
Una notizia passata in sordina, stando a chi ha dischiarato che: “quasi nessuno lo sa: ci fu una prova generale della strage di Capaci”.
Il nostro uomo, non un qualsiasi quisque de populo. Nel corso di un’intervista ha fornito particolari “inediti” sulle prove tecniche d’attentato che fecero i corleonesi facendo saltare in aria un tratto di strada.
Lui, Giuseppe “Pippo” Giordano, è un ex ispettore all’epoca in forza alla Dia di Roma, che dopo il 23 maggio – racconta nel 2022 – venne mandato a Palermo per localizzare il luogo di quella che fu la prova generale della strage di Capaci, al fine di individuare il luogo dell’esplosione.
Pochi giorni prima della strage i mafiosi avevano fatto una prova generale per testare la potenza distruttiva dell’esplosivo che avrebbero poi utilizzato per l’attentato a Giovanni Falcone, imbottendo di esplosivo la cunetta di una strada pubblica in contrada Rebuttone, nel territorio di Altofonte, facendo saltare in aria quel tratto di strada.
Tra i presenti alla prova generale per l’attentato di Capaci, anche il mafioso Gino La Barbera che dopo l’esplosione con i suoi macchinari ripristinò lo stato dei luoghi riasfaltando la strada.
Quella che il giornalista descrive come “una incredibile vicenda”, è incredibile sì. Incredibile che venga proposto nel 2022 come qualcosa che “quasi nessuno sa”, quando chiunque abbia letto le notizie sul Capaci bis nel 2014, riportate finanche su Wikipedia, ne sarebbe stato a conoscenza.
Questo sicuramente è dipeso dalla riservatezza del nostro poliziotto che ha aspettato otto anni prima di dare una notizia conosciuta da tutti.
Quello che sarebbe invece importante capire quanto “dopo il 23 maggio” venne inviato da Roma per individuare il luogo. Se fu dopo quel 23 maggio del ’92, si era dinanzi una notizia che avrebbe potuto portare all’arresto dei responsabili della strage di Capaci, viceversa, se parliamo di anni o di qualche decennio dopo, è solo aria fritta.
È mai stato sentito nel corso dei processi a Caltanissetta?
Tanto più che – a suo dire e come riportato in una lettera aperta – avrebbe condotto attività lavorative connesse anche sulle indagini della strage di Capaci, che svolse.
Da queste sue indagini , però, sarà nato il convincimento dell’ex ispettore sul connubio mafia/politica, quando uno Stato imbelle permise a Totò Riina anni e anni di latitanza, sino a ricevere un suo papello.
“Ritornando a Totò Riina – dichiarava Giordano nel corso di un’altra sua intervista -, egli ha voluto strafare, forse inebriato da tutto il potere acquisito: un potere di vita o di morte. E, proprio l’arroganza d’essere il “centro” del mondo, che innescò il suo declino. Era convinto d’essere divenuto l’unica suprema autorità: convinzione che dimostrò con le stragi del ’92 e ’93. E come dargli torto se uno Stato imbelle gli permise anni e anni di latitanza, sino a ricevere un suo “papello”? Il declino dei corleonesi è sotto gli occhi di tutti, ma sopravvivono “menti raffinatissime” che di certo non hanno i “peri incritati”: menti dedite da anni e anni a trattare, ad essere il collante degli indicibili accordi tra Stato e mafia. E del resto, forse ha ragione Fiandaca: la trattativa appare legittima per sopperire alle carenze di uno Stato che non fece nulla per non somigliare ad un Paese sudamericano”.
Erano i tempi in cui l’ex ispettore vedeva magistrati come Di Matteo e Ingroia come gli uomini che rappresentavano un “ostacolo alla continuazione di un sistema collaudato da illo tempore”.
Erano tempi della cd Trattativa, delle menti raffinatissime, del papello, di quei colleghi traditori al soldo dei mafiosi, quando per far capire il connubio mafia/politica l’ex poliziotto citava Dell’Utri, Cuffaro, Contrada, Andreotti e tanti altri.
E oggi? Oggi solo mafia…
La ciliegina sulla torta, la possibile cattura di Matteo Messina Denaro, quando Giordano disse: “Io escluderei che qualcuno dello Stato possa aver aiutato Messina Denaro. Certo, alcune persone lo hanno appoggiato, ma nell’ambito esclusivo di Cosa nostra. Io ancora nel 2013 dissi che lo potevano trovare a Palermo, lo sapemmo da una soffiata e dalla convinzione che potesse essere custodito da Provenzano e da Riina”.
Nel 2013 forse era un po’ tardivo, visto che Riina e Provenzano a quell’epoca si trovavano già nelle patrie galere.
Ma queste sono quisquilie e pinzillacchere, si poteva pur sempre effettuare un’accurata perquisizione nelle celle dove erano “custoditi” Riina e Provenzano…
Sicuramente molte cose l’ex ispettore non le racconta, un poliziotto molto “riservato”, che del giudice Borsellino, in particolare, apprezzava il fatto che parlasse poco.
Gian J. Morici