Lettera aperta
Presidente Crocetta,
Lei arriva per la prima volta dopo l’elezione in questa provincia, per ricevere un premio sulla Legalità, che Le riconosce la capacità, in questi anni, di aver conseguito grandissimi risultati sul fronte della lotta alla mafia in modo fattivo: rischiando in primis in modo personale.
Vede, il nostro è un territorio difficile, tanto simile ma anche tanto diverso dalla sua Gela. Qui sono stati arrestati negli ultimi anni due dei latitanti più pericolosi e potenti della mafia di questa parte della Sicilia, che per anni hanno dominato parassitando la nostra società nel più totale silenzio. Un silenzio di morte. Questa provincia, Presidente, necessita più che di pacificazione di un risveglio. I fenomeni del pizzo, dell’usura, dello spaccio di droga fino ad oggi sono rimasti spesso ai margini del dibattito pubblico. L’attività di sensibilizzazione non è davvero efficace se ad essa non si accompagna ad un lavoro che sia collegato allo sviluppo. Solo nel sottosviluppo e nella clientela il fenomeno mafioso riesce infatti a proliferare.
Il Censis, infatti, ha attribuito alla provincia di Agrigento il primo posto per infiltrazioni mafiose nelle pubbliche amministrazioni, la Cgil l’ha individuata come “capitale” del lavoro nero, l’Istat tra gli ultimi posti nella scala econometria e per qualità della vita. La nostra provincia, per queste definizioni, sembra una terra senza speranza, eppure ha avuto ed ha figli che hanno ricoperto, o ancora lo fanno, postazioni di potere. Da loro ci saremmo attesi interventi utili a portare a frutto le risorse di cui questo territorio è ricco. Invano.
Gli anticorpi per reagire al fenomeno mafioso sono deboli, insufficienti. Ed è per questo che l’azione della Chiesa, i successi della magistratura e delle forze dell’ordine, unitamente all’onestà di tanta gente, non bastano. Non c’è solo un problema di controllo del territorio o di certezza della pena ma, principalmente, di assenza di cultura o coltura della legalità, del rispetto delle regole, di una concreta solidarietà fatta di “tenersi per mano” degli uomini e delle donne delle tante istituzioni che non sono e non vogliono essere apostrofati “professionisti dell’antimafia”.
Non bisogna arrendersi e ritenere che risulta ineluttabile convivere con la mafia. Lo Stato può vincere solo se non ci saranno eroi da ricordare ma testimoni ed esempi di correttezza amministrativa, di trasparenza politica, di assunzione dei doveri degli operatori pubblici nei confronti della società, lottando e manifestando nell’agorà delle comunità, resistendo e denunciando un contatto mafioso, un tentativo di corruzione, un preavviso d’intimidazione.
C’è bisogno di coraggio per riscattarci da quel marchio d’infamia che cancella ogni bene e tutti gli altri meriti della politica, dell’imprenditoria, della burocrazia di questa nostra comunità – che pur ci sono – perché, voglio sottolinearlo, non tutto è mafia, non tutto è lavoro nero, non tutto è sottosviluppo.
Ci sono eccellenze che vanno sostenute pur in un quadro dove le intimidazioni sono tante, mentre poche sono le indicazioni offerte alle forze investigative da parte di chi le subisce per sfiducia nello Stato, macchina in questi anni depotenziata dalle scelte politiche.
Cosa chiedo a lei, Presidente? Di volgere la sua attenzione su Agrigento, perché si consenta a questo territorio di completare un percorso virtuoso, che riesca sciogliere le catene del malaffare. E questo potrà essere fatto solo attraverso una nuova fase d’interlocuzione tra forze produttive, associazionismo, enti impegnati nel contrasto al fenomeno mafioso e la Regione. Siamo chiari: non attraverso finanziamenti a pioggia, o finalizzati a realizzare giornate commemorative. Ma attraverso un nuovo corso che guardi alle potenzialità e alle problematicità con un approccio privo di connotazioni politiche, risolvendo i tanti problemi quotidiani che chi opera su questo territorio si trova ad affrontare e consentire, finalmente, di veder maturare il grano, seminato in questi anni in un terreno arso e infestato dalle sterpi.
Onorevole Mariagrazia Brandara.