Agrigento – Nella sala del seminario arcivescovile va in proiezione il film “I Cento Passi”. Presente in sala, Giovanni Impastato, fratello di Peppino, ucciso il 9 maggio 1978, colpevole di aver dedicato la sua breve esistenza alla denuncia politica e sociale in quella Sicilia degli anni settanta che si ostinava a negare l’esistenza della mafia, facendola passare per un’invenzione giornalistica.
Peppino, figlio e nipote di mafiosi, che lotta contro le sue radici, di sangue e culturali, sfidando e ridicolizzando la mafia e che si batte insieme ai contadini che si oppongono all’esproprio delle loro terre per ampliare l’aeroporto di Palermo.
Un film sull’antimafia, quella sociale, con la testimonianza di Giovanni, che non può lasciare indifferente una città nella quale i temi dell’antimafia sono molto sentiti e rappresentano per taluni il vessillo del quale farsi vanto.
Sullo schermo scorrono le immagini della storia di un ragazzo che è testimone di quel ricambio generazionale che sta portando la mafia fuori dalle campagne, verso i traffici di droga, l’imprenditoria e la politica. Cento passi, è la distanza che separa il mondo della mafia da quello della gente onesta.
Sono i cento passi di distanza che intercorrono dalla casa di Peppino – il cui padre Luigi Impastato era un affiliato della mafia – alla casa di Tano Badalamenti, capo emergente della mafia locale, che raggiungerà ben presto i vertici di Cosa Nostra.
In sala, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare da una città nella quale ogni occasione è buona per organizzare convegni sui temi dell’antimafia e presentare libri, le presenze si possono facilmente contare. Non ci sono i politici, assenti i sindacati, mancano gli pseudo intellettuali di norma sempre pronti a fare passerella. Distratta pure la stampa agrigentina, sempre presente alle conferenze stampa del politiconzolo di turno. Seduti in silenzio, con gli occhi fissi allo schermo, ci sono i ragazzi.
Sono tutti giovanissimi. Sembrano quasi gli stessi che in quei lontani anni ’70 furono accanto a Peppino, quando a Cinisi fondò Radio Aut, dai cui microfoni affrontò e ridicolizzò quel mondo arcaico e venerato che era – ma forse lo è ancora – la mafia. Tano Badalamenti, che Peppino scherniva chiamandolo Tano Seduto, e Cinisi il paese che soprannomina Mafiopoli, sono lontani dalla Valle dei Templi e da questa città.
Eppure, questa sera nella sala del seminario, il clima sembra quasi quello di Mafiopoli, dove solo i giovanissimi paiono interessarsi alla vita di Peppino Impastato, alle sue lotte sociali, ai problemi familiari dello stesso.
Peppino nella sua Cinisi vede, sente e parla del regno delle tre scimmiette. Ma questa città, regno di morti viventi, non è poi così diversa dalla Mafiopoli nella quale naque e visse Peppino Impastato. Cento passi. Cento passi nel silenzio. Cento passi dalle macerie di palazzo Lo Jacono. Cento passi dagli uffici nei quali le forze dell’ordine hanno filmato i passaggi di “mazzette”. Agrigento è lunga cento passi.
Sullo schermo, la scena dell’omicidio di un giovane che aveva dedicato la propria vita all’antimafia. Le immagini di un maggiore dei carabinieri che indagò sulla morte di Impastato e che indirizzò l’indagine verso l’ipotesi terroristica, invece che mafiosa. Un’inchiesta forse conclusa ancor prima che iniziasse, visto il modo in cui il maggiore cacciò via gli amici di Peppino che cercavano di mostrargli le prove di come fosse stato ucciso.
Si accendono le luci. Giovanni Impastato narra di quegli anni vissuti con un fratello ribelle e un padre mafioso. Ricorda ai ragazzi che ribellarsi alla mafia si può. Che bisogna trovare il coraggio di alzare la testa. Giovanni Impastato risponde alle domande.
