Da un articolo di Alida Amico per il settimanale Centonove già in edicola.
“L’idea, di reintrodurre dopo circa mezzo secolo la coltivazione del cotone in Sicilia, è venuta all’imprenditore tessile, Giuseppe Pizzino, titolare della società Cottonet. Il quale, la scorsa primavera, si era rivolto all’università di Catania e di Reggio Calabria, per uno studio ad hoc, che poi è stato sponsorizzato dall’assessorato regionale all’Agricoltura. La sperimentazione – a cui ha lavorato in questi mesi un “pool” di docenti calabresi (Carmelo Santonoceto, Santo Virgillitto, Fabio Gresta) e siciliani, tra cui il ricercatore dell’università di Agraria di Catania, Paolo Guarnaccia – ha dato dei risultati eccellenti. Nei 3 siti, individuati per la coltivazione sperimentale (uno nella piana di Catania e 2 in quella di Gela) dove la scorsa primavera sono state seminate 15 varietà diverse di cotone – per verificare quella più adatta alla produzione siciliana, in termini di resa e di qualità della fibra – ben 4 “varietà” hanno superato la prova a pieni voti: producendo 3 tonnellate di cotone per ogni ettaro. “
Da quanto appreso dall’articolo della Amico, il posto migliore per la coltivazione, sarebbe soprattutto la piana di Gela..
Secondo l’imprenditore messinese Pizzino – che ha curato lo studio di “fattibilità”, dal versante imprenditoriale – ritiene che i risultati della ricerca, relativi alla resa per ettaro ed alla qualità, sono “eccezionali”.
Per avere un’idea – sintetizza Pizzino – questo è un progetto che vale 5 volte la Fiat di Termini Imerese. Coltivando 100 mila ettari, un decimo della piana di Catania e di Gela messe insieme – calcola l’imprenditore brolese – daremmo lavoro in 5 anni, a 10 mila persone”.
A descrivere il ciclo di produzione, Paolo Guarnaccia, ricercatore dell’ateneo catanese e responsabile scientifico del progetto.
Un progetto che coinvolgerebbe gli agricoltori, gli industriali e le loro associazioni. Ma anche le istituzioni, gli enti locali. I Comuni, dovrebbero promuovere, ad esempio, insieme a Coldiretti, Cia, Confagricoltura, i consorzi di produttori”.
L’assessore regionale all’Agricoltura, Elio D’Antrassi, che ha sponsorizzato la ricerca, non ha dubbi. Quando si arriverà a 5 mila ettari di coltivi, sarà possibile fare la cardatura e la filatura in proprio. Tutti i macchinari necessari – rileva – possono essere finanziati con il Psr ordinario. Inoltre la Regione può intervenire con fondi propri, se non riesce a coprire sufficientemente la spesa con il Psr. Però è giusto che un investimento di questo tipo – sottolinea l’assessore – viva anche per capitali di rischio, a cui può provvedere un consorzio di agricoltori”.
Il cotone, un tempo si coltivava nella piana di Gela e di Catania. Ma anche, nell’agrigentino (a Sciacca), e nel trapanese (a Paceco). Si sgranava a casa, quindi si filava e tesseva. Rientrava, insomma, nella normale economia della famiglia rurale siciliana…
Se con il grano non funziona, si diversifica. La Regione, insieme agli enti locali – afferma il sindaco di Niscemi, Giovanni Di Martino – dovrebbe avere una funzione di cabina di regia.
Servono i centri di sgranatura, che costano e si devono creare dando incentivi ai consorzi, per l’acquisto dei macchinari. Ma poi, si può pensare a mini aziende del tessile in Sicilia, oppure questo cotone lo dobbiamo imballare e spedire fuori?” Sulla sua stessa lunghezza d’onda, anche il capogruppo alla Provincia nissena del Pd, Alfonso Cirrone Cipolla, originario di Niscemi.
Mentre l’assessore allo sviluppo economico del Comune di Gela, Giuseppe D’Aleo, punta ad un consorzio tra i produttori.
Potrebbe dunque essere il cotone la risorsa di un settore in crisi come l’agricoltura…