Titola così il settimanale “Centonove” l’articolo della giornalista Alida Amico, sulle vicende che riguardano l’Asi di Agrigento, oggetto del dossier presentato da Italia dei Valori al Prefetto della città della valle dei templi.
“Il portavoce nazionale di Idv Leoluca Orlando – scrive la Amico -, insieme al coordinatore regionale Fabio Giambrone ed il responsabile provinciale del movimento Nello Hamel, lunedì scorso – durante una conferenza stampa svoltasi nei locali della biblioteca comunale agrigentina – hanno riacceso i riflettori sul rovente capitolo Asi.”
L’articolo riporta i fatti dello scorso maggio, quando “l’area industriale – dal 2006 presieduta dal “cuffariano” Stefano Catuara (v. foto), originario di Raffadali – era già stata commissariata dall’assessore regionale alle Attività produttive, Marco Venturi.”
Un provvedimento attuato a seguito di “diverse violazioni di legge” e per tutta una serie di “illegittimità” riscontrate nella gestione dell’ente. ”
La narrazione dei fatti riportati nel dossier consegnato al Prefetto. Dalle “minacce agli ispettori
regionali” inviati per controllare la regolarità delle operazioni svolte, all’ “abolizione di fatto” del protocollo di legalità, già stipulato durante la gestione commissariale, con la Prefettura di Agrigento, per arrivare alle “spese pazze”, le indennità “indebitamente erogate” ai dirigenti, etc.
Una “guerra” poi condotta a colpi di carta bollata – dopo che il Tar prima ed il Cga poi, lo scorso settembre, su ricorso del Catuara, avevano annullato il decreto assessoriale che ne disponeva il suo
commissariamento -, nella quale compaiono nomi di personaggi in vista ed imparentati con politici agrigentini di primo piano.
Una “guerra” terminata, almeno per il momento , con la bocciatura dell’ultimo ricorso al Tar presentato da Catuara.
Ma non si tratta solo di battaglia di carattere amministrativo, visto che lo
stesso Catuara aveva già anticipato il ricorso alla magistratura penale, che indagherà ed accerterà se ci sono responsabilità di tipo diverso rispetto a quelle amministrative…”.
Già durante la prima
gestione commissariale, montagne di denunce sono state inoltrate alla Procura di Agrigento ed alla Corte dei Conti di Palermo, mentre non poco fa discutere l’abbandono, nel mese di settembre del protocollo di legalità con la richiesta di sottoporre a checkup antimafia le imprese insediate nei 5 agglomerati industriali dell’Asi (ad Aragona & Favara, Porto Empedocle, Casteltermini, Sciacca, e Ravanusa), al fine di estromettere le ditte di soggetti imparentati con esponenti di Cosa Nostra (ce ne sarebbero diverse, soprattutto nell’area di Aragona e Favara).
L’assemblea generale dell’ente, che avrebbe dovuto occuparsi dello sviluppo economico nell’agrigentino, – per lo più costituita da guardie carcerarie e maestre. Messe lì dalla politica, per farsi trasferire nella loro città. “Nominati con logiche clientelari, avevano il compito di ratificare scelte ed accordi – come denunciato dai dirigenti di Idv – raggiunti in altre sedi”.
Il “progetto Maciste”, un’iniziativa durata solo qualche mese, ma che con i fondi Por 2000/2006, aveva ottenuto 350 mila euro.
Debiti e sprechi dell’Asi di Agrigento, che vanta il record dei debiti: 30 milioni (seconda solo a Messina). Accumulati per i contenziosi con le ditte costruttrici (negli anni 90, imperversava il costruttore Filippo Salomone, condannato 2 anni fa in Cassazione per mafia & appalti).
Un articolo, quello della giornalista Amico, che, così come ricostruito nel dossier di Italia dei Valori, mostra una gestione clientelare di un ente che avrebbe dovuto occuparsi dello sviluppo economico e che si è invece trasformato in un centro di potere.