“I giornalisti distinguono il vero dal falso…e pubblicano il falso”. Inizia con queste parole la lettera aperta della moglie dell’appuntato scelto Giuseppe Barcellona, coinvolto in una vicenda ancora in parte da chiarire, ma rispetto la quale è emerso fin da subito che non c’erano “talpe” di sorta, se non nei titoli degli articoli stampa volutamente mirati al “fare lo scoop”.
Fatto
Il 16 aprile, con l’accusa di aver rivelato notizie in merito a indagini finalizzate alla cattura del boss latitante Matteo Messina Denaro, i carabinieri del Ros fanno scattare le manette ai polsi del tenente colonnello dei carabinieri Marco Zappalà, in servizio alla Direzione investigativa antimafia di Caltanissetta, dell’appuntato dei carabinieri Giuseppe Barcellona di Castelvetrano e dell’ex sindaco di Castelvetrano Antonio Vaccarino. Rivelazione di notizie riservate e accesso abusivo a un sistema informatico, le accuse ai due militari, favoreggiamento aggravato dall’aver favorito “cosa nostra” per Vaccarino.
La caccia è aperta! Non la caccia al latitante, bensì quella caccia allo scoop alla quale ci hanno ormai abituato i processi mediatici offerti quotidianamente all’opinione pubblica, volti più alla ricerca di soddisfare una perenne di sete di notizie su veri o presunti “nemici pubblici” da crocifiggere ancor prima che ci sia stato un pronunciamento giudiziario.
Una spettacolarizzazione indegna e ben lontana dal fare informazione, alla quale, purtroppo, qualche giornalista si presta, assumendo un ruolo antico: quello dei sommi sacerdoti e degli anziani che indussero la folla a chiedere la crocifissione di Gesù Cristo.
Nell’edizione di ieri del quotidiano “La Repubblica”, a firma del giornalista Salvo Palazzolo, l’articolo dal titolo “Castelvetrano, caccia ai complici di Messina Denaro. Perquisizioni a tappeto, 19 indagati” nel riportare la notizia dell’ultima operazione antimafia volta a sgominare la rete di fiancheggiatori di Matteo Messina Denaro, fa riferimento agli arresti del 16 aprile.
Avranno scritto che già dall’ordinanza di custodia cautelare emergeva il dubbio che i presunti reati commessi dalle presunte “talpe” avevano come finalità quella di acquisire informazioni utili alla cattura di Matteo Messina Denaro? Avranno scritto che il Tribunale del Riesame, rivedendo il caso di Vaccarino, aveva annullato l’ordinanza di custodia cautelare scagionandolo dalle accuse? Avranno scritto che né il colonnello Zappalà, né tantomeno l’appuntato Barcellona, sono mai stati indicati dai magistrati come “talpe” del boss? Assolutamente no! Si sa, la notizia di un arresto fa notizia – permettetemi il gioco di parole – la notizia di scarcerazioni e annullamenti di ordinanze di misure cautelari, è una “non notizia” che non sfama il dilagante giustizialismo di chi pretende Gesù Cristo in croce.
Ci associamo pertanto a quanto scritto nella lettera inviataci dalla Dottoressa Desirè Giancana, moglie dell’appuntato Barcellona.
Questa la lettera:
“I giornalisti distinguono il vero dal falso…e pubblicano il falso
Eppure la responsabilità di ogni giornalista dovrebbe essere quello di informare, non di dare opinioni e per di più non suffragate da fatti. Ancor di più se si tratta di indagini ancora in corso. il 16 aprile scorso era stato il primo a dare la notizia, anzi lo scoop. Perché quando si arrestano carabinieri è sempre uno scoop. Tutte le altre testate si adeguarono a quanto scritto dal pioniere, senza a loro volta testare la veridicità di quanto riportato. Un titolone ad effetto: “talpe di Matteo Messina denaro”. Peccato che nelle 50 pagine dell’ordinanza e neppure nella informativa fu mai scritto ciò. Una licenza poetico/giornalistica. Nei giorni a seguire mi aspettavo un approfondimento dell’argomento dello stesso giornalista che con tanto zelo aveva dato la notizia. Ma niente. Nada de nada. Solo oggi il giornalista riprende l argomento all interno di un altro articolo, ma da quanto leggo ha continuato a non informarsi prima di informare. O forse fa più audience a scrivere ancora inesattezze. Riporto di seguito le sue parole;
“Blitz che falliscono all’ultimo minuto. Tracce che spariscono all’improvviso, telefoni che dalla sera alla mattina diventano muti. Di quali protezioni gode la rete di Matteo Messina Denaro? Forse qualcuno soffia ancora notizie riservate sulle indagini? A metà aprile, la procura di Palermo ha fatto arrestare un colonnello della Dia di Caltanissetta e un maresciallo dei carabinieri in servizio a Castelvetrano perché avevano fatto scivolare un’intercettazione, attraverso quello che chiamavano “un confidente”, nelle mani di un mafioso. Si sono difesi dicendo che cercavano anche loro la primula rossa, ma nessun magistrato ne sapeva niente. Misteri su misteri.”
