di Lioi Lucia
– Ettore, visto che ti leggo da un po’, cosa vuol dire per te ripercorrere, attraverso le testimonianze raccolte, ripercorrere uno dei periodi più tristi e bui di Palermo?
– Vorrei poter dire che mi è servito a non dimenticare, ma non è così. Quando fai qualcosa del genere vuol dire che non ci sarà nulla al mondo che ti farà dimenticare. Non hai bisogno di collaborare ad un libro perché la tua memoria resti sveglia. Mi piace citare Ligabue quando dice che chiunque si esprime, decentemente con una forma d’arte, ha qualcosa di storto che non riesce a tenere dentro. Una inquietudine da condividere. Diciamo che per me raccogliere i frammenti di storie di quel periodo e metterli su libro è servito a fare un dispetto a chi quel libro lo leggerà. Un dispetto affettuoso ovviamente. Mi sono detto che la parte dei miei fantasmi che ha ancora negli occhi quei momenti, quel senso di “è finito tutto” come Caponnetto, per poi urlare a gran voce “fuori la mafia da Palermo” ai funerali, si è stancata di ricordare tutti i giorni solo con me. Era giusto mandare quei fantasmi in giro, a raccontarsi a qualcuno che avesse voglia di accoglierli
– Tra le testimonianze che hai raccolto c’è un tuo mito, Enrico Ruggirei, e una icona della legalità, il Giudice Imposimato, mi dici cosa accomuna queste due persone così diverse tra loro e che effetto ti ha fatto parlare con il Giudice?
– Le accomuna sicuramente il fare ciò per cui la natura li ha messi al mondo. Sono due persone che hanno ben chiara la causa della loro esistenza e mettono il massimo impegno a esprimersi per ciò che sanno fare meglio. Enrico è un artista, una persona mai banale, non è uno che le manda a dire ma ha un’arte che gli invidio molto, quella della sintesi. Sa inquadrare fatti e situazioni in poche ed efficaci parole e poi ha una memoria e un affetto duraturi e resistenti. Se ti accoglie nel suo cuore difficile che ti lasci andare. Il Dottor Imposimato è un uomo che esprime senso dello stato ad ogni respiro. Mi viene da ridere quando certa gente rende onore o fa elogi funebri a uomini politici del nostro passato mai del tutto andati via dalla scena e dice “hanno difeso la costituzione, l’hanno rappresentata”. Se ci penso non credo che siano stati loro a tutelarla, ma la Costituzione ad esere difesa da loro. Una forma di autotutela. Il Dottor Imposimato di cui la difesa della Costituzione e dello Stato, del rispetto dell’individuo e dei suoi diritti travalicano ogni forma di ipocrisia. Tanto da fargli dire, con cognizione che lo Stato si è reso complice di stragi attraverso uomini politici e strutture deviate. Se lo dice un cittadino comune sono discorsi fatti davanti ad un caffè, ma se lo dice un uomo che quando parla fa giurisprudenza, crea diritto, beh allora è un’altra cosa. L’effetto che mi ha fatto parlare con lui l’ho realizzato dopo. Quando faccio qualcosa di bello non ho mai i tempi giusti. Realizzo dopo qualche giorno la sensazione vera. Posso solo dirti che è come aver avvicinato un pezzo di storia vera italiana. Mio padre diceva “ a conoscere certi uomini di così alto spessore ti viene da vomitare poi al pensiero che esistano altri che non sono nemmeno degni di pulirgli le scarpe, eppure anche questi appartengono alla stessa specie biologica”
– Ne libro è presente anche un tuo racconto personale, quanto è importante questo per te?
