Se anche non si fosse riusciti ad evitare la morte dell’ambasciatore americano J. Christopher Stevens, si sarebbe certamente evitato il secondo attacco nel corso del quale persero la vita due marine americani.
Ad affermarlo in un’intervista rilasciata giorno 6 maggio al Washington Post il diplomatico statunitense Gregory Hicks, secondo il quale le squadre speciali vennero “fermate”.
Il vice capo dell’ambasciata a Tripoli aveva cercato invano di ottenere dal Pentagono l’intervento di aerei da caccia che avrebbero potuto dissuadere gli attentatori dal portare a termine la seconda azione contro il complesso della CIA, posto nelle vicinanze dell’edificio dove si trovava l’ambasciatore americano.
Secondo Hicks, i funzionari americani nella capitale libica avevano cercato di ottenere l’autorizzazione a far intervenire truppe speciali statunitensi. Permesso negato! Funzionari del Dipartimento della Difesa hanno dichiarato che non avevano unità che avrebbe potuto rispondere in tempo per contrastare l’attacco a Bengasi, ma i repubblicani a Capitol Hill si sono chiesti se l’amministrazione Obama non avrebbe potuto dare una risposta più rapida e precisa.
Torna attuale la domanda che ci ponemmo il giorno dopo l’attentato: Si poteva evitare?
A nostro avviso sì. Appena qualche giorno prima, per l’esattezza il 9 settembre 2012, avevamo pubblicato un articolo che riguardava la Libia, il nuovo premier, gli interessi economici di una classe politica inadeguata ancor prima di nascere, e soprattutto, di un attentato tramite un’autobomba parcheggiata nelle vicinanze della sede della sicurezza nazionale.
Una Peugeot carica di esplosivo che avrebbe dovuto essere controllata, ma non fu fatto…
E così, come avevamo previsto, la stampa occidentale sarebbe tornata ad interessarsi della Libia, dell’Egitto e degli altri Stati solo quando la “notiziabilità emotiva” degli eventi lo avrebbe richiesto. Come avvenne dopo l’attentato.
Tra accuse che vorrebbero l’intelligence americana informata del rischio di possibili attentati al Consolato di Bengasi e all’Ambasciata al Cairo almeno 48h prima dell’evento e smentite da parte portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, il quale dichiarò che era ‘assolutamente falso, non siamo a conoscenza di alcuna segnalazione da parte dell’intelligence che indicasse come imminente o già pianificato un attacco a Bengasi’, il balletto è andato avanti per mesi.
Ma cosa accadde quella notte a Bengasi? Perché l’ambasciatore si trovava lì e non all’ambasciata di Tripoli come sarebbe stato più logico pensare? Cosa era andato a fare in Germania, Austria e Svezia prima di tornare in Libia? È vero che il nome di Christopher Stevens sarebbe in qualche modo legato al film anti-Islam di Nakoula Basseley, così come fonti ben informate sostengono? E ancora, che fine hanno fatto i documenti che si trovavano a Bengasi quando venne ucciso l’ambasciatore?
Nonostante l’ex Segretario alla Difesa Leon Panetta e il generale dell’esercito Martin Dempsey furono chiamati a spiegare dinanzi al Congresso cosa accadde quella notte, nessuna di queste domande ha mai ottenuto risposta.
In più di quattro ore di deposizioni, Panetta e Dempsey descrissero due diverse azioni di guerra succedutesi a sei ore di distanza l’una dall’altra, che non avrebbero consentito alle unità speciali di intervenire in tempo utile.
Tra mezzanotte e le 2 del mattino dell’11 settembre 2012, secondo quanto ricostruito da due Marine’s della squadra anti-terrorismo con sede a Rota, Spagna, il Segretario Panetta diede ordine di preparare un intervento in Libia, comandando ad una squadra di forze speciali in Europa centrale e un altro gruppo di operazioni speciali in forza negli Stati Uniti di prepararsi all’operazione che avrebbe avuto come prima base l’Europa per poi raggiungere la Libia.
A distanza di molte ore, la squadra operazioni speciali atterrò alla Naval Air Station di Sigonella in Sicilia, ma nessun militare statunitense raggiunse il territorio libico, se non dopo che l’attacco era terminato e gli americani erano stati portati fuori dal paese.
La Difesa americana fece presente al Congresso che se anche l’esercito avesse ottenuto subito le unità necessarie non sarebbe cambiato nulla, in quanto non sarebbero comunque riusciti a salvare i quattro americani.
Sotto la raffica di domande di alcuni repubblicani, il segretario Panetta e il generale Dempsey riferirono del loro incontro con il presidente Barack Obama e dei timori dello stesso per la sorte degli americani presenti a Bengasi.
Perché da Sigonella non s’intervenne subito fin dal primo allarme e in cosa erano impegnati in quel momento gli uomini dell’intelligence americana presenti a Bengasi?
Non meno sorprendente la presenza di mezzi della Marina degli Stati Uniti – con a bordo un contingente di marine’s – nella zona orientale della Libia, tra Tobruk e Derna, poche ore dopo i fatti di Bengasi.
Se son servite oltre 15 ore affinchè truppe aviotrasportate giungessero in Libia, come mai solo poche ore dopo l’evento i mezzi della marina si trovavano già sui luoghi senza che fosse chiesto loro d’intervenire?
