Dopo un’odissea durata oltre un anno, finalmente un primo punto per mettere fine al linciaggio mediatico al quale è stato sottoposto l’appuntato scelto Giuseppe Barcellona in servizio a Castelvetrano, arrestato il 16 aprile 2019 nell’ambito di un’inchiesta su presunte fughe di notizie in merito a indagini relative al boss latitante Matteo Messina Denaro, che portò anche all’arresto dell’ex sindaco di Castelvetrano Antonio Vaccarino e del tenente colonnello Marco Alfio Zappalà, allora in servizio alla Dia di Caltanissetta.
Secondo l’accusa, Barcellona, che a Castelvetrano si occupava della trascrizione di intercettazioni effettuate nell’ambito delle ricerche condotte per arrivare alla cattura del superlatitante, avrebbe trasmesso al colonnello Zappalà lo stralcio di una intercettazione che poi l’ufficiale avrebbe a sua volta girato all’ex sindaco di Castelvetrano. Una vicenda tutta da chiarire e per la quale sono in corso ancora i processi, che stando alle più recenti testimonianze offrono un quadro ben diverso da quanto pubblicato dalla stampa.
Per quella vicenda, la stampa li aveva ignominiosamente definiti “Le Talpe di Matteo Messina Denaro”.
Ricostruzioni fantasiose in danno dell’appuntato Barcellona, conosciuto e stimato tanto dai cittadini di Castelvetrano quanto da colleghi e superiori che non gli hanno fatto mancare la loro vicinanza in questa triste circostanza, consapevoli del fatto che in nessun caso l’appuntato si sarebbe macchiato del crimine del quale lo accusava qualche giornale e non certo la procura che pure aveva condotto le indagini contestando la rivelazione di segreto d’ufficio e quella di accesso abusivo al sistema informatico (rimase poi solo quella di accesso abusivo al sistema informatico) e giammai di essere un informatore del superlatitante.
La notizia, come è facile immaginare, aveva destato non poco sconcerto a Castelvetrano (e non solo a Castelvetrano) grazie al modo con il quale alcune testate giornalistiche avevano affrontato l’argomento, non limitandosi a dare notizia dei fatti reali, garantendo ai lettori la corretta informazione che meritano.
I titoli si sono ben presto trasformati in un’operazione di sciacallaggio utile alla vendita di qualche copia in più del giornale o di qualche click sui siti online. Barcellona non è e non è mai stato una talpa del boss latitante, nonostante qualche giornalista senza neppure pensare all’importanza delle parole, aveva trasformato la realtà mediatica in realtà.
Giornalisti che godono a rimestare nel sordido, che si lasciano tentare dall’espansione illimitata delle parole alimentando le teorie dei sospetti e affermando di farlo per fornire la completezza dell’informazione, come sosteneva Indro Montanelli, utilizzano formule che possono fare effetto solo sugl’imbecilli, incuranti delle sofferenze che arrecano a chi sfortunatamente incappa in questi arrotini delle parole.
La corretta risposta alle operazioni di sciacallaggio è il segnale dato dai vertici dell’Arma – che hanno dato il giusto peso ai fatti, che sono ben diversi da quelli dati dalla stampa all’opinione pubblica – reintegrando in servizio Giuseppe Barcellona, nonostante sia ancora in corso il processo a suo carico.
Una determinazione che non sarebbe mai stata assunta se solo ci fosse stato anche il minimo sospetto di qualsivoglia connivenza o favoreggiamento da parte di un appuntato scelto conosciuto e stimato proprio per le sue attività di contrasto al fenomeno mafioso.
Gian J. Morici
L’appuntato scelto Barcellona, siamo sicuri, è innocente delle cose di cui lo si accusa. Ma l’articolo di Gian J. Morici è penoso in quanto si rivela per quello che è. Il rovescio della stessa medaglia di disinformazione di quelli che lo avevano già condannato. Lui, Gian J. Morici, invece, lo ha già assolto. Tutti condannano o assolvono a proprio piacere. Aspettare che si concludano le indagini e i processi no? Deprecabili sia quelli che condannano che quelli che assolvono. Un articolo di cui, se fossi l’autore, mi vergognerei. Non è molto professionale né intelligente per un giornalista scambiare la decisione dei “vertici dell’Arma” di reintegrare in servizio l’appuntato Barcellona, con una sentenza. Quelli che l’hanno arrestato sono dei carabinieri. Ma non sono questi ultimi né “i vertici dell’arma” che giudicano e condannano o assolvono. È quanto meno ridicolo che si dia la colpa di tutto ai giornali, che non hanno fatto nient’altro che dare una notizia, piuttosto che ai carabinieri che l’hanno arrestato. D’altronde chi ha il coraggio di parlar male dei carabinieri? Più facile dare la colpa ai giornali come se l’avessero arrestato loro. Dare la colpa dell’arresto da parte dei carabinieri ai giornali, dare il merito ai vertici dell’Arma per la reintegrazione di Barcellona e assimilarla a una assoluzione. Intellettualmente vergognoso.
Gent.mo Sig. Franco La Rocca,
devo purtroppo darle ragione sul fatto di dovermi vergognare ma non per quello che ho scritto bensì per dovermi confrontare con lei che evidentemente poco comprende quel che legge.
Non ho scritto da nessuna parte che Barcellona sia stato assolto e ho anche precisato che è in attesa di giudizio. Mi sono limitato a evidenziare come l’appuntato sia stato reintegrato in servizio, nonostante sia ancora in attesa di giudizio.