Forse qualcuno continua ad informare il superlatitante? E subito dopo riprende la notizia del 16 aprile scorso ( per abbellire quello odierno che di per sé non dice niente di nuovo. Questa volta ha avuto ordini precisi di non fare nomi!). E così fa di nuovo gli stessi nomi. Due però. Quelli dei due carabinieri. L’altro si guarda bene dal farlo. lo chiama “confidente”, termine ambiguo. Ma questa ambiguità l’ha risolta pochi giorni fa lo stesso tribunale della libertà. È escluso tassativamente che il “confidente” prof. Vaccarino agisse per favorire il boss, ma al contrario stava collaborando con lo Zappalà ( e solo con lui) per la cattura della primula rossa. Quindi le sue insinuazioni restano solo sue. Nella stessa ordinanza ( che credevo avesse letto) i Pm mettono in dubbio la vera motivazione: se per favorire o al contrario per catturare. Quindi riepilogando: i Pm non lo sanno, il tribunale della libertà dice di no e lui invece continua ad insinuare ( che è ben diverso da informare). E ancora si legge che i due carabinieri avrebbero fatto ” scivolare delle informazioni di prima mano… falso anche questo. Il Barcellona non ha fatto scivolare nulla: ha dato una ed una sola informazione in 2 anni ad un suo superiore e su sua richiesta. Non solo. Non era esattamente di prima mano: i due tizi intercettati parlavano di un funerale. Infine: hanno fatto credere che stessero lavorando per la cattura del boss ma nessun magistrato ne sapeva niente. Falso anche questo. Barcellona non ha fatto credere proprio niente. Il colonnello andava in caserma a Castelvetrano (questo il giornalista zelante non lo scrive mai) a svolgere indagini. Sei sicuro che proprio nessuno lo sapesse? Dico non è che si vedevano di notte negli alberghi come certi magistrati. Porca miseria.
In ultimo, vorrei ricordare all’eccellente giornalista che nessuno dei due cc è accusato di favoreggiamento (come invece si era lasciato intendere all’inizio e mai corretto).
Per tutti questi motivi, ritengo che ci siano gli estremi per una bella querela. Potrei rivelare tante altre inesattezze e falsità. Ma mi riservo di farlo al momento opportuno. Un ultimo appunto:
Sig. Salvo Palazzolo, Barcellona non è mai stato un maresciallo. È un appuntato scelto. Ancora una volta si è sbagliato. Vada a studiare. Ne riparliamo nelle opportune sedi.
Buona giornata a tutti.
Firmato:
La moglie orgogliosa dell’appuntamento scelto Giuseppe Barcellona”
Chi fa informazione – e non cerca scoop a tutti i costi – dovrebbe ricordarsi che dietro queste vicende di cronaca ci sono vicende umane che meritano rispetto. Dovrebbe ricordarsi che la ricerca della verità non è un optional del quale un giornalista può fare a meno. Dovrebbe conoscere il “TESTO UNICO DEI DOVERI DEL GIORNALISTA” che all’ Articolo 8 recita testualmente che” il giornalista rispetta sempre e comunque il diritto alla presunzione di non colpevolezza. In caso di assoluzione o proscioglimento, ne dà notizia sempre con appropriato rilievo e aggiorna quanto pubblicato precedentemente; mentre all’Articolo 9 ribadisce che il giornalista “rettifica, anche in assenza di specifica richiesta, con tempestività e appropriato rilievo, le informazioni che dopo la loro diffusione si siano rivelate inesatte o errate”.
In nessun articolo del “Testo unico dei doveri del giornalista” troverete mai che il giornalista ha il diritto di calpestare il rispetto delle persone, di ignorare quanto contenuto in atti, di inventarsi o travisare le presunte notizie, al solo fine di soddisfare le insane e morbose richieste di eventuali lettori ammalati di giustizialismo.
Un giornalista ricerca la verità, ricostruisce i fatti, si aggiorna in merito agli sviluppi di una vicenda, seguendo con attenzione l’evolversi degli aspetti giudiziari, così come altri giornalisti hanno fatto leggendo con attenzione gli atti giudiziari.
Non voglio condannare né assolvere genericamente quanti operano nel mondo dell’informazione, ma il “fare lo scoop” a tutti i costi, non è giornalismo! Non uccide soltanto la lupara, anche la penna può mietere più vittime – compreso quelle collaterali – di quante non possiamo immaginarne.
Gian J. Morici
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