-E’ accaduto- si disse. Era tardi, ma non riusciva a sbrigarsi, stava in bagno da un’ora. Il cielo cominciava a schiarirsi. Sua madre e suo padre avevano il turno di notte, non sarebbero rientrati che al mattino inoltrato Si preparava per andare a scuola. Ma non smetteva di asciugarsi, tremando di freddo. Neppure aveva dormito, si sentiva strana, non si risolveva a staccare gli occhi dallo specchio, dal suo corpo nudo, infreddolito, solitario sotto la lampadina alta sullo specchio. Il ventre piatto, la curva tenera dei seni, ancora spigoli e saette muscolose fin verso la nuca dove si attorcigliavano dei ricci biondi, fitti.
-E’ accaduto- disse a voce alta. Gettò l’asciugamano e iniziò a vestirsi. Mentre raccoglieva i libri e si infilava il cappotto diede uno sguardo dietro di sé, contemplò la casa, buia, silenziosa, senza respiro. Aprì velocemente la porta e uscì correndo. Era tardi.
Il mezzogiorno in inverno non è che una tregua, alla mezz’ora riparte il freddo, la scuola è gelida lontano dai termosifoni. Quindi grappoli di adolescenti si radunano intorno ai caloriferi di ghisa, mal funzionanti, e chiacchierano. E’ lì che le viene l’idea. Mentre li ascolta parlare di dvd, mp3 e ultimi ritrovati.
-Faccio una festa- dice. Neanche avesse detto faccio una strage. Ammutoliscono.
-E dove la fai?- chiedono le amiche
-A casa mia-
-Ma c’hai posto?-
-Certo-
-Ma se hai sempre detto che casa tua è un buco e non si poteva fare?-
Scuote i capelli ricci, così luminosi da sembrare metallici, di quell’oro straniero, gelido, imperioso.
-Ora si può fare, facciamo sabato.-
Ricominciano le lezioni, si rientra nella classi.
All’uscita nessuno la aspetta. Franco fa finta di non vederla, sembra molto impegnato a chiacchierare con un suo compagno, non la guarda. Lei lo fissa, lo insegue con lo sguardo, immobile sulla scalinata della scuola, finchè lui non svolta l’angolo e allora lei può muoversi, verso la fermata dell’autobus.
La casa, al ritorno, è immersa nel silenzio. I suoi dormono, dopo la notte all’ospedale hanno un giorno di recupero. Il pranzo non è pronto, ma ci penserà lei a preparare. Lo fa con accuratezza. Oggi vuole che non ci siano discussioni. Quando è tutto pronto pensa di poter andare a svegliare sua madre. Entra in stanza. Dormono vicini, di fronte l’uno all’altra, sprofondati in quel sonno stanco, pratico, utile. Dormono come se lei non esistesse.
-E’ accaduto,- pensa,- come dirglielo?- Suo padre si muove, si gira sull’altro fianco. Allora sua madre apre gli occhi. Lo sguardo rimane fisso sulle spalle del marito, poi vaga incerto sul lenzuolo e infine vede sua figlia. Le sorride.
-Quando vi va, è pronto di là-
Ma la madre richiude gli occhi. Allora esce dalla stanza, e va in cucina a mangiare da sola.
Dopo il pranzo consumato in pigiama, sua madre va in terrazza a stendere i panni e suo padre accende la televisione. Lei la segue.
-Ti devo chiedere una cosa-
La madre continua a stendere.
-Voglio fare una festa, sabato, una festa da ballo.-
-Che è questa novità? Perché?- armeggia con le lenzuola. Lei la aiuta.
-Perché non ne ho mai fatte, manco da piccola-
-Hai qualcuno che ti piace?- Lei scuote la testa.
-Ma non è mica il tuo compleanno.-
-Perché, quando mai l’ho festeggiato il mio compleanno?-
Si allontana dalla madre, per controllarsi.
-Non è la festa, non è la festa il problema ora-.mormora tra sé.
-Bè adesso non si può, non ci sono soldi per feste- taglia corto la madre, e si piega a raccogliere il secchio di plastica.
