora settembre. Processo “equo, giusto e rapido” con una ridondanza di sinonimi sicuramente non positiva. Esclusione di qualsiasi rischio dell’applicabilità della pena di morte, sconfessato dallo stesso Ministro della Giustizia indiano e certezza peraltro messa in discussione nel momento che una fonte della Nia afferma “vogliamo sapere cosa ha spinto i due marò a sparare ai pescatori”.
Ad oggi il dott. De Mistura, nominato nel frattempo inviato speciale dell’Italia per la vicenda specifica nonostante la presenza a Delhi di un validissimo diplomatico italiano, l’Ambasciatore Mancini, ha ottenuto molto poco. Nemmeno la rapidità tanto “sbandierata al vento” non potendo parlare di equità in un procedimento arbitrario. Piuttosto, ha ancora una volta cambiato approccio nei confronti dell’India instaurando un braccio di ferro con la Nia che nel frattempo ha formalizzato attraverso i canali diplomatici la richiesta ufficiale di sentire in India gli altri quattro Marò che in quel tragico 15 febbraio 2012 facevano parte del NPM della Lexie.
Un’opposizione che mal si coniuga con l’arte del “dare per ottenere” caratteristica di ogni azione di mediazione diplomatica, mitigata solo dalla contro offerta di far sentire dalla Nia i quattro militari in Italia, opzione difficilmente accettabile dalla controparte indiana per motivi di rispetto della normativa nazionale e comunque ennesima espressione di cessione di sovranità nazionale, mai avvenuta nella storia delle controversie internazionali.
Pronunciamenti altalenanti ed anche divergenti fra loro, che sicuramente non fanno parte dell’arte della mediazione dove qualsiasi affermazione perentoria ed inequivocabile può rompere qualsiasi equilibrio e frantumare il vaso di cristallo del gioco delle parti, costruito a fatica ricorrendo all’arte diplomatica.
La mediazione, infatti, è un atto logico che permette di raggiungere asserzioni certe, caratterizzate da evidenza razionale, mediate, ma ottenute partendo da dati di base ed affermazioni di evidenza immediata e non da una successione di atti e parole contraddittorie.
Nello specifico, siamo lontani dall’applicazione di questi concetti dogmatici nel momento che le certezze fino ad ora esplicitate dal dott. De Mistura sono sconfessate quotidianamente dai fatti. Le affermazioni dell’Hindustrian Times che torna a parlare di “tiro al bersaglio” da parte dei due Marò accompagnate da quelle di Narenddra MODI, Governatore dello Stato del Gujarat e Leader dell’opposizione indiana che ha definito “insultante l’atteggiamento italiano”.
Forse MODI si riferiva proprio alle altalenanti e discordanti posizioni italiane prese a partire dall’11 marzo del 2013 dopo la dichiarazione ufficiale del dott. De Mistura, che sicuramente fu resa nota in tempo reale a Delhi.
Per ora solo una serie di fatti sono sicuri. I nostri militari continuano ad operare nel mondo senza la certezza di essere garantiti dall’immunità funzionale derivata dal loro mandato. Nessuna reazione ufficiale alle recenti ricostruzioni scientifiche che escludono la colpevolezza dei nostri militari, peraltro ripresi da molti organi di informazione nazionale ed internazionale. Nessuna alzata di scudi di fronte ad una serie di errate interpretazioni degli investigatori indiani. Nessuna reazione ufficiale, ma solo una serie di esitazioni che dimostrano come vengono abbandonati al loro destino due innocenti servitori dello Stato.
Un’unica speranza. Speriamo che le “vibrazioni” del dott. De Mistura derivino da sensazioni suffragate da fatti piuttosto che da un tradizionale parlare inconsistente, poco produttivo e talvolta deviante.