– Tralasciando parole come onore e orgoglio fin troppo usate in sedi che le hanno svalutate nel panorama italiano, come dissi a Salvatore Coppola e Daniela Gambino, ho la sindrome di Fabio Grosso. Il difensore del Palermo che fu convocato ai mondiali del 2006. Giocatore discreto ma non eccelso, eppure capace di segnare un gol in semifinale e realizzare il rigore decisivo in finale. Mi sento così, convocato per un sogno, qualcosa di cui mai avrei pensato di poter far parte e invece ho visto la realizzazione e ne ho contribuito. Il mio racconto sono due insieme. Uno dedicato a Giovanni e uno a Paolo. Proprio quest’ultimo ha dietro un aneddoto. A pochi giorni dalla sua realizzazione parlai ad una mia carissima amica di questo libro e del racconto su Borsellino, le dissi che avevo scritto due racconti su Borsellino, uno era proprio una testimonianza, visto che io vidi in diretta l’evento, dal balcone di mia zia che stà dalla parte opposta alla costa rispetto al porto, che sta a pochi km da via D’Amelio, vidi la colonna di fumo e sentii il botto, ero affacciato. Ne scrissi per “La Provincia” di Frosinone. Poi scrissi il racconto che è effettivamente andato nel libro. Quello invece fu una cosa raccontatami da mio padre, che mi fece concepire la narrazione dell’attentato da un punto di vista diciamo particolare, non dico come per non rovinare il leggerlo. Le dissi che non capivo come mai questo racconto si e la testimonianza personale no. La mia amica mi disse: “perché quel racconto su Borsellino non è tuo, è di tuo papà, te lo ha lasciato lui, te lo ha fatto scrivere lui, era giusto che fosse quello ad entrare. Tutto ha una logica come vedi.
– E’ un po’ di tempo ormai che ti leggo e in ogni tuo racconto emerge l’amore viscerale per Palermo, la descrivi come un’amante non sempre fedele, il 18 sarai là a presentare il libro, come pensi ti accoglierà, da amante appassionata o fedifraga? E tu cosa ti aspetti dalla tua Palermo?
– Ti dico solo che mentre ti scrivo ne stò ammirando l’alba da una terrazza con i tetti del centro storico. La mia città con me è così, quando torno mi dà il meglio che può. Lo fa apposta. Mi ha lasciato lei, mi ha fatto andare via eppure si diverte a farsi vedere, bellissima e accompagnata con chi la vive continuamente. Come a farmi star male al pensiero di cosa mi sono perso. Forse non è proprio così, ma diciamo che se vedo un cumulo di immondizia o un motorino bruciato in altre città ho lo sguardo del cittadino medio che dice “dove andremo a finire”, con lei è come se non guardassi i difetti. Appena arrivato ho avuto e ho sempre la sensazione di un leone ributtato nella savana dopo anni di cattività. Muso all’aria a fiutare l’odore di casa e immediatamente caccia e presa di possesso del luogo come se il tempo non fosse passato. Le urla in dialetto, i cani che abbaiano, le macchine con l’autoradio con le canzoni napoletane a tutto volume erano la mia colonna sonora di vita. Il silenzio o i rumori altrettanto forti ma diversi per me sono difficili da conviverci.
– Cosa ti ha lasciato dentro questa esperienza?
– Non te lo so ancora dire di preciso. Sono cose belle, ma sono talmente tante che come sempre non ho i tempi teatrali per decifrarle immediatamente. Tra qualche mese forse succederà come quando è morto mio padre. Non ho pianto subito ma una volta in macchina da solo a distanza di anni. Forse tra tanto tempo afferrerò l’esatta definizione di ciò che è stato. Due cose posso dirle: mi ha fatto capire che scrivere non è più solo un giochetto per trastullarsi, come se avessi avuto la patente dopo aver guidato per anni senza da minorenne e mi ha dato quella convinzione che Ruggeri e Imposimato hanno sicuramente da quando erano giovanissimi, cioè che se c’è una cosa che mi fa dare tutto me stesso senza filtri è scrivere. Nessun mestiere mi fa essere così istintivo e naturale. Poi che lo faccia bene o male per chi legge è un conto, ma io sto bene quando lo faccio. Oddio, bene, diciamo che nessuno sano di mente si esprime in forme diverse dal dialogo. Chi decide di farlo, cantando, scrivendo, recitando, dipingendo o altro, sicuramente stà esorcizzando qualcosa o lo sta tenendo buono.
– Ok siamo al 20 Maggio, di ritorno da Palermo, innanzi tutto come è andata?
– Molto bene, ma la bellezza e la dolcezza di quel giorno si sono stemperate presto nel nostro pensiero a Melissa e alle sue compagne
– Presentare il libro nel giorno del compleanno di Giovanni Falcone è stato un caso o una scelta?
– Un caso, magico anche questo. L’incontro doveva essere il 10, ma impegni improrogabili di Rita Borsellino lo hanno differito, rimane il dispiacere di non aver avuto anche Maria Falcone oltre a Rita, con noi.
– So che hai incontrato Rita Borsellino, cosa ha significato per te?