-Sarebbe meglio un funerale no?- le scappa detto- per quello i soldi si troverebbero no?-
-Senti, ma che hai voglia di litigare? Non hai fatto la notte che ho fatta io, tu.-
-Senti mamma- la segue mentre la madre scende la rampa di scale che separa il terrazzo dall’ascensore:
-Non devi tirare fuori nessun soldo, facciamo la festa come una volta, ognuno porta qualcosa, io ci metto solo la casa, facciamo sempre così.-
-Ma quanti sono, ma dove li mettiamo? Magari loro hanno delle belle case grandi, lì al tuo liceo sono tutti ricchi-
-Ma non è vero, Luisa ha una casa piccolissima, è una unica stanza, di separato c’è solo il bagno, e fanno feste in continuazione.-
-Ma magari la madre c’ha poi la donna che pulisce-
-Ma quale donna, ti aiuto io, risistemo tutto io.-
-E io e tuo padre dobbiamo andare a fare un giro magari..per strada col freddo-
Lei sospira. Sta per raggiungere sua madre che scende troppo in fretta, per metterle una mano sulla spalla. Ma la madre si gira. E’ ferma e la guarda:
-Ma dico, magari vengono su con qualche droga-
Lei allora le cerca gli occhi, fin in fondo agli occhi. Sua madre ha quarant’anni, solo quarant’anni:
-Ragioni come una ottantenne, ma per chi mi hai preso? Ti sembro una che si droga io?-
La madre distoglie lo sguardo. –E che ne so- mormora frettolosamente continuando la sua discesa, così precipitosa, lei non gliela fa a starle dietro. Le manca il respiro, le bruciano le labbra. Come se le avessero picchiate con il rovescio della mano.
Resta lì. Se è così complicato ottenere una festa, dire il resto come sarà. Si siede sulle scale, e appoggia il mento tra le mani.
-Allora, che è questa storia della festa? – chiede suo padre, alla sera. E’ uscito nel pomeriggio, è andato fuori tutto il pomeriggio. Sua madre ha sistemato casa,ha stirato i panni, ha preparato la cena. A guardarla, ha ancora il pigiama del mezzogiorno, e non si è pettinata. E’ pallida. Lei non risponde. Suo padre è allegro, non riesce a non farlo vedere. E’ in quella allegria che se ne vanno i soldi per feste e benessere, è in quella allegria, lei lo sa da anni.
-Una festa da ballo, -dice infine, -ho fatto diciotto anni e non abbiamo festeggiato-
-Come non abbiamo festeggiato, e lo spumante? E la crostata che ha fatto la mamma? E i cinquanta euro della nonna?-
A pensare a quella festa le sale un sentimento irriconoscibile, che in avanti nel tempo avrebbe chiamato amarezza, ma ora non sa.
-Non c’è da spendere niente, è per sabato, tanto per provare a fare una festa, una volta, prima di..-
non ritrova più la voce.
-Prima del diploma? Perché quest’anno ci sono gli esami no?Va bene, fai questa festa- suo padre continua a parlare e a mangiare. Sua madre non replica. Non parla, sua madre, cambia i piatti, domani sveglia alle cinque, l’ospedale è lontano. Fuori piove, la minestra si è raffreddata. Suo padre brontola che una fettina è troppo poco, lui lavora sodo. Allora sua madre taglia la metà della sua e gliela mette nel piatto. Lui mangia, continua a mangiare. Sua madre va verso il bagno. Si chiude dentro. Lei sparecchia, lava i piatti. Suo padre si allunga sul divano ed accende il televisore.
Lei va a letto, incrocia sua madre che esce dal bagno-Notte-
Nella stanza rimane al buio. Non vuole vedersi. Ripensa al calore dei pomeriggi con Franco, e ci pensa senza amore. Ora c’era da fare la festa. Da dirlo davanti a tutti. Da finirla in tragedia magari, ma finirla.