Un altro aspetto riguarda la mia mancanza di coraggio nell’attribuire la responsabilità ai carabinieri che l’hanno arrestato, dimostrando così la sua ignoranza in materia, poiché i carabinieri eseguono un’ordinanza di custodia cautelare emessa da altra autorità. La colpa data ai giornalisti, sta nell’aver definito i tre arrestati “talpe di Matteo Messina Denaro”. Sarei curioso di sapere in quali atti d’indagine o emessi dall’autorità giudiziaria ha letto che gli imputati sono talpe, fiancheggiatori o collusi del boss. Se vuole, posso dirglielo io che ho letto i documenti: Da nessuna parte, infuori che nei titoli dei giornali!
Veda Caro Sig. La Rocca, se lei avesse avuto il coraggio di cui mi accusa di mancare, anziché scaricare la responsabilità dell’esecuzione di un’ordinanza di misure cautelari in carcere sui carabinieri, si sarebbe chiesto chi quell’ordinanza aveva emesso. Del resto, non sarebbe difficile fare una breve ricerca per “scoprire” in quanti altri casi, per gli stessi presunti reati, nessuno aveva ritenuto fosse necessaria una misura cautelare in carcere.
Non conosco a sua professione, ma così come lei ha fatto riguardo la mia intelligenza, non posso non farle notare che non è molto intelligente scrivere un commento senza analizzare in maniera critica la determinazione a far rientrare Barcellona in servizio.
Evidentemente, secondo lei, che pur dichiara di esser certo dell’innocenza di Barcellona, il suo reintegro sarebbe avvenuto pur nel caso di dubbi sull’eventuale complicità con Matteo Messina Denaro. Qualsiasi persona intellettivamente normodotata, avrebbe escluso tale possibilità. Vorrei ricordarle che per molto, ma molto meno, altri appartenenti alle Forze dell’Ordine hanno avuto difficoltà al rientro in servizio nonostante fossero stati assolti dalle accuse mosse.
Vado adesso a un altro aspetto della vicenda, che riguarda l’eventuale condanna (non ho assolto Barcellona e ho anche precisato che il processo è ancora in corso).
Un pm, Gaetano De Bari, che avrebbe rivelato indagine a un docente dell’Università di Bari, ha riportato una condanna a 4 mesi di reclusione (pena sospesa e non menzione):
https://www.ansa.it/puglia/notizie/2019/12/09/rivelazione-segreto-condannato-pm-bari_92b6c2cc-e0c5-4c4d-bf4a-63f73c3166c8.html
Il sostituto procuratore di Catanzaro, Paolo Petrolo, riportò una condanna a a 4 mesi di reclusione (pena sospesa), per il reato di rivelazione di segreti d’ufficio:
https://www.corrieredellacalabria.it/cronaca/item/44549-rivelazione-di-segreti-d-ufficio-condannato-pm-di-catanzaro/
L’ex procuratore aggiunto della Dda di Palermo fu condannata a 40 giorni (pena sospesa) con l’accusa di “rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale” (se non ricordo male successivamente assolta):
https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/04/08/rivelazione-di-segreto-pm-principato-condannata-unico-errore-della-mia-lunga-carriera-ma-faro-appello/5095145/
Rivelazione di segreto d’ufficio e accesso abusivo a sistema informatico, condannato Deidda
L’ex procuratore generale di Firenze, Beniamino Deidda, riportò una condanna a 6 mesi (pena sospesa) per rivelazione di segreto d’ufficio e accesso abusivo a sistema informatico:
http://www.firenzetoday.it/cronaca/rivelazione-segreto-ufficio-accesso-abusivo-sistema-informatico-condannato-deidda.html
Adesso, lei che è coraggioso e intellettualmente onesto, si chieda e illustri a noi poveri ignoranti di scarsa intelligenza, le ragioni di un arresto, la detenzione in carcere dell’indagato, il perché della definizione di “talpe di M.M.D.” data dalla stampa. Nel caso le mancasse il coraggio, glielo spiego io in due parole: Palamara docet! Ovvero, una stampa troppo spesso prona, disposta a pubblicare veline e, fantasiosamente, ingigantendone i contenuti, pur di mantenere saldo il rapporto con le procure.
Io l’onestà intellettuale di scrivere ciò che penso, ce l’ho. Sulla sua stendiamo un velo, se aggettivato o meno lo decida lei stesso.
Cordialmente
Gian J. Morici
Ottimo articolo. Come spesso leggo su questo sito, dove si evince sempre assoluta imparzialità nell’analisi dei fatti senza ingerenze da parte di pubblici ministeri di carriera dediti a spartirsi poltrone e potere . Palamara e company, gli autisti di magistratopoli e giornalistopoli oramai sono stati scoperti e chi corre ancora in loro difesa o è colluso o coglione.
I collusi quantomeno ne traggono beneficio… purtroppo,per loro, i più non sono collusi e con i loro comportamenti continueranno sempre a essere servi senza alcun ritorno…
G.J.
Operazione Talpe? Una buffonata (…) è evidente. Non c’è bisogno di essere Sherlock Holmes per capirlo. E senza tanti giri di parole penso che questi Magistrati che hanno impiantato questo assurdo procedimento giudiziario (…) la latitanza del criminale, spietato e assassino Messina Denaro.
Il commento di Antonio è stato moderato