Della vicenda che ha visto coinvolti gli imprenditori Cavallotti di Belmonte Mezzagno (Pa) abbiamo scritto più volte (leggi l’intervista a Pietro Cavallotti) non potendo rimanere indifferenti dinanzi il paradosso che li ha visti assolti con formula piena dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, ma, inspiegabilmente secondo la logica, oggetto di misure di confisca dei loro beni.
Dulcis in fundo, seguendo la stessa logica delle assoluzioni dalle accuse ma con contemporanea confisca dei beni, che di logico per noi comuni mortali non ha nulla, la stessa sorte subiscono i figli e i nipoti degli imprenditori, che nel 2011 si vedono sequestrati i loro beni da parte della Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo. Otto anni dopo, con le loro imprese sotto amministrazione giudiziaria, con danni certificati per oltre undici milioni di euro, si vedono restituire quei beni ingiustamente sequestrati. Lo Stato, finalmente riconosce l’errore: la provenienza di quei beni era lecita!
Già, ma a prescindere dalle vite stravolte, dai danni morali subiti, chi ripaga quel danno quantificabile e quantificato dovuto a un “errore” dello Stato?
Se un medico commette un “errore”, è chiamato a risponderne in ogni sede e per ogni grado di giudizio. Se un ingegnere causa un disastro, l’aver commesso un “errore” non lo esime da pagarne le conseguenze. Se un qualsiasi professionista per incapacità causa dei danni, è chiamato a risponderne. La stessa logica non vale dunque per chi rappresenta le istituzioni; per chi amministra la giustizia; per quello Stato che gli ha consegnato il potere assoluto di gestire e distruggere le vite e i beni dei cittadini?
La questione dei sequestri e confische di beni da parte della Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo, è approdata nelle aule giudiziarie a seguito del cosiddetto “Sistema Saguto”, l’ex giudice Silvana Saguto, radiata definitivamente dalla magistratura a causa dell’inchiesta sui beni confiscati alla mafia, che ha visto anteporre agli interessi della giustizia quelli personali di un “cerchio magico” composto da professionisti e rappresentanti delle istituzioni che grazie ai sequestri hanno tratto enormi benefici, in danno anche di cittadini – come nel caso degli eredi dei Cavallotti – innocenti.
Un “cerchio magico” che non soltanto ha beneficiato dell’attività della Saguto, ma che nel momento in cui la stessa è finita nell’occhio del ciclone grazie all’attività giornalistica di Pino Maniaci, di Telejato, ha immediatamente fatto quadrato sulla giudice, a tal punto da garantire alla stessa che il giornalista aveva le ore contate e che ben presto sarebbe stato arrestato.
Non entriamo nel merito, e non vogliamo entrarci, sul fatto che l’ex presidente della Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo nonostante fosse indagata, abbia mantenuto il suo incarico per diverso tempo ancora. Non entriamo nemmeno nel merito dei suoi rapporti con altri magistrati, così come preferiamo sorvolare sul pericolo di inquinamento delle prove e della reiterazione del reato che spesso hanno ben altre conseguenze per gli indagati, limitandoci ai lunghi otto anni trascorsi dall’applicazione delle misure di prevenzione in danno degli eredi Cavallotti.
È proprio per l’irragionevole durata del sequestro, che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato ricevibile il ricorso presentato dai Cavallotti.
“Oggi – ha scritto il 12 febbraio Pietro Cavallotti – è un giorno da ricordare nella storia delle misure di prevenzione.
La Corte Europea ha dichiarato ricevibile il ricorso con cui noi figli ci siamo lamentati della irragionevole durata del sequestro della nostra azienda (appena 8 anni) e dei danni milionari che abbiamo subito durante l’amministrazione giudiziaria. Si aprono scenari inediti. Per la prima volta la Corte Europea si confronterà con temi cruciali e di grandissima attualità nel sistema della prevenzione antimafia.
Per me è una grande soddisfazione personale.
Io non ho studiato legge per avere un titolo da sbattere in faccia alla gente e neppure per interesse professionale. Anzi, ammetto che con il passare degli anni ho cominciato a sviluppare una forma di intolleranza rispetto a certi processi in cui non si segue il diritto ma si prende per il culo la gente, rispetto a certe sentenze che negano i principi basilari dello Stato di Diritto e rispetto anche a certi avvocati che pensano di sapere tutto, che si danno tante arie e che poi, in fin dei conti, non ne capiscono un cazzo di misure di prevenzione.
L’ho fatto solo per aiutare la mia famiglia ad uscire dall’inferno in cui altri l’hanno scaraventata.
Trovare strade che nessuno ha mai percorso prima, quando tutti ti dicono che è tempo perso, cogliere il frutto dello studio sofferto, dà grande soddisfazione.
Solo un’altra soddisfazione mi voglio togliere. E me la deve levare la Corte di Appello di Palermo il 4 Marzo revocando la confisca del patrimonio della mia famiglia.
Cosa deciderà la Corte Europea lo vedremo dopo. Intanto abbiamo superato la soglia della ricevibilità, cosa non da poco visto che circa il 90 per cento dei ricorsi viene dichiarato irricevibile. Indipendentemente da come andrà a finire, sarà una decisione che farà giurisprudenza.
Intanto, seguiamo la strada tracciata da Sergio D’Elia: la via del ricorso alle Alte Giurisdizioni, di fronte alla sordità della nostra politica che si rifiuta di mettere mano ad una legge che fa acqua da tutte le parti.
Ringrazio tre maestri.
L’avvocato Rocco Chinnici che, nel caso di specie, ha curato l’istanza e il ricorso davanti ai giudici italiani, indispensabili per adire la Corte Europea.
L’avvocato Stefano Giordano che ha redatto il ricorso alla Corte Europea.
Il dottore Giovanni Allotta che ha rappresentato numericamente l’entità del danno subito dalla nostra azienda.”
Un’odissea infinita, che mostra tutte le lacune di una normativa che – prescindendo dalla possibile malafede di chi la applica – andrebbe rivista affinchè colpisca veramente la mafia e non le persone oneste.
Gian J. Morici