“Un giorno la paura bussò alla porta. Il coraggio andò ad aprire e non trovò nessuno.” Una frase di Martin Luther King che ben si adatta alla nostra classe politica e alla codardia con la quale evita di affrontare gli scandali che stanno travolgendo (solo sulla stampa, e neppure su tutta quella nazionale) la magistratura italiana.
Il Palamaragate sembra riguardi soltanto pochi protagonisti di una delle pagine più buie della storia della giustizia del nostro Paese.
Nonostante ormai anche le pietre abbiano capito che le nomine che riguardano i magistrati passavano soltanto attraverso giochi di potere che non tenevano conto dei titoli posseduti dai candidati; nonostante sia ormai chiaro a tutti che le fughe di notizie sul caso Palamara, prontamente pubblicate dalla stampa, furono prodromiche a bloccare la nomina dell’attuale procuratore generale di Firenze, Marcello Viola, al vertice della procura di Roma, favorendo di fatto quella dell’attuale procuratore Michele Prestipino Giarritta, ben poco sembra sia cambiato rispetto ciò che Luca Palamara ha descritto nel suo libro-intervista “Il Sistema”.
A seguito della nomina di Prestipino, i magistrati Marcello Viola, Francesco Lo Voi e Giuseppe Creazzo – candidati a quella nomina – avevano impugnato davanti al Tar Lazio il provvedimento del Csm, ottenendone l’annullamento.
Il Tar, nel caso di Viola, aveva rilevato come la seconda proposta di conferimento dell’incarico – dopo che a seguito della vicenda Palamara quella di Viola era stata bloccata– fosse immotivata “in assenza di elementi oggettivamente riscontrabili a suo carico”, anche in virtù del fatto che dalle indagini, condotte dalla procura di Perugia, emergeva come Viola fosse parte offesa rispetto alle “macchinazioni o aspirazioni di altri”.
Dopo il pronunciamento del Tar, il Csm, a maggioranza, ha invitato l’Avvocatura Generale della Stato a proporre appello avverso la sentenza del Tar, così come successivamente avvenuto con la richiesta al Consiglio di Stato dell`annullamento, previa sospensione, della sentenza del Tar Lazio.
A proporre appello anche lo stesso Prestipino, il quale ha chiesto la sospensione della sentenza la cui esecuzione causerebbe un grave vulnus all`amministrazione della giustizia.
Una vicenda che ricorda la nomina dell’attuale procuratore di Palermo, quando perse al Tar e poi vinse al Consiglio di Stato, nonostante non possedesse i titoli degli altri candidati.
E la politica cosa fa? Guarda! Inutile aspettarsi il coraggio da chi non ce l’ha. Del resto, perché pensare a una commissione d’inchiesta se poi mancherebbe il coraggio di smantellare un sistema che per decenni, e forse anche più, ha governato questo Paese trasformando in un tutt’uno indistinto giustizia, politica, e solo Dio sa cos’altro?
La prova che nulla cambia – o si vuol cambiare – oltre che nella vicenda che riguarda la nomina alla procura di Roma, ce la dà la lettera inviata a Mattarella da alcuni magistrati, forse stanchi di dover arrossire per un ruolo che fino a poco tempo fa era motivo di orgoglio.
Però, e qui il però ci sta, qualcosa in realtà accade.
Qualcosa, come nel caso della pm di Palermo, Alessia Sinatra, che incappa in un giudizio disciplinare a seguito di una chat con Palamara nella quale aveva usato parole non proprio cortesi nei riguardi del procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo, per presunte molestie sessuali subite.
L’accusa, nei riguardi della Sinatra, quella di un uso improprio dei fatti, per ricercare una “privata giustizia”.
L’errore della Sinatra, oltre ad aver usato le gentilezze di cui nella chat (eh sì, perché di norma si esaltano le virtù di un presunto molestatore) l’aver cercato “privata giustizia”.
Certo, non ha agito come il suo collega Giulio Cesare Cipolletta, del Tribunale di Pisa, che ha tagliato le gomme dell’auto a una collega, e che dopo aver avuto una controversia stradale con una signora, le ha sbattuto lo sportello dell’auto colpendola al ginocchio e mandandola all’ospedale.
Il suo collega, infatti, ha persino ottenuto l’agognata promozione da parte del Csm.
Motivo?
“Il giudizio negativo –era stato espresso sulla base di fatti avvenuti tra il dicembre 2007 e il febbraio 2008, per i quali il dottor Cipolletta è stato condannato sia in sede penale che disciplinare, per il danneggiamento, in quattro diverse occasioni, dell’autovettura di una collega, parcheggiata all’interno del Tribunale, nonché per il porto, senza giustificato motivo, di un’arma da taglio”.
In questo caso, forse non c’era una “privata giustizia” – sempre che tale fosse. Tant’è Il magistrato viene valutato “equilibrato” nonostante questi precedenti.
Ovviamente quello nostro non vuol essere un invito ai magistrati a recarsi in tribunale armati di coltello (ci mancherebbe altro), a tagliare le gomme delle auto o mandare le persone in ospedale, ma soltanto una rappresentazione di fatti oggettivi che dovrebbero far riflettere.
A quando una commissione d’inchiesta?
Gian J. Morici
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