Stefano Cucchi è morto. Pace all’anima sua.
Tecnicamente il suo corpo è deceduto il 22 Ottobre 2009, ma la sua anima, quella che condivideva collettivamente con tutti noi, è morta il 5 Giugno 2013.
E non per la sentenza. Le sentenze si rispettano, tutte quante. Anche quando non siamo d’accordo, perché non è il singolo processo che definisce la giustizia di un Paese.
Un processo è fatto di prove, di testimoni, di giudici, di avvocati. Sono tanti i fattori che possono cambiare la storia di un processo, e sì, talvolta anche la volontà di non indirizzarlo verso una soluzione “giusta”.
Io però credo, nonostante la sentenza di primo grado, che il nostro sia un Paese in cui la giustizia, con tutti i suoi limiti, eserciti ancora un ruolo essenziale e di collante per la democrazia.
Quello che ha definitivamente ucciso Cucchi sono le opinioni, le dichiarazioni, il sollievo dei condannati (a pene lievissime) e degli assolti, la cinica capacità di alcuni personaggi di cavalcare qualsiasi episodio a fini politici.
La morte di Stefano Cucchi, un povero ragazzo che nonostante le ecchimosi, i lividi, una mascella fratturata, l’abbandono, sembra essere morto solo perché “non ha voluto mangiare”, è provocata da tutti quelli che oggi continuano a infierire su di lui.
Non sul suo corpo, che riposa in pace da quattro anni, ormai. Ma sulla sua anima, che è anche la nostra.
Il 5 Giugno di ogni anno, ricorrerà l’anniversario dell’assassinio dell’anima di Stefano Cucchi.
Rodolfo Cardarelli