Così al sabato mattina si sveglia presto, e comincia a spostare i mobili, a lucidare il pavimento. Sua madre ancora dorme, la sera prima, per farle dispetto sicuramente, aveva anche un po’ di febbre. Suo padre è già uscito, perché oggi la Ginette fa il turno di mattina, e lui l’accompagna all’amante, la va a prendere già in fregola alle cinque, lei lo sa, da due anni lo sa. Prova una fitta al ventre mentre passa lo straccio sui pavimenti. Si siede un attimo sul divano. Perché la francese abita quasi di fronte a casa loro. Ed una mattina d’inverno suo padre e sua madre hanno litigato. Ma parole grosse, alle quattro del mattino, e parapiglia in corridoio, lei li vedeva dalla porta a vetri, due fantasmi scontornati, lui che staccava ad una ad una le dita della mano di sua madre che gli afferrava la camicia. Poi il colpo secco della porta d’ingresso che si chiude. E sua madre, immobile, dietro la porta a vetri. Lei era corsa alla finestra, vedeva suo padre uscire dal portone e dirigersi dall’altro lato della strada, salire su una macchina, in vista sotto al lampione, e tutto il resto, proprio lì, sotto i suoi occhi, proprio lì, dove c’era la sua famiglia.
Era cominciata così con Franco. Non ci aveva mai riflettuto prima di ora, ma era stato proprio lo stesso giorno, qualche ora dopo la scena bestiale di suo padre nella macchina di Ginette.
Era scivolata via dalla sua casa per andare a scuola. Franco era tanto che glielo chiedeva. Quella volta glielo aveva chiesto lei.
La fitta è passata, ricomincia a lavorare ma sua madre è in piedi, la osserva dal vano della porta.
-Sei contenta che fai la festa? Non ti affaticare tanto, ora ti aiuto.- Ma poi avanza di due passi e si siede su una delle sedie che sua figlia ha sistemato vicino alla parete.
-Alla tua età è vero, andavo a tante feste, e a casa mia se ne facevano tante. Hai ragione sai..qui non è stato un posto felice per te.- Vorrebbe replicare qualcosa. E’ contrariata, si sente la gola stretta mentre sua madre parla come quando lei era bambina, come quando voleva scusarsi di qualcosa. Era come fosse un’altra madre, alla quale non era abituata, che la metteva in difficoltà con quel sentimentalismo inutile. Non risponde, la lascia alle sue riflessioni, continua a lavare il pavimento. Poi prende il secchio, va in bagno, rovescia l’acqua sporca nel water. Ritorna in camera da pranzo, sua madre è sempre lì. Non la guarda, va in cucina, comincia a preparare dei panini, almeno quelli. Li ha comprati con i soldi che ha risparmiato, quelli delle feste, i cinquanta ricchi euro della nonna per i suoi splendidi diciotto anni. Dopo un po’ si accorge che non sta respirando, sta ascoltanto le parole di sua madre che dall’altra stanza parla:
-Anche io avevo una casa piccola, smontavamo tutto e mettevamo sul balconcino. Ognuno portava qualcosa, ma allora nessuno ci badava, non si faceva brutta figura, eravamo tutti dei pezzenti..Ora invece..Poi ci si fidanzava, ma mica si smetteva di fare le feste per questo. Ora tutti si isolano..Era così bello ballare i lenti con il ragazzo che ti piaceva, sperare che ti avrebbe fatto la dichiarazione, o invitata ad uscire..Adesso magari li invitate voi..- La voce di sua madre è sempre stata sottile, delicata, come se la soffiasse fra le corde vocali. Ora le sembra più affannata, sarà l’età, pensa, e continua a infarcire panini, poi li sistema su un vassoio. Sua madre le è alle spalle: -No- dice – Non metterli così. Ti aiuto, ero brava a preparare il buffet, anche con poco sembrava una tavola da signori- Lei non replica, la lascia fare.
-Tuo padre non tornerà, abbiamo del tempo per stare insieme, preparare una bella festa.- Poi la guarda
-Te la meriti sai, sei una brava figlia tu.-
Le sembra insopportabile tutto questo chiacchiericcio che le fa, tutta questa premura. Non vuole guardarla, non vuole vederla e la lascia in cucina a preparare quei panini micragnosi fatti con la lonza del discount. Ma lei la segue:
-Papà ti ha lasciato i soldi delle bibite. Niente alcool eh, mi raccomando.. Io resto qui, me ne sto in stanza, non vi do fastidio-
Si chiede perché sia così arrendevole, patetica.
-Allora vado a prenderle le bibite, così le mettiamo in fresco, scendo- afferra i soldi, il cappotto e si precipita per le scale.
