C’è un verso di una canzone di Pino Daniele che recita: “Un posto ci sarà… per questa solitudine… perché mi sento così inutile davanti alla realtà… un posto ci sarà… fatto di lava e sale, dove la gente sa che è ora di cambiare…” Non è un caso che questa canzone abbia per titolo “Sicily”.
A questo delicato “incipit” in musica ho pensato, questa mattina, traguardando – appena sveglio – un cielo orizzontale che annunciava nuove fredde perturbazioni, mentre la radio faceva resoconto di un bollettino di guerra sanitaria con altri contaminati e morti.
Di fronte a quello scenario meteorologico ed epidemico così cupo mi sono chiesto cosa avrebbe potuto aiutare la mia anima.
Così, d’un tratto, ho pensato alla Sicilia del mio passato. Anzi, ho pensato ad una sensazione precisa di quel tempo trascorso: il gusto del primo cucchiaio di “bianco mangiare” al gelsomino e scorza di limone che, da bambino, mia nonna mi preparava per colazione. Ho chiuso gli occhi per un momento ed ero lì, in un mattino radioso di sole, con i sensi tutti coinvolti da quella prelibatezza.
La forza evocativa del ricordo ha la velocità della luce e la potenza della poesia.
La Sicilia della mia infanzia era quella dei profumi e del mare, delle fioriture e delle vendemmie, degli affetti familiari e delle prime ebbrezze. Un delicato volo tra terra e mare. Piccolo ed eterno infinito. Luce nell’intelletto, luce di intuizione, luce di colore, luce di nostalgia, luce di felicità.
Immagine, incanto, ammaliamento, abbraccio e consolazione.
Gustave Flaubert assumeva che l’avvenire ci tormenta, il passato ci trattiene ed il presente ci sfugge.
Perché, se è vero che ciò che rimane è solo Poesia e, allora, cosa mai sarà il resto?
D’un tratto non ho più visto quel cielo nero denso di pioggia e la voce della radio era diventata un’eco davvero lontana…
Lorenzo Matassa