
Per la corte d’Appello deve restare in cella in Italia
L’uomo – difeso dall’avvocato Jacopo Evangelista – era stato arrestato a seguito di un mandato europeo con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata alla tratta di esseri umani, per avere favorito l’ingresso clandestino di cittadini stranieri tramite il confine tra Ungheria e Slovenia. Il provvedimento era stato emesso dalle autorità ungheresi.
Secondo la corte d’Appello – si legge su La Stampa – in Ungheria non vengono «garantiti i diritti fondamentali dei detenuti»
“Le carceri di alta sicurezza dell’Ungheria non garantiscono i diritti fondamentali dei detenuti. Per questo motivo Muhammad Naveed, il pakistano trentenne arrestato lo scorso febbraio dalla Squadra Mobile con l’accusa di essere un trafficante internazionale di migranti, dovrà restare in Italia e non potrà essere consegnato alle autorità ungheresi.
La decisione della Corte d’Appello
Così ha deciso la Corte d’Appello di Torino respingendo l’esecuzione del mandato di arresto internazionale europeo, accogliendo le istanze del suo legale, Jacopo Evangelista. Resterà comunque in carcere perché è accusato del tentato omicidio di un connazionale, un migrante in cerca di un passaggio per raggiungere la Spagna, gettato la notte del 24 novembre scorso dal balcone di un palazzo di via Guttuari 18, nel corso di un sequestro di persona a scopo estorsivo.
Il precedente di Ilaria Salis
Sbarre disumane. Come hanno insegnato il caso di Ilaria Salis e altre vicende processuali, le carceri ungheresi non rispetterebbero le condizioni di umanità. Questo il tasto su cui ha fatto leva il suo legale. Aspetti accolti dai giudici che, nel loro provvedimento, hanno fatto riferimento alle osservazioni sollevate dal Consiglio d’Europa, su «criticità attinenti al trattamento dei detenuti», «maltrattamenti fisici, in particolare di stranieri immigrati», «abuso fisico e verbale da parte del personale con manifestazioni di violenza fisica verso le persone ristrette e atteggiamenti razzisti nei confronti di soggetti stranieri». Non solo: le autorità ungheresi, nonostante le richieste dei giudici italiani, non sono state in grado di comunicare il penitenziario di destinazione, impedendo «qualsiasi valutazione delle modalità di trattamento». Elementi essenziali, secondo la corte, per garantire il rispetto dei diritti fondamentali dei detenuti. In ogni caso le accuse mosse dalle autorità italiane sono molto più gravi di quelle contestate in Ungheria”.