“In Sicilia la rete di telecomunicazioni fa schifo. I siciliani pagano più degli altri italiani, per avere un servizio di qualità inferiore. O per non averlo proprio. La rete mobile si chiama così solo per convenzione, giacché, nei fatti, in mobilità non si telefona, non ci si connette, non si interagisce. Quel che ai lombardi costa una telefonata ai siciliani ne costa cinque. Ciò – ha detto Davide Giacalone, di LeAli alla Sicilia – comporta uno svantaggio economico in capo alle persone, ma anche in capo alle imprese, al turismo e a ogni altra attività, specie, naturalmente, nel settore dell’information comunication tecnology”.
“In Brasile la locale autorità delle comunicazioni, Anatel, ha bloccato le offerte commerciali di chi non aveva investito nella rete in modo da potere garantire il servizio ai clienti che si trovano in ogni parte del territorio di quella nazione. Un tempo eravamo noi italiani a gestire le comunicazioni dei brasiliani, ora ci facciamo dare lezioni di mercato e civiltà. Ma, almeno, si sappia prendere esempio: un governo regionale degno di questo nome deve sollevare la questione innanzi sia all’Agcom che la governo, ricordando che le società di comunicazioni agiscono sulla base di una licenza legata a un contrato di servizi e che, pertanto, ove non investano in Sicilia e non mettano i siciliani al pari degli altri (posto che l’offerta dovrebbe qualitativamente crescere per tutti), meritano il blocco dell’attività, fino al ritiro dell’autorizzazione”.
“Questo sarebbe uno dei modi concreti – ha concluso Giacalone – con cui tutelare i siciliani e gli interessi economici di chi qui lavora o vuole investire. Però comporta conoscenza dei problemi e un minino di pensiero, che non sia concentrato solo sui propri affari personali. Tenendo presente, del resto, che la pressoché totalità della classe dirigente siciliana ha in mano telefoni il cui conto è pagato da altri, quindi
neanche sa di che si sta parlando”.
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