Doveva sentirsi un po’ trascurato dai media Matteo Salvini, quando ha tirato fuori, come un coniglio dal cappello, la questione delle sopravvivenze, anzichè della soppressione delle Provincie.
Strana, quella delle Provincie, la storia delle Provincie nella storia della Repubblica.
La Costituzione, ben lontana dal proposito di sopprimerle, aveva previsto che le funzioni amministrative delle Regioni fossero di regola delegate alle Provincie.
Era questo un tentativo di evitare che, allora col nuovo istituto regionale si sviluppasse il groviglio di una dilagante, costosa burocrazia. Preoccupazione saggia e non troppo pessimista.
Ma la Costituzione della Repubblica era stata preceduta dallo Statuto di Autonomia della Regione Siciliana, in cui subito ogni forma alla nuova elefantiasi burocratica era stata vista con diffidenza ma superata con disinvoltura. Lo Statuto Siciliano prevedeva la soppressione delle Provincie.
Sopprimere le Provincie? Sopprimere tanti begli uffici? E che la Regione lo facesse per togliere lavoro a tanti aspiranti funzionari, impiegati, uscieri?
La soluzione è stata pirandelliana. Le Provincie in Sicilia sono state soppresse, con la loro automatica sostituzione con una grande novità: le “Provincie Regionali”.
Tali e quali. Ma, sulle targhe e sugli scudi degli stemmi cambiò la scritta: “Provincia Regionale di Palermo, di Messina, di Enna”.
E’ andata avanti così per decenni.
La Sicilia ha raggiunto un primato imbattibile del numero di dipendenti pubblici. Senza ledere il ruolo delle Provincie, ancorché regionalizzate. Anzi.
Ma a Sinistra, maturare il progetto Crocetta, il Presidente della grande rivoluzione sicula (e del “montare del sistema Montante”), decise di fare cessare questa pantomima della aggiunta di una parola. Ci si ricordò del proposito di Don Sturzo: “liberi Consorzi di Comuni”. Già. Ma quali? Le Città non sono Comuni qualsiasi. E consorziabili liberamente. Con chi, a quale fine e per quali funzioni? Per trovare un accordo del tutto accettabile si decise di creare, intanto, un’ulteriore novità: le “città metropolitane”. Ci mettiamo (cioè ci hanno messo) oltre a Palermo, anche Messina e Catania. Città metropolitane con le stesse estensioni territoriali delle “antiche” Provincie, (regionali e non). Il resto “liberi” consorzi di Comuni. Tali e quali anch’essi alle precedenti Provincie.
In che cosa consista tale “novità” vattelapesca! Ad amministrare i liberi consorzi sono andati gli amici di Crocetta (Ingroia, ad esempio).
Ma i Sindaci delle Città metropolitane sono rimasti sindaci dell’ex capoluogo e sono rimasti i “sindachetti” dei paesi ancorché “metropolitanizzati”.
Vi sarete stancati di sentire tante cazzate urtanti e vi domanderete perché il Prete di Caltagirone ed i suoi amici padri della autonomia speciale siciliana ce l’avevano tanto con le Provincie.
Il fatto è che in epoca regia la Provincia era, più che altro, la circoscrizione del Prefetto. Una figura che impersonava il centralismo e la mancanza di autonomia amministrativa. Einaudi, che non era certo un rivoluzionario, scrisse il famoso saggio “Via il Prefetto”. Crocetta lo interpetrò con prudenza: “via le Provincie”. Nessuno ha più pensato di abolire i Prefetti. Quanto alle Provincie pare che basti far finta.
Ora Salvini, che magari si è inteso far carico di essere preso nientemeno che dal senso della storia del nostro Paese, non ha certo velleità di abolizione dei Prefetti. Gli piace avere un servitore (beh, insomma, ci intendiamo) in ogni città e per non rinunciarvi, facendo anche lui un po’ di confusione o, magari, curante che la facciano i suoi alleati-nemici Cinquestelluti, vuole far rivivere anche le Provincie.
Detto tutto questo vorrei molto sommessamente ripetere quanto ho detto e scritto varie volte. In Italia non tutte le Regioni istituite dalla Costituzione sono davvero esistenti.
Andata a dire ad un Romano, un Frusinate, un Viterbese: “Tu sei laziale?”. Magari ti risponderà inviperito: “Laziale io? Io so’ de la Roma!”.
Il Lazio è una Regione “artificiale”.
E’ artificiale l’Emilia-Romagna, etc. etc.
Le Provincie ci sono, anche se per farne delle nuove si sono “promossi” paesi senza storia. L’Italia è il Paese dalle cento Città. Cento, o quasi, Provincie.
Se si provasse anziché a snocciolare ogni tanto una novità soppressiva-espansiva di enti e burocrazia, a tornare alla Costituzione, sviluppando una funzione legislativa autentica (non la ripetizione con l’intervento di qualche sapiente manina di quella Statale) e articolando le funzioni amministrative delle Provincie con l’indicazione della Costituzione, non sarebbe stato un po’ meglio?
Forse no. Quel che è fatto è fatto. Si rinnova solo per peggiorarle ulteriormente.
Ma visto che molto si parla e sempre meno si fa, un po’ di pazienza per far bene ci vorrebbe. Ma per dirlo a chi? Volete dirlo a Toninelli?
Mauro Mellini