Purtroppo, neppure i membri del Congresso, hanno posto quest’ultima domanda.
Secondo quanto dichiarato dal diplomatico americano al Washington Post, ci troveremmo dinanzi al tentativo di insabbiare l’intera vicenda visto che parrebbe probabile un coinvolgimento dell’amministrazione Obama con jihadisti libici, per timore che i repubblicani avrebbero potuto utilizzare una simile notizia a fini politici.
Investigatori del Congresso hanno rilasciato una trascrizione parziale della testimonianza di Hicks all’inizio di questa settimana.
I nuovi dettagli certamente riaccenderanno il dibattito sull’operato dell’amministrazione Obama penalizzando eventuali future aspirazioni politiche di Hillary Rodham Clinton, che era segretario di stato quando avvennero gli attacchi.
Dopo gli attentati, senza che fossero intervenuti i caccia americani né le forze speciali, il tenente colonnello che comandava la squadra operazioni speciali di Tripoli – secondo quanto riferito da Hicks – ha detto che era dispiaciuto del fatto che i suoi uomini erano stati trattenuti.
“Non sono mai stato così imbarazzato in vita mia che un funzionario Dipartimento di Stato ha le palle più grandi che qualcuno nelle forze armate,” avrebbe affermato l’ufficiale.
Hicks potrebbe essere stato l’ultimo funzionario americano a parlare con Stevens.
L’amministrazione ha detto che la revisione indipendente dell’assalto Bengasi è stata esaustiva, e funzionari del Dipartimento di Stato hanno promesso di attuare riforme per rendere le missioni statunitensi all’estero più sicure. I repubblicani, tuttavia, sostengono che il racconto di Hicks suggerisce che l’amministrazione non è stata del tutto sincera.
“La Casa Bianca e il Pentagono hanno permesso di credere che non ci sono opzioni militari sul tavolo,” Rep. Jason Chaffetz (R-Utah) , ha detto in un’intervista telefonica. “Il modello dei militari è quello di non lasciarsi nessun uomo indietro, ed è incredibile e inaccettabile pensare che abbiamo avuto militari disposti e pronti a partire e il Pentagono ha imposto loro di star fermi. Questo non è il modo di fare americano. ” .
Un portavoce del Pentagono ha detto che avrebbe riesaminato la testimonianza di Hicks. “Abbiamo più volte affermato che le nostre forze non sono riuscite a giungere in tempo ad intervenire per fermare gli attacchi, ” ha sostenuto il portavoce del Pentagono George Little in una e-mail lunedi notte.
Il portavoce del Dipartimento di Stato, Patrick Ventrell, ha detto ai giornalisti che l’indagine guidata dai repubblicani sembra essere politicizzata, ma che tuttavia il Dipartimento di Stato non cerca di sopprimere i resoconti di informatori. “Abbiamo sempre incoraggiato qualsiasi dipendente del Dipartimento di Stato che vuole rilasciare testimonianze in merito a dire la verità”.
Parte del dibattito Bengasi si è concentrato sulla questione se l’azione tempestiva avrebbe potuto salvare vite. Nel primo attacco, i militanti invasero l’edificio in cui si trovava Stevens, uccidendo con lui anche un altro ufficiale del Dipartimento di Stato, Sean Smith . Altri si diressero verso una dependance vicina utilizzata dalla CIA, in cui due americani, ex Navy SEALs, Tyrone Woods e Glen Doherty, sono morti in un attacco diverse ore più tardi.
Hicks, un veterano agente del servizio estero che ha testimoniato mercoledì, ha detto ai membri dello staff del Congresso che lui e gli altri in Libia hanno pensato che far volare i jet militari statunitensi a Bengasi durante le prime ore dell’attacco avrebbe potuto avere un effetto deterrente.
“Se fossimo stati in grado di far volare un caccia o due sopra Bengasi il più rapidamente possibile dopo l’inizio dell’assalto, credo non ci sarebbe stato l’attacco a colpi di mortaio sull’edificio della CIA al mattino, perché i libici si sarebbero dileguati”, ha detto Hicks.
Hicks ha anche detto che nella notte del 11 settembre ha chiamato l’addetto alla difesa dell’ambasciata, il tenente colonnello Keith Phillips, chiedendo in merito alla possibilità dell’invio di mezzi aerei a Bengasi.
Phillips avrebbe risposto a Hicks che gli aerei più vicini si trovavano presso la base aerea di Aviano in Italia e che ci sarebbero volute due o tre ore per farli decollare, precisando che inoltre non vi erano velivoli nelle vicinanze che potevano rifornire di carburante i mezzi in volo.
Secondo quanto dichiarato dal diplomatico americano al Washington Post parrebbe probabile un coinvolgimento dell’amministrazione Obama con jihadisti libici. Da fonti confidenziali, risulta che i documenti fatti sparire a Bengasi contenevano i nomi di libici che avevano collaborato con gli Stati Uniti.
Sarà un caso il numero di ore trascorse tra il primo e il secondo assalto senza che si desse l’ordine di intervenire? Che fine hanno fatto quei documenti? A cosa servono i drone utilizzati dalla base di Sigonella in Sicilia, se dinanzi ad eventi di questo tipo le forze armate americane pare non siano pronte ad intervenire?
Gian J. Morici