Sono uscito a prendermi il ruggito del mare.
Lo respiro e mi placa.
Il nero livido di questa notte senza luna lo confonde al cielo.
La rabbia feroce del maestrale strappa la tela e il silenzio. Squarci bianchi di schiuma – di sangue – si aprono come ferite senza lacrime. Il mare ruggisce e non piange. E avido ingoia quella rabbia che riverserà sulla terra.
Claudia piange. Piange sui lividi sulla sua pelle bianca. Piange le unghie, i denti nella sua carne. Immobile piange. Piange e respinge la rabbia. Piange e tace. E non si alza il ruggito. E non mi placo. Le mie mani su di lei, ancora. La mia rabbia su di lei, ancora.
Adesso sono io che piango. Io sotto il letto, io nell’armadio, io dietro la porta. E la tua di rabbia che viene a cercarmi. A poco a poco smetti di aver paura e smetti di piangere. Apri le ferite e divori la rabbia che ti piove addosso. La coltivi. Quasi orgoglioso. Claudia non vuole imparare. Tutti dovrebbero imparare. Avanti colpisci. Avanti feriscimi. Il ruggito del mare che istiga il vento e spezzerà la terra. Non posso niente contro di te. E quel che è peggio è che ti amo. E allora colpisci. Il tuo veleno nel mio sangue, le mie mani nel sangue di Claudia.
E di altri prima di lei.
Una nuvola di fumo e il tempo che disegna immagini. Memorie. La terra piange.
Anche mia sorella aveva smesso di piangere. Vomitava la rabbia che aveva imparato a ingoiare urlando contro il mondo. Anche contro di me che crescevo e diventavo come te.
Scappavo. A volte scappavo. Quando quell’onda dentro risaliva forte e aveva il tuo odore. Scappavo a cercare il mio. A stringermi la pelle addosso, ad immaginarmi il buio e il silenzio e la paura e l’attesa e il niente dopo. O la pace, le parole. Le stesse che non trovavo. L’urlo anche. A volte uscivo a urlare. Che almeno fossi Laura e non di nuovo te. E invece l’urlo mi tornava dentro e rimontava il fuoco. A chiedere lacrime e terrore. A chiedere terra da spezzare, mura da frantumare, le mani a fare male fino a farmi male, e rumore rumore rumore.
Mi chiudevo in camera. A volte per giorni. Uscivo di notte, quando tutti dormivano. A razziare cibo, come gli animali. Il peggio era sentirli fuori. Sentirli chiedersi perché mi facessi questo. Lasciarli illudere che fossi in tana piuttosto che nell’unica prigione che sapevo costruirmi.
La vita fuori. La vita fuori era diversa. Mi sorprendevo a chiedermi fuori da che. Da casa? Dai muri? Dai legami? Dall’amore? E dall’amore di chi? Quello degli altri per me o il mio per gli altri? Fuori di casa amavo gli altri e gli altri mi amavano. Come a casa. Dove ero io a non sentirlo. No, non lo sentivo neanche fuori. Fuori di casa stavo bene con gli altri e gli altri stavano bene con me. Finché non ci amavamo. Ci si ama in una casa, ci si ama tra dei muri, ci si ama in un legame. La casa, i muri, i legami. La rabbia. Le mani, il dolore, le lacrime, il pianto. Ci si ama ferendosi. E Arianna, e Paola, e Cristina e Simona. E Laura e mia madre. E allora dovevo star solo. O senza muri. O cambiare i muri intorno.
Quando riuscii ad andarmene, dei muri nuovi scelsi di farne ancora una prigione. Alle pareti gli occhi dell’amore che non dovevo lasciare entrare. La vita fuori, in superficie. La vita dentro, silenzio. Attesa. Ad aspettare di non volere più rumore.
Claudia è arrivata dalla superficie. Dal non volersi, dal non legarsi, dal non amarsi. Senza vento. E attraversava i muri come i fantasmi. Quando ha iniziato ad amarmi ho provato a scappare. Come scappavo da te. E tu mi amavi. So che mi amavi. Ma lei non mi faceva paura. Lei non voleva. Lei non chiedeva. Lei non urlava. Così quando entrava in casa chiudevo le finestre perché il vento non potesse entrare.
Quando ho iniziato ad amarla ho provato a scappare. A nascondermi nel buio, a trattenere il fiato. Si avvicinava piano Claudia e mi tendeva la mano, sorridendo. Claudia non mi faceva male.
Ti ho amata Claudia, ti amo.
E ci ho creduto.
Ho creduto che il tuo sorriso e la tua mano e i muri trasparenti e le finestre chiuse potessero tenere fuori il vento e spegnere per sempre il fuoco.
Ma tu hai pianto.
Eri lì col sole sul viso ad aspettarmi,
le labbra tese,
le mani chiuse
e piangevi.
Il silenzio credo. Le parole forse. O le finestre chiuse su di noi.
Ed ero io a piangere. Io ad aver paura. Prima di imparare.
Non volevo farti male Claudia, ma tu hai iniziato a piangere. E non si può piangere senza dolore. E non si può piangere perché si ha paura. E non si può piangere perché si chiede amore. Devi crescere Claudia. Crescere ed ingoiare rabbia e vento ad agitarti il fuoco. Io ti amo e devo aiutarti a crescere. Come me.
Ho perso la mia ombra sotto l’ultima luce del pontile. O ho perso me. E l’uomo spezzato in ginocchio davanti al nero che lo avvolge e lo divora non è che l’ombra nera che lo ha devastato. E un’ombra non piange. Mentre l’uomo invoca le lacrime. Tutte quelle che non ha più.