
Le recenti polemiche sulle intercettazioni che hanno coinvolto l’ex generale Mario Mori e il giornalista Damiano Aliprandi hanno riacceso il dibattito sulla fuga di notizie dalle procure e sull’uso distorto di tali strumenti investigativi. È sorprendente notare come il fragore di queste discussioni contrasti con quanto avvenuto con il senatore ed ex magistrato Roberto Scarpinato.
Scarpinato, parlamentare e membro della Commissione Antimafia, fu intercettato oltre 30 volte mentre dialogava con Natoli. Sebbene le conversazioni riguardassero un parlamentare e fossero parte di un’indagine in corso, la divulgazione dei contenuti alla stampa non solo non sollevò alcuna obiezione, ma divenne addirittura un cavallo di battaglia per coloro che oggi si ergono a difensori della segretezza e della giustizia.
Le intercettazioni di Scarpinato – non me ne voglia il senatore se dico di non essere un suo fan – furono abbondantemente utilizzate dallo stesso giornalista che oggi lamenta quanto sta accedendo, per sostenerne la sua presunta incompatibilità con il ruolo ricoperto in Commissione Antimafia, e – secondo quanto riportato nelle anticipazioni della puntata di stasera di Report – autore del suggerimento dato al generale Mori di far mettere fuori dalla Commissione Scarpinato.
Premesso che nel caso della puntata di stasera di Report a essere intercettato non era il giornalista, ma il generale Mori, non si poneva il problema dell’intercettazione di un operatore dell’informazione, un tema che oggi suscita grande indignazione, all’epoca, nessuno si indignò per la diffusione di quelle conversazioni tra Scarpinato e Natoli. Non ci fu alcuna “chiamata alle armi” da parte dei media o della politica, nessuna richiesta di intervento al Ministro della Giustizia, né tantomeno alcuna richiesta alle procure per individuare i responsabili della fuga di notizie.
Questo doppio standard è lampante e solleva interrogativi profondi sulla coerenza e sull’integrità del dibattito pubblico nel nostro Paese. Se da un lato si condanna con veemenza la diffusione di intercettazioni che coinvolgono figure mediaticamente rilevanti, dall’altro si è tollerato – quando non addirittura promosso – un comportamento identico quando le stesse intercettazioni potevano servire a colpire un avversario.
Parafrasando un antico adagio, potremmo concludere che chi di intercettazioni ferisce, di intercettazioni perisce.
Gian J. Morici