Il governo dei rinvii mette la fiducia sul decreto “del Fare”. In questo modo all’esame della Camera dei deputati arriverà il testo approvato dalle commissioni, senza gli emendamenti presentati da M5S, Lega Nord e SEL. Il testo giungerà “corazzato” all’aula di Montecitorio, seguendo quelle “buone prassi” (voto di fiducia) molto in uso – per scelta – sotto il governo Berlusconi e – per necessità – sotto il governo Monti, ma tanto criticate dal centrosinistra. Tuttavia neppure il governo delle grandi intese rifugge dal voto di fiducia e l’ingrato compito di giustificare tale scelta è spettato al diversamente leader Dario Franceschini, ministro per i rapporti con il Parlamento: “Abbiamo un calendario molto complicato. Sei decreti, e leggi europee, il disegno di legge di riforma costituzionale, le leggi sui partiti e l’omofobia, votare su 800 emendamenti non permette di rispettare i tempi”. Eppure nel suo discorso d’insediamento il premier Enrico Letta aveva dimostrato, a parole, grande apertura al tema del dialogo parlamentare che certamente il voto di fiducia non aiuta e viceversa umilia.
Il M5S annuncia per domani, mercoledì 24 luglio 2013, ostruzionismo in Aula, ripresentando i loro emendamenti al Decreto del “Fare” sottoforma di ordini del giorno.
Un Parlamento che dopo l’eccessivo ricorso alla decretazione d’urgenza da parte dell’esecutivo, riceve l’ennesimo schiaffo proprio su quel decreto del “Fare” che dovrebbe dare una boccata d’ossigeno a un paese economicamente alla deriva e attraversato da forti tensioni sociali.
“Il governo in soldoni ci ha appena detto che, siccome facciamo davvero l’opposizione e cerca di far lavorare il Parlamento invece di accordarsi con la maggioranza […] per colpa nostra è costretto a porre la fiducia senza emendamenti sul decreto legge del fare. Che eversivi che siamo noi 5 stelle! Essere in Parlamento e volerlo far funzionare – ha dichiarato Roberta Lombardi, ex capogruppo alla Camera per il M5S”.
Per Luciano Uras, capogruppo in commissione bilancio al Senato per SEL, il problema vero che ha portato il governo Letta a porre la fiducia sta nel fatto che si tratta di un provvedimento “minestrone” difficile da digerire, anche per chi ha uno stomaco da struzzo.
Tra le fila del centrosinistra già da tempo il malcontento ha iniziato a serpeggiare e chissà per quanto ancora i vertici del partito democratico riusciranno a far ingoiare di tutto, e anche di più, alla propria base elettorale sempre più scontenta e smarrita.
Rammarico da parte del M5S che parla di un decreto “impresentabile”, un decreto che con otto-nove punti qualificanti, da loro presentati, avrebbe potuto produrre qualche effetto positivo. Tra i punti qualificanti dei 5S che non hanno trovato posto nel decreto: l’abolizione della deregulation sulle sagome degli edifici demoliti e ricostruiti; l’apertura di un fondo di sostegno alle Pmi in cui poter versare le eccedenze degli stipendi dei parlamentari; rendere più aperta e democratica la gestione della Cassa depositi e prestiti; ricalibrare l’Iva sui servizi portuali; rivedere la Tobin Tax.
Giorno dopo giorno, agli occhi degli italiani, ormai rassegnati e in attesa della stangata economica di fine anno, l’esecutivo presieduto da Letta e a guida Napolitano-Berlusconi, appare sempre meno come il governo del fare e nell’immaginario collettivo si manifesta sempre più come il governo del “farò, se ci riesco, tempo permettendo”.
Totò Castellana