Mentre le procure di Caltanissetta e Messina lavorano alacremente sul depistaggio messo in atto dopo la strage di via D’Amelio nella quale morirono il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta, emerge in maniera sempre più evidente la spaccatura in atto all’interno della famiglia del giudice, che vede da una parte le figlie Lucia e Fiammetta sostenere i magistrati che stanno conducendo le indagini, e dall’altra Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso, critico nei riguardi di chi a distanza di così tanti anni ha indagato sulle tante “anomalie” nella gestione del falso pentito Vincenzo Scarantino.
Una spaccatura – quella interna alla famiglia – che risale già a qualche anno addietro, quando Fiammetta Borsellino doveva essere sentita in Commissione regionale antimafia a seguito delle pubbliche dichiarazioni rese su quello che è stato indicato come uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana, ricevendo il sostegno della compianta Rita Borsellino – sorella del giudice ucciso – che aveva definito coraggiosa la scelta della nipote, dichiarandosi perfettamente d’accordo con le sue iniziative volte a far piena luce sui tanti lati oscuri che a distanza di decenni ancora non permettono di conoscere la verità.
Di diverso avviso Salvatore Borsellino, fratello del giudice assassinato, che dopo le accuse mosse da Fiammetta Borsellino ai vari pm che gestirono il falso pentito Scarantino, prese le distanze dalla nipote, scusandosi pubblicamente con l’ex pm Di Matteo, per quelle che aveva definito “incaute affermazioni che sono state fatte da membri della mia famiglia”.
Per il depistaggio delle indagini sull’attentato di via D’Amelio, è in corso a Caltanissetta il processo che vede imputati i poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, accusati di calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa nostra, mentre a Messina è stata chiesta l’archiviazione delle indagini – alla quale si sono opposti i legali delle parti civili – a carico degli ex pm Carmelo Petralia ed Annamaria Palma, i due magistrati che facevano parte del pool che coordinò l’inchiesta sull’attentato, ai quali era stato contestato il reato di concorso in calunnia aggravato dall’avere favorito Cosa nostra.
A conferma della spaccatura, anche le dichiarazioni rilasciate lo scorso anno a Adnkronos da Lucia Borsellino, sorella maggiore di Fiammetta, che ha elogiato il lavoro che sta compiendo la Procura di Caltanissetta e quello della Procura di Messina. “I magistrati – ha dichiarato ad Adnkronos Lucia Borsellino – stanno facendo un lavoro molto, molto complesso, reso ancora più difficile sia dal tempo trascorso ma soprattutto dalle evidenze emerse su uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana. Perché non è sicuramente facile ricostruire i pezzi della storia dopo tutto quello che è accaduto”.
Era stata la stessa agenzia di stampa che però riportava come Salvatore Borsellino, durante la presentazione del libro ‘DepiStato’, aveva invece duramente criticato la Procura di Caltanissetta.
Stupisce, e non poco, che a criticare la Procura di Caltanissetta sia stato il fratello del giudice assassinato, visto che proprio a Caltanissetta si tiene il processo che vede Matteo Messina Denaro accusato di essere tra i mandanti delle stragi del ’92, nel corso del quale sta emergendo anche il ruolo del falso ex pentito Vincenzo Calcara, indicato dal pm Gabriele Paci – nella sua requisitoria in Corte d’Assise di Caltanissetta – come “un collaboratore che ha inquinato l’acqua nel pozzo per chiarire i vertici della mafia trapanese”, facendo riferimento al fatto che il Calcara, grazie alle sue dichiarazioni, spostò l’attenzione degli inquirenti dai Messina Denaro su Mariano Agate, senza mai fare, oltretutto, il nome di Matteo Messina Denaro che proprio durante il periodo immediatamente antecedente alla presunta collaborazione dell’ex pentito, commetteva omicidi e organizzava le stragi.