– D: Dopo l’inchiesta che portò alla conclusione che la morte di suo fratello fosse stata dovuta ad un atto terroristico in cui l’attentatore sarebbe rimasto vittima di suicidio, grazie a lei e a sua madre (Felicia Impastato) viene individuata la matrice mafiosa del delitto e riaperta l’inchiesta giudiziaria. Emerse però anche un altro aspetto ad oggi ancora poco chiaro. Quello del depistaggio delle indagini… Lei ritiene che quanto accaduto sia da ricollegare a collusioni di carattere locale, o che da alte sfere venne impartito un ordine ben preciso?
– R: Non bisogna dimenticare il particolare momento storico che si viveva in quel periodo. Sono gli anni di piombo, quelli delle Br, quelli del sequestro e dell’uccisione di Aldo Moro (fatto ritrovare lo stesso 9 maggio –ndr). L’ordine arrivò sicuramente dall’alto…forse con il coinvolgimento di servizi segreti… Quello che è certo, che tutti coloro che ebbero un ruolo nelle indagini, vennero poi promossi. Lo stesso maggiore dei carabinieri, divenne un generale (Subranni – clicca qui ). Particolare curioso, che tutti coloro i quali riconobbero la matrice mafiosa dell’omicidio, sono morti (Rocco Chinnici, Giovanni Falcone, Antonino Caponnetto), chi per morte violenta, chi per cause naturali, mentre quanti hanno contribuito a depistare le indagini, sono ancora tutti in vita… La vicenda giudiziaria non è comunque ancora conclusa e potrebbe riservare ulteriori sorprese.
– D: Guardando il film, e conoscendo un po’ la storia di suo fratello e quello che avvenne dopo l’omicidio, sembra quasi di trovare delle analogie con quanto accadde nell’immediato dopoguerra quando vi fu una sorta di patto tra l’allora governo americano, quello italiano, lo Stato Pontificio e la mafia, per cacciare i comunisti dalla Sicilia. Era il 1947, l’anno in cui veniva ucciso Accursio Miraglia. L’anno della strage di Portella delle Ginestre, di quella di Partinico, alle quali fecero seguito un’interminabile serie di delitti mafiosi, tra i quali quello di Placido Rizzotto e quello del sindaco Guarino di Favara…
– R: Mio fratello ereditò quella protesta, tant’è che anche lui si mise al fianco dei contadini, così come avete visto dalle immagini del film, quando si mettono dinanzi ai trattori per bloccare i lavori dell’aeroporto. Peppino, rispetto al periodo antecedente, utilizzò strumenti nuovi per l’epoca, come il giornale e la radio. Fu la naturale evoluzione di quella iniziale forma di protesta…
– D: Nel film, non compare la Chiesa. Non si schierò accanto a suo fratello nella lotta alla mafia?
– R: A quell’epoca, per la Chiesa i nemici, più che i mafiosi, erano i comunisti…
Il dibattito continua, mentre noi lasciamo il seminario. Fuori l’aria è fredda. Il mio pensiero va a quei ragazzi che hanno assistito in silenzio alla proiezione, alla rumorosa assenza di politici, sindacalisti, istituzioni. A chi si dice depistò le indagini. Al generale Subranni, la cui figlia entrò a far parte dello staff dell’ex Ministro di Giustizia, Angelino Alfano.
Cento passi e ci ritroviamo dinanzi Palazzo Lo Jacono. O perlomeno con quello che resta. Cento passi in silenzio, in una fredda serata agrigentina…
Gian J. Morici
Non è facile uscire dall’omertà che ci ha sempre contraddistinti.Noi popolo siciliano legato x dna alla mafia e alla mentalità mafiosa.Difficile far partecipare chi dovrebbe fare della lotta contro la mafia il proprio baluardo.Anche qui ad Aragona oggi c’è stato il ricordo di Peppino Impastato ,a differenza di Agrigento la politica locale era li’ ben sckierata a farsi vedere, ma mancava la cosa ke realmente era necessaria x dare un vero messaggio alla nuova generazione la GENTE il popolo i cittadini… ma preferiscono essere definiti un popolo dormiente.
Dove sono i Paladini del”antimafia forse erano quei tre,non vedo, non sento, non parlo.