Rais come ciliegie e l’uno potrebbe tirarsi dietro l’altro. Il connubio Berlusconi/Gheddafi, dopo il regalo da parte del primo, con i soldi dei cittadini italiani, (5 miliardi di euro da fornire al Paese africano in 20 anni in cambio di un maggior controllo sui clandestini da parte del Colonnello), l’idillio tra i due, sembrava non dover subire mai più scossoni.
La premiata ditta Berlusconi-Gheddafi, grazie ai 65miliardi di liquidità messi sul tavolo dal Rais libico, sembrava destinata ad acquisire importanti pezzi dell’economia italiana.
In due anni Gheddafi è diventato il primo azionista della prima banca italiana, Unicredit, detiene il 7,5% della Juventus ed è il quinto singolo investitore per dimensioni a Piazza Affari.
Obiettivo della ditta Berlusconi-Gheddafi, erano gli appalti di grandi opere, quali l’autostrada libica da 1.700 chilometri già appaltata a imprese tricolori, il “trasporto” dell’Istituto europeo di oncologia e di Italcementi in terra africana.
Una grossa torta da spartire sull’asse Roma-Tripoli, che riguarda anche aziende italiane che operano nel settore dell’energia, accanto alle immancabili aziende russe (l’Eni di Paolo Scaroni ha aperto ai russi di GazpromNeft, con il benestare delle autorita’ libiche, il 16,6% del giacimento Elephant, a 800 km da Tripoli) che sono ormai l’emblema dell’idillio Berlusconi-Putin, altra premiata ditta, altrettanto discussa dai Paesi occidentali (come dimostrato dalle rivelazioni di Wikileaks).
Dopo le denunce per i fatti che vedono coinvolto Berlusconi in Montenegro, presentate dal partito d’opposizione PZP, presso la Corte Suprema di Potgorica contro l’ex primo ministro Milo Djukanovic e il premier italiano Silvio Berlusconi per aver inflitto danni incommensurabili al settore energetico del Montenegro e provocando danni enormi al popolo montenegrino con “accordi segreti”, l’ultima seria preoccupazione per il premier italiano, arriva dalla rivolta in Libia.
Una tomba per centinaia di innocenti, ma che potrebbe trasformarsi anche nella tomba di molti affari italiani, condotti su suolo libico da quelli che a buon titolo potevano essere definiti i due Rais dell’area nordafricana: Berlusconi e Gheddafi.
Dopo il silenzio di tutti i partiti di maggiorana e di opposizione italiani, sugli accordi Berlusconi-Gheddafi, oggi si parla dell’indegnità del rapporto tra Italia e Libia.
Lo ha fatto Pannella, mentre Casini chiede al governo Berlusconi di riferire in aula. “In Libia – afferma Casini – è in corso un silenzioso massacro di giovani intellettuali e lavoratori che protestano contro un regime liberticida. Le autorità italiane assistono in modo silenzioso e forse imbarazzato nel ricordare le indegne sceneggiate a cui ci ha costretto ad assistere il colonnello Gheddafi sul territorio italiano con la sola voce indignata di una parte dell’opposizione. Chiediamo che il Governo riferisca in Parlamento al più presto su quanto sta avvenendo e che le Camere esprimano una condanna netta e ferma per atti di violenza perpetrati nei confronti di spontanee manifestazioni di protesta popolare contro un regime tirannico”.
Che quello di Gheddafi fosse “un regime tirannico”, se n’era accorto tutto il mondo, tranne i nostri politici – maggioranza e opposizione compresa – che hanno consentito alla ditta Berlusconi-Gheddafi di portare avanti i loro affari, a spese del popolo libico e di quello italiano.
Cosa ne sarà adesso delle commesse per oltre un miliardo di euro da parte libica?
E di tutte le imprese che vedono la partecipazione libica?
Mentre la rivolta divampa nell’area nordafricana, mentre Gheddafi pare sia già fuggito in Venezuela, un altro Rais comincia ad essere seriamente preoccupato.
Ad impensierirlo, non sono tanto i partiti di opposizione, o pseudo tali, quanto le centinaia di milioni di euro che rischia di perdere nei paesi in rivolta o in quelli (Montenegro e Kosovo) dove c’è chi si interroga sulla qualità degli affari dei Rais.
Gian J. Morici