L’ex pentito Calcara, per molto tempo ha rappresentato uno dei vessilli di Agende Rosse, il movimento nato per iniziativa di Salvatore Borsellino affinché venisse fatta piena luce sulla strage di Via D’Amelio, incoraggiando la parte migliore delle istituzioni nella ricerca della piena verità sui moventi e mandanti della strage.
Lo stesso Salvatore Borsellino è stato tra i maggiori sostenitori di Calcara, tanto da curare la prefazione del libro “Dai memoriali di Vincenzo Calcara. Le cinque entità rivelate a Paolo Borsellino”, incurante del fatto che lo stesso Calcara narrasse di come avesse partecipato al trasporto del tritolo per l’attentato a Paolo Borsellino (fatti per i quali non siamo a conoscenza se sia mai stato indagato e per i quali, comunque, certamente non venne mai processato):
“Fui incuriosito dalla presenza di una cassa enorme – riporta Calcara nei suoi memoriali – alta un metro e mezzo e larga almeno un metro. Ci dissero di caricarla facendo estrema cautela e la cosa destò in me un dubbio che presto si trasformò in certezza, ovvero che la fantomatica cassa fosse piena di esplosivo. Chi era il bersaglio? La risposta era oramai abbastanza chiara: il tritolo avrebbe dovuto uccidere quel maledetto giudice che stava procedendo troppo spedito in direzione della Mafia; quel Borsalino che voleva annientare la Piovra dalla radice. L’esplosivo era un regaluccio per lui!”
Parole che suscitano in chiunque di noi un moto di rabbia e di repulsione nei riguardi di chi ha sempre sostenuto che avrebbe voluto salvare la vita al Giudice.
Calcara, intanto, sul profilo Facebook “Vincenzo Calcara : Le mie verità”, qualche giorno fa criticava anche lui il pm Dott. Gabriele Paci, per aver presupposto che lui sia un pentito eterodiretto, ovvero guidato da altri, definendo assurda la deduzione del Dottor Paci, visto che le uniche persone che avrebbero potuto gestire la sua collaborazione erano i magistrati con i quali aveva collaborato, ovvero il Dottor Paolo Borsellino e i sostituti procuratori Francesco Lo Voi e Gioacchino Natoli .
Intanto, il 19 luglio, si terrà a Palermo la commemorazione per ricordare strage di via D’Amelio. Quella strage che sembra sempre più evidente fu oggetto di due possibili diversi depistaggi. Quello nato dalle false dichiarazioni di Vincenzo Calcara, che – consapevolmente o meno – finì con il favorire il progetto stragista di Matteo Messina Denaro, e quello operato da Vincenzo Scarantino, il quale per anni accusò persone poi rivelatesi innocenti, sviando le indagini degli inquirenti.
Il silenzio da parte di “Agende Rosse” su fatti tanto gravi, rende ancora più doloroso il ricordo della strage e l’insabbiamento della verità perpetrato per decenni da chi invece aveva il dovere di farla emergere, andando fino in fondo per risalire alla genesi delle stragi che insanguinarono la Sicilia, e permettendo così, ancora oggi, al boss Matteo Messina Denaro di continuare a godere delle protezioni che hanno consentito la sua lunga latitanza.
Un silenzio che consente ancora a Vincenzo Calcara, di poter dire, impunito, che sconosceva il ruolo di Matteo Messina Denaro all’interno della famiglia mafiosa di Castelvetrano, quando il padre di lui, Francesco, gli diede l’incarico di uccidere il magistrato, “ma in quella occasione il suo ruolo era anche di partecipare per uccidere il Dott. Paolo Borsellino e ho capito che tra lui e il padre c’era una perfetta simbiosi, come se erano la stessa persona. Quindi non avevo nessun dubbio che Matteo Messina Denaro stesse organizzando la strage insieme al padre.”
Se Calcara lo avesse dichiarato fin da subito, anziché tacere per anni, forse non avremmo la necessità di ricordare la strage di via D’Amelio nella quale morirono Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta.
Gian Joseph Morici
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