
Chissà se Giulio Cesare era fascista o comunista; non mettetevi a ridere, altrimenti dovremmo ridere del fatto che ancora oggi ci lasciamo condizionare e dividere da etichette anacronistiche prive di ogni valore ideologico.
Ce lo insegnano la storia romana, la guerra civile inglese, quella di successione spagnola e le tante altre guerre che dalla notte dei tempi l’uomo ha combattuto e combatte tutt’oggi: dietro le narrazioni ideologiche e le bandiere di libertà, giustizia o tradizione, la molla delle guerre e delle rivolte è la sete di potere di individui che mirano a conquistarlo e poi a mantenerlo grazie alla costruzione e al linguaggio di ideologie che, al di là degli apparenti nobili ideali, sono specchietto per allodole per attrarre quei seguaci che si comportano come tifoserie calcistiche.
Una sete di potere personale, mascherata da necessità politica, a volte “su procura” di interessi che non sono neppure quelli nazionali.
Mi ha fatto riflettere un post di Isabella Silvestri sulla sua pagina Facebook, in merito all’audizione in Commissione antimafia – del 13 maggio -, del colonnello dei Ros, in quiescenza, Giuseppe De Donno, il quale, seppur convinto di ciò che diceva Giovanni Falcone, ovvero che non esisteva un terzo livello sovraordinato gerarchicamente a “Cosa nostra”, ha precisato: “esistono però una serie di convergenze di interessi… esistono una serie di situazioni, tra cui gli appalti pubblici, in cui difendendo le attività di uno, automaticamente si difendono gli interessi degli altri, perché il sistema è interconnesso tra “Cosa nostra”, imprenditoria e politica. In varie affermazioni Ciancimino sosteneva esattamente che secondo lui dietro alcuni omicidi eccellenti, dove probabilmente dietro qualcuno c’era anche lui stesso, esistevano decisioni prese altrove dalla Sicilia, e che per una serie di convenienze venivano fatte eseguire poi a Palermo e quindi diventavano delitti di mafia. Tutto questo è quello che poi nel libro noi un po’ lamentiamo; cioè il fatto che questa ipotesi investigativa non fu adeguatamente sviluppata e investigata e rimane quindi a tutt’oggi qualcosa di non dimostrato.”
Una “lamentela” che dovrebbe far riflettere – a maggior ragione provenendo da una parte in causa che altri interessi avrebbe potuto avere – e che invece sembra essere ignorata dalle fazioni politiche, a cominciare proprio dalla Commissione antimafia, orientate ad attribuire i delitti eccellenti e le stragi di Capaci e via D’Amelio alla sola mafia, con queste ultime dovute esclusivamente al dossier mafia-appalti, l’indagine condotta allora dai Ros di Mario Mori e dallo stesso De Donno.
E mentre De Donno vede mafia-appalti come una concausa delle stragi e lui stesso “lamenta” che non fu adeguatamente sviluppata l’ipotesi investigativa in merito a omicidi eccellenti le cui decisioni prese altrove dalla Sicilia e venivano fatte eseguire poi a Palermo diventando delitti di mafia, ecco che nell’arena mediatica e sui social network ricominciano le solite sterili battaglie ideologiche, che portano a non affrontare i problemi concreti che affliggono la nostra società.
Anche la mafia e le stragi vengono viste secondo logiche di appartenenze e simpatie politiche per le quali ogni provvedimento, ogni dibattito, viene immediatamente incasellato in una griglia “di destra” o “di sinistra”, rispondendo a quel “divide et impera” che risuona sinistramente attuale: la riproposizione incessante di spettri ideologici del passato, in primis il fascismo e il comunismo, ad uso e consumo di una destra e una sinistra prive oggi di qualsiasi identità e contenuto ideologico.
Il dibattito si infiamma su questioni simboliche e divisive, allontanando lo sguardo dalla verità.
Quante volte in questi contesti vengono citate le parole di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino ad uso e consumo di chi porta acqua al proprio mulino?
Bene, anzi male, non ho alcun dubbio che la tifoseria “fu solo mafia” e con l’unico movente mafia-appalti, non riporterà una sola delle parole pronunciate da De Donno in Commissione antimafia, così come non ricorderà quelle di Giovanni Falcone a proposito degli omicidi eccellenti, anche da lui riferite in Commissione antimafia il 3 novembre 1988.
Provvediamo allora noi a riportarle:

“Più in generale possiamo dire che i rapporti tra mafia e politica investono direttamente alla domanda sugli omicidi politici. Mi sembra che sia di assoluta consequenzialità Diceva Pio La Torre che gli è stato un periodo nella vita politica siciliana in cui si faceva la politica a colpi di mitra; e lui purtroppo è stato una vittima. Gli omicidi squisitamente politici sono: l’omicidio Mattarella, ancora prima l’omicidio Reina, l’omicidio La Torre […] In realtà si tratta di omicidi di matrice mafiosa: l’esecuzione, le modalità, indicano chiarissimamente che sono omicidi eseguiti da personaggi collegati alla criminalità mafiosa ma il movente (senza che ci si possa addentrare particolari) non è sicuramente mafioso E comunque non è esclusivamente mafioso.”
Se pronunciate oggi, gli sarebbero valse un’accusa di “complottismo”.
La risposta degli assertori del “fu solo mafia” è quella che le indagini non ebbero riscontri, dimenticando ciò che De Donno ha affermato in Commissione antimafia a proposito di ipotesi investigativa non adeguatamente sviluppata e investigata; oppure, che ci sono sentenze passate in giudicato.
Già, sentenze passate in giudicato; non ce ne erano a seguito della collaborazione del falso pentito Vincenzo Scarantino?
O ci sono indagini e sentenze che possono essere rimesse in discussione e altre no, secondo il fine di una sapiente orchestrazione del discorso pubblico?
Chi beneficia di questa continua divisione? Sicuramente coloro che detengono il potere e temono un’opinione pubblica unita e consapevole, preferendo un elettorato frammentato in tifoserie ideologiche più facilmente manipolabile.
Il “divide et impera” romano, oggi passa dalla rievocazione costante di fantasmi del passato e la creazione di nemici ideologici, diventando potenti strumenti per mantenere lo status quo.
Povera giustizia e povera verità, sepolte da interessi politici di bassa lega e dall’accanita tifoseria dei fans.
Gian J. Morici