Continua, incessante e incisiva l’azione sinergica fra il Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Bari e la locale Procura della Repubblica volta al contrasto delle frodi e dei fenomeni più gravi di evasione fiscale valorizzando le analisi di rischio e le collaborazioni con i diversi attori istituzionali (Agenzia dell’Entrate e Ispettorato del Lavoro).
In particolare, l’attenzione investigativa è stata focalizzata sulla individuazione di strutturati meccanismi di frode fiscale, che vedono il coinvolgimento di soggetti economici, operanti nei più vari settori commerciali, costituiti nella forma di cooperative, di consorzi o di società di capitali, che presentano una ingente forza lavoro e che fungono da meri “serbatoi” di manodopera.
Tale operatività è riconducibile alla ricorrente fenomenologia evasiva incentrata sull’utilizzo distorto e strumentale di entità giuridiche a vita breve, legalmente rappresentate da prestanome, che dissimulano, attraverso fittizi contratti d’appalto per prestazioni di servizi, somministrazioni irregolari di manodopera a favore di committenti più o meno conniventi, massimizzando i guadagni attraverso il mancato pagamento delle imposte (dirette ed indirette), delle ritenute da lavoro dipendente e dei contributi previdenziali ed assicurativi.
In sintesi, le indagini svolte negli ultimi anni, (risultati investigativi relativi della fase dell’indagine preliminare che devono essere confermati con il contributo della difesa nella fase processuale successiva) non solo nella provincia barese, hanno consentito di rilevare la presenza di:
- società “serbatoio”, costituite nella maggior parte di casi sotto forma di cooperativa o di società di capitali, che si avvicendano nel tempo trasferendo la manodopera dall’una all’altra, omettendo sistematicamente il versamento dell’Iva e, verosimilmente, erodendo la base imponibile contributiva mediante manipolazione delle buste paga. Le evasioni fiscali e contributive di tali imprese sono preordinate a consentire la pattuizione di prezzi particolarmente vantaggiosi a beneficio di altre società definite “filtro”, come rilevabile dalle fatture emesse nei confronti di quest’ultime;
- società “filtro”, nella maggior parte dei casi consorzi, privi di maestranze o con un numero esiguo di dipendenti, che rifatturano le prestazioni ai committenti finali, ovvero ad ulteriori “filtri”, presenti all’unico scopo di allungare la catena commerciale ed ostacolare le attività di controllo.
Il meccanismo in esame consentirebbe alle predette società di fruire dei vantaggi derivanti dalla disponibilità “di fatto” di lavoratori dipendenti senza l’assunzione dei relativi oneri con la possibilità di praticare tariffe più convenienti nei confronti della clientela finale, giovandosi di tale effetto distorsivo in sede di aggiudicazione di nuove commesse a dispetto delle aziende concorrenti;
- società committenti, spesso rappresentate da importanti realtà aziendali che operano nei più svariati settori commerciali.
Il modello fraudolento sopra descritto, oltre che realizzare gravi condotte che possono agevolare lo sfruttamento dei lavoratori determinando pratiche di concorrenza sleale, integra – sul versante penal-tributario – la configurabilità dei reati di cui agli artt. 2 (Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) e 8 (Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) del D.Lgs. n. 74/2000.
Il rischio di un utilizzo distorto del contratto di appalto nei rapporti commerciali oggetto di investigazioni non è certo nuovo, in quanto già la Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni dei lavoratori (1955) ebbe a rilevare che “attraverso gli appalti di manodopera , spesso mascherati con fittizie cooperative, si esplica un sistema di abusiva mediazione di manodopera che si traduce in un vero e proprio mercato di uomini assunti senza alcuna continuità di lavoro ed a condizioni di fame profittando sia delle condizioni di disoccupazione in cui essi versano sia di condizioni particolari come nel caso dell’immigrazione di manodopera meridionale verso il nord”.
La situazione non è purtroppo mutata negli anni ove si consideri che la Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, sullo sfruttamento e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, nella relazione in data 20 aprile 2022 evidenzia ancora oggi che:
– “attraverso questo meccanismo di esternalizzazione delle operazioni logistiche, di fatto le aziende committenti possono trarre benefici in termini di costo da un grado significativo di sfruttamento dei lavoratori”;
– “nel corso degli ultimi anni quindi, si è sempre più consolidato il fenomeno delle cooperative spurie, che per essere precisi non caratterizza esclusivamente il settore della logistica, ma assume tratti specifici in base al comparto (qualsiasi esso sia) in cui si siano insediate forme di cooperazione. Con «cooperativa spuria» si fa riferimento all’azione di cooperative che portano avanti comportamenti illegali nell’ambito del diritto societario e del diritto del lavoro violando quelli che sono gli elementi costitutivi la cooperazione”,
– “ciò che costituisce l’elemento più pericoloso oggi non è l’uso, ma l’abuso delle nuove forme contrattuali. Prima avevamo tre forme contrattuali e ora ne abbiamo più di quaranta. L’abuso della somministrazione, dell’appalto, del contratto di distacco, del lavoro interinale, dei contratti parziali, delle finte cooperative, cioè l’uso di contratti leciti per perseguire un fine illecito, è ciò che scherma il reato, dando a questo un’apparenza pulita e difendibile di fronte a un accertamento”.
In tale quadro, si inserisce l’operazione odierna che vede i finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Bari dare esecuzione a un decreto di sequestro preventivo – emesso dal competente G.I.P. del Tribunale barese su richiesta della locale Procura della Repubblica (accertamento compiuto nella fase delle indagini preliminari che necessita della successiva verifica processuale nel contraddittorio con la difesa) – avente per oggetto beni del valore di circa 60 milioni di euro, nei confronti di un consorzio, esercente l’attività di “servizi logistici relativi alla distribuzione delle merci”, e di 3 società cooperative operanti nel medesimo settore, quale presunto profitto dei reati di dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, per gli anni d’imposta dal 2016 al 2021, nonché di omesso versamento dell’IVA risultante dalle dichiarazioni annuali, con riferimento a taluni periodi d’imposta.
Gli esiti dell’attività d’indagine costituiscono un’ulteriore testimonianza del costante presidio economico-finanziario esercitato dalla Procura della Repubblica – in stretta sinergia con il Nucleo PEF della Guardia di Finanza di Bari – per la repressione del grave fenomeno dell’evasione fiscale, a tutela dei cittadini e dei contribuenti rispettosi delle regole, che vengono così tutelati dall’illecito vantaggio competitivo ottenuto da aziende concorrenti che frodano il fisco.