LA SOLUZIONE POTREBBE ESSERE IL DIVIETO DI AUTO-INDAGINE
Nel caso Cucchi pare che l’interesse preminente non sia stato quello di portare alla luce la verità, quanto, piuttosto, di occultare i fatti che potevano danneggiare l’immagine dell’Arma.
Nei corpi di polizia esiste una cosa che si chiama “responsabilità riflessa”, cioè il superiore è in qualche modo responsabile di quello che fanno i suoi sottoposti. Perciò un danno all’immagine, cagionato da un carabiniere o da un finanziere, si riflette rovinosamente sulla carriera dei vari comandanti, fino a livello di comandante di Corpo. Questo il motivo per il quale i comandanti sono ossessionati dalla necessità di difendere -a qualsiasi costo- l’immagine del Corpo. Difendendo l’immagine, in realtà, stanno difendendo gli incrementi stipendiali connessi alla loro progressione di carriera.
La responsabilità riflessa, dunque, potrebbe indurre i più ambiziosi -ed è difficile trovare qualcuno che non lo sia- nella tentazione di sacrificare la verità sull’altare del “dio-carriera”.
Allo scopo di evitare indebite pressioni sui sottoposti -a cui l’ordinamento impone di dire sempre signorsì[1]-, andrebbe introdotto nel nostro ordinamento il divieto per i corpi di polizia di indagare su se stessi.
Si dovrebbe introdurre nel codice di procedura penale un divieto di auto-indagine, simile a quello già previsto dall’art. 11 per i procedimenti nei confronti dei magistrati.
La soluzione potrebbe essere la previsione dell’articolo 11-ter nel cpp.
Cleto Iafrate
Nota
[1] Per un approfondimento sul tema dell’obbedienza militare, leggi “Obbedienza, Ordine illegittimo e ordinamento militare”: http://www.dirittoequestionipubbliche.org/page/2016_n16-2/b-studi_03%20Iafrate.pdf