
Sempre più spesso vengono riproposte valutazioni e pensieri dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, estrapolati e adattati a sostegno della volontà di chi ne scrive o ne parla.
Un argomento di ampio dibattito è l’esistenza o meno del cosiddetto “terzo livello”, smentito da Falcone e utilizzato da chi vorrebbe addebitare solo a “Cosa nostra” tutte le nefandezze commesse in Italia in un arco temporale di quasi un secolo.
Era il 31 maggio 1992 quando su L’Unità veniva pubblicato un articolo a firma di Giovanni Falcone, che ricostruiva le origini di “Cosa nostra” a partire dalle realtà agricole siciliane dell’800, quando nella relazione finale della Commissione d’inchiesta Franchetti-Sonnino del 1875/76 si leggeva che «la mafia non è un’associazione che abbia forme stabili e organismi speciali… Non ha statuti, non ha compartecipazioni di lucro, non tiene riunioni, non ha capi riconosciuti, se non i più forti ed i più abili; ma è piuttosto lo sviluppo ed il perfezionamento della prepotenza diretta ad ogni scopo di male».
Questa era la conoscenza che si aveva all’epoca del fenomeno mafioso – e che forse non era così distante da quella realtà – che vedeva i grandi feudatari affidare i propri terreni ai “gabellotti”, che gestivano i fondi agricoli facendo ricorso anche alla violenza come forza di intimidazione nei confronti dei contadini.
Dovremo aspettare il febbraio del 1900, quando il questore di Palermo Ermanno Sangiorgi compila il cosiddetto Rapporto Sangiorgi, per renderci conto di come la mafia fosse mutata e si fosse strutturata in un’organizzazione composta da “famiglie” che intrattenevano rapporti e instauravano alleanze con altre della stessa natura criminosa, nonché con alcune appartenenti alla nobiltà dell’isola.
Se anche all’epoca, come oggi si vuole, la politica non dava ordini alla mafia, non v’è dubbio che la convergenza di interessi tra mafia e politica fece sì che l’esito del rapporto di Sangiorgi venisse in larga parte vanificato in sede processuale, quando l’allora questore di Palermo perse l’appoggio politico a Roma e i testimoni disposti a collaborare (in particolare Francesco Siino, il quale aveva rivelato che le cosche che si spartivano la Conca d’Oro erano otto), intuito che era cambiato il clima politico ritrattarono le loro dichiarazioni.
Dell’infiltrazione mafiosa nelle istituzioni ne abbiamo conoscenza già da quando il prefetto Cesare Mori venne incaricato dal governo fascista di debellare definitivamente “Cosa nostra”, fin quando lo stesso regime non venne infiltrato da soggetti affiliati al sistema mafioso o comunque contigui, fin quando dopo lo sbarco delle truppe angloamericane in Sicilia “ Cosa nostra” riuscì a far nominare molti “uomini d’onore” nelle amministrazioni comunali.
La mafia, dunque, non è immutata nè immutabile, prova ne sia l’evoluzione da mafia rurale a mafia urbana, la diversificazione dei traffici, gli interessi per gli appalti pubblici, il passaggio dal “pizzo” alla gestione diretta degli affari, la nascita di imprese mafiose e il rapporto tra mafia e politica, che ha visto “istituzionalizzare” il fenomeno mafioso con l’ingresso diretto dei suoi uomini all’interno del potere politico-amministrativo, all’epoca di carattere locale.
«La criminalità organizzata – e quella mafiosa in particolare – è, come si sostiene in quell’intervento (del capo della Polizia dell’epoca – ndr), “la più significativa sintesi delinquenziale fra elementi atavici… e acquisizioni culturali moderne ed interagisce sempre più frequentemente con la criminalità economica, allo scopo di individuare nuove soluzioni per la ripulitura ed il reimpiego del denaro sporco”» – scriveva in quel maggio del ’92 Giovanni Falcone, individuando ulteriori campi d’interesse della mafia.
Pur confutando l’esistenza di “terzi livelli” di alcun genere che influenzassero o determinassero gli indirizzi di “Cosa Nostra”, il giudice non escludeva che «a determinate condizioni, l’organizzazione mafiosa abbia stretto alleanze con organizzazioni similari ed abbia prestato ausilio ad altri per fini svariati e di certo non disinteressatamente; gli omicidi commessi in Sicilia, specie negli ultimi anni, sono la dimostrazione più evidente di specifiche convergenze di interessi fra la mafia ed altri centri di potere…»
I fautori di “mafia e solo mafia”, per ovvie ragioni, sembrano voler ignorare questo riferimento a convergenze con altri centri di potere; quali centri di potere e quali convergenze di interessi?
Falcone veramente addebitava soltanto a “Cosa nostra” ogni responsabilità di fatti criminosi e gravissimi fatti di sangue?
Assolutamente no, tant’è che di “connubi tra criminalità mafiosa e occulti centri di potere” torna a parlarne in un successivo passaggio a proposito di omicidi eccellenti, moventi e mandanti:
«La tregua iniziata è purtroppo frequentemente interrotta da assassinii di mafiosi di rango, segno che la resa dei conti non è finita e soprattutto da omicidi dimostrativi che hanno creato notevole allarme sociale; si pensi agli omicidi dell’ex sindaco di Palermo, Giuseppe Insalaco e dell’agente della PS Natale Mondo, consumati appena qualche mese addietro. Si ha l’eloquente conferma che gli antichi, ibridi connubi tra criminalità mafiosa e occulti centri di potere costituiscono tuttora nodi irrisolti con la conseguenza che, fino a quando non sarà fatta luce su moventi e su mandanti dei nuovi come dei vecchi “omicidi eccellenti”, non si potranno fare molti passi avanti.»
Se la mafia cambia e si evolve, non possiamo non considerare che anche le parole di Falcone – così come quelle di Borsellino – vanno contestualizzate rispetto quello che era la realtà dell’epoca e delle conoscenze che ne aveva il giudice, che a differenza dei moderni “mafiologi” non diede valore di Bibbia alla relazione finale della Commissione d’inchiesta Franchetti-Sonnino del 1875/76.
Se anche si volesse fare oggi del pensiero di Falcone e Borsellino un Vangelo destinato a trovare applicazione in ambito investigativo/giudiziario per i prossimi cento anni, si dovrebbe avere quantomeno la decenza di valutarlo e riproporlo in ogni sua parte, senza omissione alcuna, ripartendo dagli “occulti centri di potere” di cui diceva Falcone accostandoli anche ai “delitti eccellenti”…
Gian J. Morici