Belve, macellai, criminali, ma mai nessuno aveva dato degli imbecilli ai capi di “Cosa Nostra”. Nessuno prima che lo facesse, implicitamente, l’ex pentito Vincenzo Calcara.
Fu infatti Calcara a raccontare di aver portato, per conto di “Cosa Nostra”, 160 chili di eroina ai fratelli Nirta (boss della ‘ndrangheta calabrese) ricevendo in cambio 50 kalashnikov. Un vero affare per i Nirta, che avrebbero pagato pochi milioni di vecchie lire (tale era il valore dei 50 kalashnikov durante quel periodo) una partita di eroina il cui valore di mercato superava i quattro miliardi di lire.
Dunque, non v’è dubbio che i vertici di “Cosa Nostra” di Palermo e di Trapani, per conto dei quali Calcara portò a termine l’affare (tale solo per i Nirta) dovevano essere degli autentici imbecilli.
A ipotizzare che tali non fossero, era stato il pubblico ministero Roberto Pennisi, all’epoca magistrato della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, il quale, dopo aver ripreso un’indagine sui collegamenti delle cosche di San Luca con i clan siciliani, alla quale lavorava Paolo Borsellino prima d’essere ucciso, emise gli ordini di cattura contro i fratelli Nirta, contestando loro il reato di associazione mafiosa finalizzata al traffico di droga, di armi da guerra ed esplosivi.
Secondo Pennisi, l’esplosivo per l’attentato al giudice Borsellino poteva essere stato fornito dalla ’ndrangheta. Un’ipotesi suffragata da un rapporto del servizio anticrimine della Germania.
Che i Nirta avessero rapporti con la mafia siciliana, alla quale fornivano armi, lo confermerà anche il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, il quale sostenne che tramite i Nirta, “Cosa Nostra” ‘aveva acquistato due mitra, due machine-pistole ed un lanciamissili da utilizzare per un attentato in danno dell’ex Procuratore della Repubblica di Palermo Giancarlo Caselli.
I mafiosi siciliani, dunque, non erano così imbecilli da scambiare oltre un quintale e mezzo di eroina con 50 kalashnikov, come aveva dichiarato Calcara, il quale soltanto successivamente – nella stesura dei suoi memoriali pubblicati nel libro della scrittrice Simona Mazza, e nel corso di una nostra conversazione telefonica – farà cenno al trasporto di esplosivo, a suo dire destinato per portare a termine un attentato contro il Giudice Borsellino.
Dell’esplosivo utilizzato per l’attentato di via D’Amelio, Gioacchino Schembri, originario di Palma di Montechiaro, arrestato dalla polizia tedesca nell’aprile 1992, parlò di un accordo raggiunto con i calabresi nel giugno del ‘92. Schembri ne riferì anche a Borsellino, pochi giorni prima che lo stesso venisse ucciso.
Calcara, che iniziò a collaborare con la giustizia nel novembre del ’91, a quale esplosivo faceva riferimento nei suoi memoriali, visto che per l’attentato in danno di Borsellino l’esplosivo arrivò soltanto dopo l’accordo del giugno ’92?
Secondo Calcara, inoltre, l’esplosivo per la strage di via D’ Amelio sarebbe partito dalla Calcestruzzi Jonica srl, un’azienda riconducibile ai Nirta. Come poteva sapere Calcara – che era stato arrestato l’anno precedente – da dove era partito l’esplosivo?
Escludendo che ai vertici di “Cosa Nostra” ci fossero degli imbecilli pronti a scambiare 160 chili di eroina con 50 kalashnikov, e prendendo per buono quanto affermato da Calcara nei suoi memoriali e nel corso della nostra conversazione telefonica in merito a un trasporto di esplosivo dallo stesso effettuato prima del ’91, dovremmo ipotizzare che lo stesso sia stato utilizzato per un’altra strage. La strage di Capaci?
Perché Calcara all’inizio della sua collaborazione non parlò del trasporto dell’esplosivo che a suo avviso doveva essere usato per compiere un attentato in danno di Borsellino? E inoltre, Calcara, è mai stato indagato per concorso in strage, avendo lui stesso partecipato al trasporto dell’esplosivo?
Un’altra possibilità, sarebbe quella che Calcara si sia inventato tutto. Ma anche in questo caso, rimarrebbero molti dubbi. Come faceva Calcara a sapere dei Nirta? Come ha fatto il loro nome, indicando da dove sarebbe partito l’esplosivo usato per l’attentato di via D’Amelio in un periodo in cui lui era detenuto in carcere e collaborava con la giustizia? Chi lo ha informato?
Che dietro le stragi ci sia anche qualcosa di diverso da “Cosa Nostra”, lo dimostrano i depistaggi per i quali è processo, ma cosa c’è dietro questo ex pentito che non fece mai il nome di Matteo Messina Denaro, non disse subito dell’esplosivo trasportato per un attentato a Borsellino, omise di dire di un omicidio commesso per il quale è rimasto impunito, e che nonostante tutto ha goduto per anni di tanta credibilità?
Troppe domande senza risposta. Tante domande alle quali lui, se fosse chiamato a rispondere dei crimini confessati e rimasti impuniti (l’omicidio lo ha ammesso anche nel corso del processo per il delitto Rostagno) potrebbe dare una risposta.
Gian J. Morici