Tutte le mattine volava via per le scale, il tempo di arrivare all’incrocio con la scuola, e lì Franco l’aspettava. Forse Franco non le piaceva, forse era meglio che fosse accaduto. Lo aveva anche invitato alla festa. Lui l’aveva presa per un braccio e con una certa fretta aveva svoltato l’angolo, l’aveva infilata in un portone di quella città vecchia, con quegli androni incustoditi, e le aveva detto che così, in quello stato, lei non gli interessava proprio più, che non aveva nessuna voglia di lei, altro che festa, che la festa era finita.
Lei si era messa a ridere, anche ora ride, mentre corre verso il supermercato per comprare qualche bottiglia di Coca, qualche aranciata. Anche lei non aveva più nessuna voglia di lui, al posto di Franco c’era ora questo pensiero costante, tremendo, che a volte la inteneriva ed a volte la atterriva. Che Franco era solo, e lei non più.
Verso le cinque del pomeriggio è tutto pronto, ma non si vede ancora nessuno. Sua madre non ha parlato più, ha sbocconcellato per pranzo un panino di quelli della festa, e si è ritirata nella sua stanza. Forse ha la febbre. Suo padre non ha chiamato e non chiamerà, ha lo scortico per oggi, per questo la festa gli è tornata utile.
Ancora mezz’ora e poi suonano al citofono. Sono i compagni di classe, tutti assieme. Per le scale fanno una discreta confusione. Poi arrivano gli amici in comune con Franco, si riversano nella casa, neppure la guardano, si sistemano con tranquillità, iniziano a far andare la musica. Qualcuno ha portato pure qualche strumento, una chitarra, la sua compagna di banco suona il violino in maniera scatenata. Il buffet lo smaltiscono in due secondi. Qualcuno scende a comprare della pizza a taglio e delle birre. E quando si placa l’appetito del pomeriggio, la marea di chiacchiere infinite, partono le canzoni storiche, quelle che hanno attraversato gli anni, le generazioni, che sono arrivate da loro, che non sono innamorati per niente, anche fosse non se lo dicono mai. Poi qualche ballo scatenato, qualche giro di ballo di gruppo, qualche lento senza convincimento. Preferiscono parlare poi, appollaiati dappertutto. Lei pensa che non hanno mai litigato in cinque anni di scuola, né veramente partecipato della vita degli altri. Si sono detti delle cose, a volte, ma con una certa svogliatezza. Sono cresciuti giorno per giorno, come rispondendo ad un progetto già disegnato nel tempo, dove anche il turbamento era già stato scritto e poi interpretato. Adesso dovrei dirlo, pensava, dovrei fare l’annuncio, ma aspetto fino a che mio padre rientri, e fino a che mia madre non si sollevi da quel letto da morta per accoglierlo, li voglio tutti qui.
E verso le nove di sera, che tutti sono ancora lì a suonare e cantare, o parlare, la porta di casa si apre. Entra suo padre, e sembra sorpreso di vederli tutti lì, non hanno ancora sgombrato? e dalla porta del soggiorno sbuca sua madre. I ragazzi li guardano, qualcuno saluta. Suo padre sorride, saluta sua moglie, ma quando mai, tutto ben predisposto tra persone modeste, ma civili, forse per non farle fare brutta figura, pensa con un residuo di ingenuità. Allora lei si alza, si liscia il vestito sulla pancia, sui fianchi:
-Allora ragazzi, volevo dirvi una cosa, mi ascoltate un attimo?- E loro ancora sorridono, e anche i suoi sorridono, semi abbracciati.
-Aspetto un bambino. Ho diciotto anni e mi dicono che sia l’età giusta.- e infila crudelmente lo sguardo nella coppia in penombra. Ah si, me la sono goduta, era così bello, pensa, chiudersi fuori dal mondo e non pensarvi più, era come ubriacarsi nello squallore di una cantina.
-Ora io- dice ad alta voce- Non sarò più sola. Ho del vino, brindiamo-
Le ragazze gridano, che bello! E come lo chiami? I ragazzi fanno battute di spirito. Stappano il vino, macchiano il muro. La notte è più profonda. Nessuno ancora va a casa sua, continuano a cantare, a lanciare proposte sui nomi da dare al bambino. Non sa dove sono i suoi. Forse in cucina, a continuare la loro vita.
Sara Milla