Lettera immaginaria di un Servitore dello Stato ai propri colleghi
“Carissimi, come state?
Fino a ieri anch’io ero uno dei vostri. Uscivo da casa, di giorno, di notte, a qualsiasi ora, secondo i turni o le emergenze che purtroppo nel nostro lavoro non mancano mai.
Quante festività, quanti pranzi, quante cene, di compleanni, di Natale, trascorse in servizio. Uscivo da casa, baciavo i miei cari, senza sapere come, se e quando sarei tornato.
Ieri è toccato a me. È stato il mio turno! Provo un dolore infinito ma non è quello delle ferite. È quello della tristezza di non rivedere più la mia famiglia, di sapere quanto dolore provoca in loro la mia partenza. Era una giornata come tante altre. La divisa, un saluto a chi rimane a casa ad aspettarti, la macchina, l’ufficio, due battute scambiate con i colleghi e poi nuovamente fuori.
Fuori, dove aiuti le persone che incontri, dove vedi sangue e violenza ma dove trovi il conforto nelle parole di una vecchina che ti ringrazia per quello che hai fatto. Quelle di un ragazzo che con le lacrime agli occhi ammette i propri errori mentre tu, facendo il tuo dovere, cerchi di fargli capire che la vita è qualcosa di diverso da quella guerra spietata che sgretola le coscienze.
Molti di noi si sono allontanati dal proprio paese. Abbiamo scelto di fare un lavoro che ci ha imposto non pochi sacrifici. Sacrifici che non possono essere ripagati da quel poco che troviamo in busta paga ogni fine del mese. Quei pochi soldi, non ripagano i rischi che corriamo, le ore di sonno perdute, le paure nel dovere affrontare quell’attimo di incognita che fa la differenza tra continuare a vivere o morire.
Quante volte abbiamo commemorato chi non è più tra noi? Quante volte abbiamo sofferto, urlato, pianto, per un collega scomparso prematuramente? Non importa che a ucciderlo sia stata un’arma o l’incidente durante un inseguimento. Sappiamo di avere fatto una scelta e abbiamo fatto di tutto per non tradirla. Per non tradire i nostri principi, il nostro senso di giustizia, le tante persone che vedono in noi l’unico baluardo che le protegge dai tanti mali che affliggono la nostra società. L’abbiamo fatto anche per loro, per quelli che ci vedono come nemici e che nel momento in cui hanno bisogno sono i primi a chiamarci per intervenire in loro difesa. E anche a loro, non abbiamo mai detto di no, non ci siamo girati dall’altra parte facendo finta di nulla.
Non mi sono arreso, ho sempre sperato di farcela, di tornare a casa dopo il mio piccolo inferno quotidiano. Questa volta non è andata così.
Voi non potete nemmeno immaginare quanto io oggi soffra per quello che vedo.
Me ne sono andato, in silenzio e facendo il mio dovere. Adesso sento le voci dei tanti che non sanno cosa si prova a vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo.
Tutta gente che non sa che cosa ognuno di noi ha visto e provato, e che oggi pontifica sul dolore (non il mio che fisicamente non provo più) che abbiamo consegnato a chi è rimasto.
Come dimenticare quando, a tutti i governi, abbiamo umilmente chiesto maggiori garanzie per il nostro lavoro, quel minimo di dotazioni che ci permettessero di affrontare un po’ più serenamente i rischi a cui siamo esposti quotidianamente? Venivamo lasciati con il carburante con il contagocce, con le leggi che non ci offrivano alcuna tutela.
Solo ordini: Vai avanti! Gli ordini di chi non potrà mai, dico mai, rendersi conto che gli ordini, le belle parole, la propaganda politica, non ci mettono al riparo da uno sparo, da un incidente, da una coltellata.
So che non c’è alcun modo tornare indietro e recuperare ciò che è ormai perduto per sempre: la vita, un abbraccio, un bacio, un sorriso.
So anche quanta rabbia provate voi in questo momento, ma solamente ora, ahimè, capisco che se vi lasciate andare a tutto questo, veramente non mi rimane più niente. Solo il freddo di quel momento, la sensazione di un’ingiustizia subita, il rammarico per il dolore che lascio a chi mi vuol bene, alle sue calde lacrime sul mio cuore freddo.
È per questo, affinché io possa riposare in pace, che vi esorto ad andare avanti come abbiamo sempre fatto, senza lasciarvi trascinare nel vortice delle sterili polemiche di quanti – seduti su una poltrona dietro una scrivania – usano la mia storia per accusare non so chi o santificare non so chi altri, facendomi sentire come un fax-simile da utilizzare per le prossime elezioni.
A voi, Fratelli, un saluto e un abbraccio
Un Servitore dello Stato
P.S. Ai miei Cari, non è necessario che io scriva, a loro lascio questo profondo dolore, unito alla consapevolezza che mai avrei voluto fosse rinnovato da inutili polemiche da parte di quanti, ieri come oggi, avrebbero potuto risparmiarglielo ed evitarlo a tante altre famiglie prima della mia.