– Ha una dolcezza nel porgere il dolore che le dà una dignità e non la fa scivolare mai nel ricordo fine a sé stesso. Poi è la dimostrazione che si può insegnare legalità senza urlare e senza strumentalizzare. Mi ha colpito molto quando ha detto che lei il 19 Luglio porta i bambini a giocare in via D’Amelio, un modo che credo Paolo avrebbe gradito per essere ricordato. Poi con me è stata molto dolce, mi ha fatto i complimenti per il racconto.
– Quanto è stato importante parlare alla gente di Palermo di questi due grandi uomini e dei loro angeli custodi che con loro hanno perso la vita?
– Per me ha un peso leggerissimo, leggerezza non è superficialità. Credo che quando parli di loro e lo fai con onestà intellettuale sia molto facile lasciarsi portare da quello che erano. Anche qui mi vengono in aiuto lle parole di Rita. Specie per gli angeli custodi. Quando dopo la strage di via D’Amelio si mise a cercare la madre e la trovò in ospedale. La madre le disse: “Insieme a Paolo c’erano i suoi ragazzi, adesso tu vai a trovare le loro madri e ringraziale personalmente per ciò che hanno fatto per Paolo.
– Ti sei trovato a Palermo in chiusura di campagna elettorale, non voglio farti domande di politica, ma vorrei capire, secondo te i palermitani hanno davvero voglia di cambiare o per dirla con una frase del Gattopardo <Tutto deve cambiare perché tutto resti uguale >
– Non mi esprimo in politica, anche se su questa campagna elettorale e sulle sue contraddizioni ho le idee chiarissime.Diciamo che nessuno si è smentito.
– Tornando al filo conduttore del libro, le stragi di Capaci e via D’Amelio, secondo te i palermitani hanno fatto tesoro degli insegnamenti dei due Giudici e ne conservano la memoria o preferirebbero cancellarne il ricordo, salvo recuperarlo solo per le commemorazioni negli anniversari?
– Palermo nel ’92, che spaccava i cordoni della polizia urlando “sono i nostri morti non dei politici” cresciuta, che non vuol dire sempre maturata. Mi piace pensare sempre in bene, che prima o poi ci siano figli di quelle persone, loro stessi, altri che in quel periodo non erano nemmeno nati, che abbiano il fuoco sotto la cenere. Sconforta il fatto che questo fuoco attecchisca sempre dopo le tragedie, come con Melissa,poi torni a placarsi. Ma quello non è un problema di Palermo e basta.
– Finisco…. Come ti ha accolto la tua città, ne sei soddisfatto o deluso?
– Mia moglie dice che non guarderò mai nessuna donna come guardo Palermo, penso lo dica perché sui difetti degli esseri umani sono attento, li recepisco ma li aggiro. Su quelli della mia città mi addoloro e molto: Ma se provasse a sedurmi cederei come una pera marcia. Non sarei mai scontento anche solo per il fatto che la rivedo.
– Alla luce degli accadimenti di oggi non posso non farti un’altra domanda:
– Una persona, di cui so che non hai molta stima, evito di fare nomi, poco tempo fa mi disse: “con questa situazione politica, con la tensione che si sta creando sento odore di ‘92” Tu che ne pensi? È possibile che questa sensazione di isolamento di alcuni Giudici antimafia, di instabilità politica, possa ricreare gli avvenimenti di vent’anni fa?
– Tutti gli strumenti hanno una doppia funzionalità, usati male la banalità, usati bene hanno un potere aggregante e stimolano riflessioni. Le coscienze adesso stanno spesso in rete e si scambiano idee, è più forte l’immediatezza e il potere aggregante. La mattina in cui Melissa è stata uccisa, c’era gente in piazza. Vent’anni fa anche per mancanza di comunicazioni efficaci i segnali non arrivarono netti. Credo che se anche si stia ricreando il clima dei tempi bui, la gente sia più sveglia e arrivi prima. Almeno così prego e spero. Che non sia una moda anche l’indignazione e lo slogan antimafia per poi tornare a casa e rincoglionirsi.
Grazie Ettore.
Lioi Lucia
Le belle foto, di Riccardo Zacco, sono state scattate in occasione della presentazione del libro “VENT’ANNI” (a cura di Daniela Gambino ed Ettore Zanca, immagine di copertina di Gaetano Porcasi, Coppola editore) tenutasi presso l’auditorium Rai, il 18 maggio. Ci scusiamo con Ettore, per avergliele sgraffignate dal suo album personale…